lunedì 10 dicembre 2018

l'infanticidio nel Medioevo


L'infanzia nel Medioevo fu caratterizzata da tenerezza ed affetto, ma anche da pratiche spesso crudeli. Le condizioni ambientali, le infermità, il tentativo di controllo delle nascite ed i problemi di divisione del patrimonio furono le cause che impedirono quella cura che le famiglie moderne dedicano ai figli. La soluzione a tali problemi esulava dai codici scritti da dotti uomini di città, attingendo nelle antiche radici delle popolazioni europee.
Una delle pratiche più utilizzate fu quella dell'esposizione dei bambini in luoghi di difficile accesso, evento che conduceva alla morte del neonato. Solo nel Trecento furono istituiti gli Ospizi dei Trovatelli, dove fece la sua comparsa la ruota. Le altre soluzioni variavano dalla cessione dei bambini alla Chiesa all'uccisione degli stessi.
La tradizione dell'infanticidio era molto più sviluppata di quello che potremmo pensare: in alcuni paesi scandinavi sopravvisse per diversi secoli anche dopo l'introduzione e la conversione alla religione cristiana. L'infanticidio rappresentava nel Medioevo, forse in tutte le epoche, un modo comodo di eliminare il neonato che avrebbe potuto mettere in pericolo l'equilibrio, in molti casi già precario, economico delle famiglie. Un secondo fattore alla base di questo fenomeno potrebbe risalire al fatto che la nascita di un bambino avrebbe rivelato una condotta poco compatibile con le idee sociali e religiose di un determinato gruppo di persone. 



Quali possono essere i fattori alla base dell'accettazione di tale, cruenta, pratica?
Da una parte l'infanticidio era un reato, sempre che fosse considerato tale in una determinata società, facilmente occultabile, non esclusivamente per la facilità di abbandono nei campi o nei boschi del neonato, ma anche per l'elevato tasso di mortalità infantile del Medioevo. Delort, autore del libro La vita quotidiana nel Medioevo, scrive che il calcolo statistico conduce ad un tasso di mortalità infantile spaventoso.
Un secondo fattore da prendere in considerazione per l'accettazione dell'infanticidio era relativo all'interpretazione secondo cui tale pratica rappresentava l'unico mezzo di controllo delle nascite. Malgrado l'economista Thomas Malthus non fosse ancora nato, la società medievale seguiva la dottrina economica che scaturì dal cervello e dalla penna dell'economista inglese. Il malthusianesimo è una teoria che attribuisce la diffusione della povertà e della fame nel mondo principalmente alla pressione demografica: in sostanza allo stretto rapporto esistente tra popolazione e risorse naturali disponibili. Thomas Malthus si fece assertore di un energico controllo delle nascite e auspicò il ricorso a strumenti tali da disincentivare la natalità, al fine di evitare il deterioramento dell'ecosistema terrestre e l'erosione delle risorse naturali, non rinnovabili.
Un terzo ed ultimo fattore che permette di comprendere la sopravvivenza di tale pratica era da ricercare nell'atteggiamento delle famiglie nei confronti dell'infanzia, più vicino alle società arcaiche precristiane che alla visione moderna. Con il trascorrere dei secoli e l'affermazione del Cristianesimo, l'infanticidio diviene, durante il periodo medievale, oggetto dell'attenzione della legislazione ecclesiastica. Le accuse di bambini annegati, bruciati alla nascita o esposti, erano diffuse in tutte Europa, così come l'abbandono alla nascita nei brefotrofi. 



Una delle accuse che maggiormente fu indirizzata ai genitori dagli ecclesiastici d'allora era quella relativa all'aver causato la morte del neonato per soffocamento nel sonno, accidentalmente o volontariamente. I sermoni ecclesiastici ed i testi normativi, anche laici, dimostrano che l'infanticidio inquietava i responsabili dell'ordine sociale e civile del periodo medievale. Gli scritti medievali si rifacevano a testi più antichi: Rabano Mauro riporta nel suo penitenziale in materia d'infanticidio e di aborto i canoni di Ancira, Lerida ed Elvira dove venivano comminate penitenze di sette anni per le donne abortiste e infanticide.
Anche Reginone di Prum affrontò il tema della morte involontaria del figlio: “se qualcuno avrà ucciso incautamente il proprio figlio, o lo avrà soffocato per il peso degli abiti e se ciò è avvenuto dopo il battesimo, faccia penitenza a pane e acqua per quaranta giorni, e si astenga dal mangiare olio, legumi e dall'avere rapporti con il coniuge”.
Un secolo dopo Ivo di Chartres trattò dell'aborto e dell'infanticidio, riferendosi ai canoni precedenti. Ivo si differenziò dagli scritti antichi poiché previde solo dieci anni di penitenza, al posto della scomunica terminale, per le donne che si macchiavano di tali crimini. Sulla scia dei suoi colleghi si mosse anche Burcardo di Worms, una delle massime autorità in tema di penitenziali. Burcardo attenuò le penitenze proposte dai canoni di Lerida, Ancira ed Elvira adducendo argomentazioni di tipo umanitario. Lo stesso Burcardo paragonò l'infanticidio alla contraccezione ed all'aborto, reato per il quale previde una penitenza di dieci anni non solo per la madre ma anche per la donna che avesse aiutato o insegnato la pratica alla partoriente, soprattutto se il fatto avveniva dopo il quarantesimo giorno dal concepimento, ovvero dopo l'animazione del feto.
Un dato appare incontrovertibile: nei penitenziali medievali emerge con forza il passaggio delle responsabilità dell'infanticidio dal maschio alla femmina. Nel Medioevo avvenne un cambiamento ed un passaggio di responsabilità: nei secoli precedenti era il padre che prendeva la decisione di accettare o meno un figlio, nel periodo medievale divenne la madre, in piena autonomia, a decidere la sorte del neonato. Il passaggio delle responsabilità di fatto coincise con la trasformazione della responsabilità legale, idea che ritroviamo nelle parole di Burcardo di Worms: “Se una donna mette il bambino presso il camino e un'altra persona viene a mettere sul fuoco un calderone d'acqua bollente, e questa si riversa sul bambino e l'uccide, la madre faccia penitenza per la sua negligenza e l'altra persona sia considerata innocente”



Questo passaggio di responsabilità coincise con una diminuzione del ricorso all'infanticidio, facilmente spiegabile dal maggiore attaccamento della madre verso il neonato rispetto al padre. Con il trascorrere dei secoli si crearono dei distinguo all'interno del reato di soppressione della vita di un neonato: se lo stato di povertà della madre era riconosciuto come motivo attenuante per un simile delitto, una donna che si fosse macchiata di tale infamia per interessi personali o per soddisfacimento dei propri desideri era giudicata e punita severamente sia dai giudici ecclesiastici che da quelli laici.
Inevitabilmente era condannata alla pena capitale dal tribunale secolare.
Verso la fine del Medioevo mutò il clima generale a causa della scomparsa dell'iniziale tolleranza verso questo delitto. L'epoca della comprensione lasciò il posto a crudeli punizioni, come la sepoltura da viva della madre infanticida o la messa al rogo con la condanna di portare al collo il corpo del bimbo ucciso nel percorso dal carcere al patibolo.
Nello stesso periodo rinacque ed esplose il ricorso alla pratica del Répit.
Per comprendere l'eventuale collegamento tra il delitto ed il rito dobbiamo cercare nella storia della religione cristiana e nel sacramento del Battesimo.
San Paolo in un sermone disse “sento che la questione è profonda e riconosco che le mie forze non sono idonee a scrutare l'abisso. Il bambino non battezzato va alla condanna. Ma dove non trovo il fondo dell'abisso debbo pensare alla debolezza umana, non debbo condannare l'autorità divina”.
Parole similari furono utilizzate da Sant'Agostino: “È dunque giusto dire che i bambini che muoiono senza il battesimo si troveranno nella condanna, benché mitissima a confronti di tutti gli altri. Molto inganna e s'inganna chi insegna che non saranno nella condanna”.
Il problema della morte alla nascita, accidentale o volontaria, fu un problema a lungo dibattuto. La cultura medievale escogitò la presenza del Limbo, luogo nel quale i bimbi nati-morti avrebbero vagato per l'eternità, lontano da Dio, ma al tempo stesso lontano dalle fiamme dell'inferno. Ancora prima della nascita del Limbo, lo stesso Sant'Agostino analizzò il problema donando speranza ai genitori: parlò della resurrezione temporanea in riferimento al caso di una donna cui vennero esaudite le preghiere sul ritorno alla vita del bimbo nato morto. Le preghiere della donna erano rivolte alla reliquia di Santo Stefano martire. Il figlio della donna resuscitò il tempo necessario per ricevere il battesimo. Il desiderio di dare ai propri figli la salvezza dell'anima superò anche il Limbo, dando vita, o ridando vita, al rito del Répit. Questo rito si svolgeva in pochi luoghi sacri, chiamati Santuari à Répit o del respiro. Il tentativo di riportare alla vita, anche solo per un attimo, il bimbo nato morto è attestato in Europa a partire dalla metà del 1200 e fu tollerato dalla Chiesa sino alla metà del 1700. Il ricorso al Répit si sviluppo nello stesso momento nel quale le autorità civili ed ecclesiastiche mutarono atteggiamento nei confronti dell'infanticidio. 



Le madri, sulle quali ricadeva la responsabilità della morte del neonato, iniziarono a cercare, e trovare, luoghi idonei alla rinascita del bimbo per il tempo necessario alla somministrazione del battesimo. Il sentimento di colpa, morale e legale, che colpì le madri fu alla base del ricorso al rito del Répit? Non penso potremo mai trovare una risposta certa. L'ultimo collegamento storico è relativo alla mitologia stregonica.
Nel Malleus Maleficarum si ritrovano delle levatrici che uccidono i bambini allo scopo di impedirne il battesimo, chiaramente spinte in quello dalla figura demoniaca poiché i bambini rifiutati dal cielo perché macchiati dal peccato originale erano destinati alle fiamme dell'inferno, dimora del diavolo. Il battesimo era necessario per permettere al bimbo di recuperare il suo posto in cielo e non dover vagare per l'eternità nell'inferno. Tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'epoca moderna, un misto di paure, religiose e legali, e la nascita di una nuova cultura consentì una rapida diminuzione del ricorso all'infanticidio, sia come strumento di controllo delle nascite che come soluzione ad una gravidanza inaspettata.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Dean Mitchell, The Malthus Effect: population and the liberal government of life, Economy and Society, 2015

Petoia Erberto, Storia segreta del Medioevo, Newton Compton editori, 2018

Prosperi Adriano, Dare l'anima. Storia di un infanticidio, Einaudi, 2005

Robert Delort, La vita quotidiana nel Medioevo, Laterza, 1997

Fabio Casalini e Francesco Teruggi, Mai vivi, mai morti, Giuliano Ladolfi editore, Borgomanero, 2015

Marcel Bernos, Réflexions sur un miracle de l'Annonciade d'Aix. Contribution à l'etude dex sanctuaries à repit, in Annales du Midi, Edition Privat, Tolosa, 1970

Fiorella Mattioli Carcano, Santuari à Répit, Priuli e Verlucca, Ivrea, 2009

Jean-Baptist Thiers, Traité de l'exposition du Sain Sacrament de l'autel, Louis Chambeau, Avignone, 1977

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

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