sabato 28 luglio 2018

flipped classroom

OVVERO IL MONDO CAPOVOLTO DEL TRANSUMANESIMO



Flipped Classroom is a nu trend...
cit. FILIPPO CAZZONE

Eurosofia propone il corso dal titolo: “Nuove metologie didattiche: La flipped classroom.”:
Oggi ho scoperto un nuovo termine del nostro mondo globalizzato ministeriale, un paradigma altrove già in atto come tappa transumanista, da noi in fase poco più che sperimentale e sviluppato come piattaforma didattica alla ricerca spasmodica di nuovi stimoli per giovani in erba, sto parlando di FLIPPED CLASSROOM.
Già partiamo malissimo, mal sopporto questa sudditanza psicologica tipica di esterofili colonizzati che rinunciano volentieri, nel bene e nel male, alla propria cultura e linguaggio, assumendo questi ennesimi ed insopportabili neologismi anglofoni di stampo mercantile e manageriale.
Flipped Classroom non si può sentire, sembra, e forse non è un caso, "la classe dei flippati"...

La Flipped Classroom, o insegnamento capovolto, consiste nell’invertire il luogo dove si segue la lezione (a casa propria anziché a scuola) con quello in cui si studia e si fanno i compiti (a scuola anziché nella propria abitazione). Naturalmente ne consegue che l’insegnante potrà abbandonare il ruolo di unico trasmettitore delle conoscenze mettendosi in gioco, facendosi organizzatore e facilitatore pronto anch’esso ad imparare cose nuove. “Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali (BES) per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”.
Per carità, è un sistema che alcuni docenti, in buonafede ed anche molto ingenuamente, salutano come interessante, utile, considerando IMPRODUTTIVO il tempo consumato in classe, quando invece un video studiato a casa può essere più produttivo ed efficace. 
La rete, la stessa che viene spesso denigrata perché livellava tutto verso il basso, attaccata ogni volta che esprime, nel bene o nel male, voci dissidenti, antagoniste, discordanti, viene curiosamente, impunemente e passivamente accettata quando diventa magicamente strumento ministeriale e sovrastrutturale, ancor meglio se indirizzato verso l'apprendimento.


(nel video possiamo sentire l'entusiasmo del bravo insegnante tutto eccitato a descrivere la politica del Flipper...)

La fase iniziale di questo processo liquido ed inesorabile come uno sciacquone che perde, verrà presentato da scuole ed alcuni professori come modello utile alla discussione, come fossimo in un'agorà greca, in un simposio antico a disquisire di massimi sistemi, però tra maestri ed allievi, tra un Kant studiato su Istagram e discusso tra un "Bello Figo" qualsiasi che swagga un Trappettone in mp3 scaricato in low quality ed un docente che dovrà barcamenarsi tra diversi orientamenti culturali, genitori isterici che lamentano voti bassi, Presidi ostaggio di rigidi protocolli ed opinione pubblica che punta il dito sui cattivi insegnanti che vanno in piazza ubriachi ad urlare nei cortei, insomma, una sorta di delirio aggravato anche dal fatto che vogliono pure introdurre le telecamere per monitorare la vita scolastica, quante caccole sono state spalmate sotto i banchi di scuola, quante ingerite come non ci fosse un domani, o meglio, per controllare e ricattare i professori stessi, come se non avessero già troppi problemi a cui pensare. Squalificare la figura educativa sembra il nuovo sport nazionale, una sorta di caccia alla volpe, ecco poi perché i più "bravi e diligenti" sposano talvolta certe novità per distinguersi dal mucchio. 

E' chiaro che, con la scusa della ricerca, dei buoni sentimenti e delle buone intenzioni (solitamente le buone intenzioni sono l'anticamera delle peggio cose), della globalizzazione, dei "tempi moderni", paradigma un tempo criticato profondamente da Chaplin e Fritz Lang che ci avvertivano un secolo prima di quello che sarebbe successo, si vuole destrutturare qualsiasi mediatore umano che abbia a cuore l'insegnamento, la divulgazione della cultura spiegata in classe tutti insieme e non isolati davanti ad uno schermo, che abbia a cuore la socialità, oggi vista come mera competizione, che abbia a cuore i ruoli sociali e sappia spiegare come siano importanti il rispetto e la dignità delle persone, che abbia a cuore l'autorevolezza, sostituita un domani dall'AUTORITA' invisibile che si materializzerà in uno schermo colorato, tra gattini ed esplosioni di stelline rotanti direttamente in classe.
Aspetti utili anche come forze dell'ostacolo per gli alunni, proprio perché possano essere un giorno superati, possano essere messi in discussione, andando a sviluppare e fortificare il carattere dell'individuo, tappe fondamentali per la formazione di cittadini consapevoli e non di utenti psicolabili catalogati come numeri, rieducati dal nuovo maestro digitale.
Tutto questo dovrebbe bastare ed avanzare, almeno far riflettere quali cambiamenti sono giusti e quali lo sono forse meno, senza considerare la lenta ed inesorabile distruzione della scuola pubblica, ridotta a zoo scolastico che un domani, con queste premesse, assegnerà compiti e lezioni direttamente su youtube, e i docenti pensati solo come replicanti di un' istruzione parificata ad emoticon, messaggini, gattini e scoreggine sfumate. Una scuola vuota dove tutto finge di avvenire fuori, un luogo non luogo, non più deputato al confronto, dove gli alunni potranno mettere i like sui professori più meritevoli e far licenziare quelli meno adatti, un po' come una puntata della serie distopica BLACK MIRROR.
Mi immagino lezioni con voce metallica provenienti direttamente da uno schermo, interrotte da brevi spot rumorosi che destano attenzione, magari utilizzati per pagare i maestri più diligenti ridotti ad operatori tecnici dotati di cuffie, chiavette usb, o per finanziare le scuole più meritevoli, impegnate in una costosa guerra tra istituti meritevoli, per una società sempre più giusta e meritevole.


L'insegnante ridotto a badante di classi di utenti e non di ragazzi, classi sempre più numerose, rumorose, dove ogni pulsione non potrà più essere canalizzata verso una tensione armonica collettiva, dove prevarrà ineluttabilmente il più forte, a ragione di una sempre più marcata assenza di esempi educativi, dove lo stress e il carico di lavoro diventerà sempre più insopportabile e frustrante per il corpo docenti, dove in futuro non conterà più l'aspetto umano, quello di identificazione in una figura di riferimento, ma neanche di contrasto con l'autorità: come potrà imparare a ribellarsi il futuro cittadino se non avrà nessun modello da confliggere, vivendo in assoluta assenza da frustrazioni, lo farà contro uno schermo di plastica?
Il piccolo principe vivrà finalmente in un delirio di onnipotenza, avulso da qualsiasi aspetto educativo, umano, "contenitivo e cognitivo" che possa formare il suo carattere, una terra di mezzo dove macchina e spirito saranno messi sullo stesso livello, già mescolati nel forno alchemico che qualcuno ha sapientemente preparato e riscaldato.
Il passo successivo è lo scenario tecnofascista ben reso in Fahrenheit 45, film del 1966 diretto da François Truffaut.
Un tempo era il pensiero di sinistra a criticare massivamente il transumanesimo e la tecnocrazia, ed invece la destra reazionaria a sposare futurismo, avanguardie tecnologiche, oggi, paradossalmente, tutto si è CAPOVOLTO, proprio come nel famigerato Flipped Classroom, oggi si ribaltano i ruoli in nome di un finto buonismo orizzontale, comodo però a chi esercita l'aspetto decisionale (quello sempre ed ovviamente piramidale).
I neologismi crescenti fanno accettare qualsiasi cosa mettendo sullo stesso piano virtuale e reale, piani che le prossime generazioni non sapranno più distinguere, percependo il virtuale come più veritiero del reale. 
Capovolgere il significato delle parole, attribuirne altro senso, talvolta opposto, come ci spiegava l'oramai inflazionato Orwell.
Fare accettare un conflitto armato fatto da una democrazia in nome di una democrazia, fare accettare un sistema turbo-capitalista come buono ed ineluttabile, in contrapposizione ai cosiddetti populismi emergenti cattivi, sempre utili per legittimare lo status quo.
Allora ti potranno prefigurare direttamente l'estinzione teleguidata della scuola pubblica, alla pagina 666 con farfallina annessa, sostituita da un più comodo Grande Fratello, modello HAL9000, dove le lezioni digitali saranno anche hometheater, tutti a scuola ma tutti contemporaneamente a casa, collegati mentre caghiamo byte comodamente seduti sul water o mentre giochiamo con la nuova Playstation 13, tra un meme ed un film della Marvel scaricato, tanto poi si discuterà il tutto o il nulla appreso con il badante/docente di turno quando si dovranno fare le interrogazioni, mentre lo si riprende con lo smartphone regalato dallo zio che ti saluta su WhatsApp in diretta, collegato anche lui su Twitter e connesso a Sky in una chat con l'avatar giovane di Mentana che fa pause insopportabili tra una frase e l'altra, e tutti allegramente ripresi dalla telecamera centrale della scuola che va a replicare e registrare noi che siamo a casa collegati con il mondo intero, in uno specchio riflesso senza fine che si specchia ad libitum...
Che bella la connessione generale, eh...!!!


Se questo sta funzionando per la politica, sempre più svuotata di senso, di progettualità, di energie e di ideologia, sta funzionando per la scuola, bersaglio preferito di alunni, politici, genitori disumanizzati e futuri robot umanizzati, sta funzionando per il mondo del lavoro sempre più precarizzato e sempre più squalificato, funziona già per la sovranità popolare e quella monetaria, dove l'unico paradigma possibile sembra essere solo quello globalista centrale, significa che è anche un po' colpa nostra, della nostra fragilità, ipocrisia, ignoranza, ignavia, impotenza ed anche, soprattutto, coglionaggine.
Ci sono tantissimi insegnanti bravi, intelligenti e volenterosi, non sostituiamoli con un algido schermo che trasmette quiz cognitivi, riassuntini e schede interrotte da slide pubblicitarie su prostate infiammate e putti dorati senza cazzo.
Una persona onesta intellettualmente con un minimo di logica ed intelligenza, dovrebbe già comprendere dove si va a parare assumendo un modello del genere.
Comprendo anche che, a criticare il cosiddetto modernismo, si possa apparire agli occhi di tanti politicamente corretti "finti progressisti", dei passatisti rancorosi magari un po' reazionari, ed è quella la cosa più fastidiosa con risvolti distopici ed inquietanti che viene servita su di un piatto d'argento.
Il modello che si vuole importare e far accettare è quello che i docenti, poco alla volta, passo dopo passo in punta di piedi e senza far troppo rumore, non conteranno più nulla, ma non più solo come ruolo educativo, quello è già in parte successo dopo decenni di attacchi alla scuola pubblica, ma proprio come figure professionali. A cosa servirà in futuro una scuola, forse a nulla, sarà un lusso per pochi, per il resto ci sarà il meme ministeriale a decidere e scandire le giornate. 
In fondo per alcuni poteri forti la democrazia è stata solo un incidente di percorso nella storia della civiltà, oggi bisogna riportare indietro le lancette dell'orologio del tempo, ma facendo percepire questo cambiamento come novità democratica.


Se queste sono le premesse, è facile immaginarsi le conseguenze, un futuro molto simile al film  Idiocracy. Sarà promossa una finta uguaglianza di comodo indotta e CAPOVOLTA, essa diventerà dogma condiviso da tutti come necessità ineluttabile e non criticabile, pena l'arrivo della psicopolizia e qualche kapo' di turno che metterà all'indice coloro che dissentono.
In Idiocracy, almeno, erano tutti beatamente tonti e mansueti, come drogati di stupidità, nella realtà sarà molto peggio, la stupidità diffusa, già abbondantemente presente, assorbita e giunta a noi tramite l'oracolo multimediatico, sarà sostituita dall'odio verso l'altro, psicobullismo da un lato, ed un autismo sincretico diffuso dall'altro, assolutamente interclassisti, con buona pace dei Serra e degli araldi dello status quo, consumato però dentro mura domestiche, dove ogni ruolo sociale sarà completamente rimosso e destrutturato in nome di un democraticismo d'accatto, strumentale a logiche strutturali di altra natura, logiche oggi più forti perché dalla parte del giusto, e allora come fai a criticare il giusto che avanza senza passare per conservatore?
Oggi, il vero totalitarismo, è proprio questo!!!
La creazione di un modello totalitario che destrutturi tutto quello che riguarda il bene pubblico, la socialità, gli archetipi, i modelli, i ruoli sociali, con ripercussioni consequenziali pesanti sul lavoro, sui diritti e sulle libertà individuali, sulla nostra coscienza, sulla memoria storica considerata obsoleta, sostituita da un cloud su una nuvoletta chimica, quindi contro il pensiero umano, la coscienza, lo spirito.
Sposando un falso modernismo di facciata, viene promosso dai media l'aziendalismo, il PEER ISTRUCTION, che ipocritamente mette sullo stesso piano studente e maestro, come se fosse questo il vero paradigma di uguaglianza, creando, invero, proprio tutti quei presupposti che vanno a formare una struttura mentale psichica del perfetto reazionario, del futuro disadattato incapace di lottare e di sviluppare coscienza critica e di classe, verso un azzeramento della cultura umanista a beneficio sempre più di quella tecnica, o meglio del tecnicismo e meccanicismo, a beneficio dello scientismo sposato e salutato dogmaticamente come scienza, il tutto fatto passare come verità, come necessità di sviluppo globale, come evoluzione e non come involuzione generale.

In questo crudele e dispotico meccanismo sociale e culturale, in questa finta parità ed orizzontalità, dove però chi decide dall'alto è PIU' UGUALE DI ALTRI, si sono creati nei decenni abbracci mortali, alcuni come effetto domino, altri come disegno sovrastrutturale indotto, tra dogma, status quo ed un certo mondo progressista, utilizzato come Cavallo di Troia dal padronato per gettare le basi della futura società transumanista, per destrutturare il cosiddetto vecchio mondo, per plasmare un futuro che, in tempi massmediatici come quelli odierni, non può presentarsi più come dittatoriale e frontale come ai tempi di Metropolis (nuovo che ritorna circolarmente al vecchio), ed allora si maschera e si veicola come democratico, trendy, modernista, solidale ed ecosolidale, green & evergreen, sentimental a km zero e senza glutine, buonista ed ufficialista, colorato ma senza colori, globale ma elitario, uguale ma realmente diviso, insomma, il pensiero unico del peggior dispotismo culturale possibile.
"Finalmente", l'avvento e materializzazione della vera elite reazionaria, quella si modernista, del modello neo-aristocratico vigente ma rivisitato in salsa cibernetica, perché è da quel magico mondo che nasce tutto questo processo storico, anche se oggi hanno cambiato maschera e casata.

Questo è l'aspetto più pericoloso in assoluto, non potremo criticare il paradigma modernista senza passare per passatisti, populisti o ancora peggio, ed è questo il ricatto psicologico che il potere ha ben compreso ed attuato come strategia. 
Un tempo il potere era visibile, lo potevi guardare in faccia, oggi una rivoluzione non è possibile contro un moloch invisibile che afferma e fa accettare quotidianamente di essere LUI quello rivoluzionario, si rischia di passare per anti-rivoluzionari, è un meccanismo perfetto, direi religioso ed ecumenico.
Oggi il potere è molto più raffinato, si rende fascinoso, si fa piacere, controinizia il linguaggio, i costumi, destruttura l'individuo per svuotare le menti e non per riempirle.
Oggi una rivoluzione collettiva diventa possibile solo se, contemporaneamente ad essa, ne avviene una più profonda, coscienziale individuale.

PS: "Drinn Drinn... suona la campanella, la lezione è finita..." Ma nooo è lo spot delle nuove merendine di soia e pongo che il prof vende a scuola fuori dall'aula, proposte sul canale "Maestro Digitale..." 
cit. RIEDUCATIONAL CHANNEL

fonte: http://maestrodidietrologia.blogspot.com/


lunedì 23 luglio 2018

dalla perdita della sovranità alimentare alla schiavitù


Gianni Tirelli

"Quattrocento anni fa, gli esseri umani, prima dell’avvento del capitalismo, si nutrivano con più di 500 specie diverse di piante.

Cento anni fa, con l’egemonia della rivoluzione industriale, si sono ridotte a 100 le specie diverse di cibo, che dopo l’aratura passavano ai processi industriali. 

Da trent’anni, dopo l’egemonia del capitale finanziario, la base di tutta l’alimentazione dell’umanità è rappresentata per l’80% da soia, mais, riso, fagioli, orzo e manioca. 

Il mondo è diventato un grande supermercato, unico. 
Le persone, indipendentemente da dove vivono, si nutrono della stessa dieta di base, fornita dalle stesse imprese, come se fossimo i maiali di una grande porcilaia che aspettano, passivi e dominati, la distribuzione della stessa razione giornaliera.

C’è stata una enorme concentrazione della proprietà della terra, dei beni della natura e del cibo.
Qual è la soluzione?


In primo luogo abbiamo bisogno di rinegoziare in tutto il pianeta il principio che il cibo non può essere una merce. Il cibo è l’energia della natura (sole più terra, più acqua, più vento) che muove gli esseri umani, prodotti in armonia e collaborazione con gli altri esseri viventi che formano l’immensa biodiversità. Tutti dipendiamo da tutti, in questa sinergia collettiva di sopravvivenza e di riproduzione. Il cibo è un diritto di sopravvivenza. E quindi, ogni individuo della terra dovrebbe avere accesso a questa energia per riprodursi, in maniera egualitaria e senza alcun vincolo.

Noi sosteniamo il concetto di sovranità alimentare, che è il bisogno e il diritto che in ogni territorio, ci sia un villaggio, una tribù, un insediamento, una città, uno stato e anche un paese, ogni popolo abbia il diritto e il dovere di produrre il proprio cibo."
[João Pedro Stédile] ...

L’inquinamento prodotto dal capital/liberismo ha fatto tabula rasa di ogni forma di vita. 

Così non c’è più niente da pescare, da cacciare, un orto da coltivare, e più in breve, la possibilità procurarsi quel cibo, al fine di soddisfare i bisogni primari della gente.

Ci è stato impedito di seminare, costringendoci ad acquistare al Mercato del Grande Malfattore, sementi geneticamente modificate, ortaggi e animali da cortile, clonati e pompati, e quella lunga lista di sostanze chimiche cancerogene che devastano i corpi dei nostri figli, dispensando dolore e paura fra la cittadinanza.

L’obiettivo di tutto questo è di controllare la catena alimentare globale per renderci schiavi, e dipendenti dalla loro insanguinata mercanzia – non che sterco del diavolo.


Questo non ha niente a che vedere con l’idea di alimentare il mondo. 

Il vero scopo è di aumentare gli introiti delle grandi *corporation dell’industria chimica, e cancellare ogni nostra risorsa, capacità, e residua volontà – Renderci inoffensivi, insomma, per poi schiacciarci come un pugno di mosche, ronzanti e fastidiose.

Noi, le inconsapevoli cavie di laboratorio, di un progetto di sperimentazione di stampo nazista, di dimensioni planetarie, che terminerà con “la soluzione finale”. Uno sterminio, questo, scientificamente programmato, che rientra in un progetto di sfruttamento integrale di ogni risorsa energetica e degli individui, asserviti e resi schiavi in ragione della loro (presunta) inferiorità, incapacità e inutilità. Esseri non uomini, né animali, che non appartengono ad alcuna razza, specie, e forma di vita, ma meri ingranaggi di un Sistema necrofilo, e clienti classificabili esclusivamente sulla base del loro potere d’acquisto.

Io, da questo preciso momento, impugno contro lo Stato, il mio diritto di nascita – naturale, inderogabile e inalienabile – in virtù del quale a ogni uomo spetta un pezzo di terra da coltivare, l’accesso all’acqua, e un riparo. Inoltre chiedo e pretendo il risarcimento di tutti danni procurati all’ambiente (non che la sua immediata bonifica), e causa i quali, si è determinato un livello di contaminazione tale, da avere resa impossibile qualsiasi condizione di autonomia e di autosufficienza, che dall’alba dei tempi era alla base di ogni società che si definisca “civile” e libera.

Così, ci è stata sottratta ogni sovranità, e calpestato il più naturale fra tutti i diritti dell’uomo: il diritto alla felicità.

Ma io non ci sto!!! Noi non ci stiamo!!! 
Da questo preciso momento, si è resa necessaria, e prioritaria a tutto il resto, una dichiarazione di guerra contro tutti quegli stati che non intendono rispettare i diritti naturali, intangibili e irrinunciabili dell’individuo, dal giorno del suo concepimento su questa terra.

E quando presto la disoccupazione raggiungerà livelli inimmaginabili, e la qualità della vita a caduta libera costringerà centinaia di milioni di individui del mondo occidentale all’accattonaggio e a ogni sorta di aberrazione, allora, e solo allora, comprenderemo il valore incommensurabile della Madre Terra e del suo infinito potere – La Terra, il solo padrone al quale avremmo dovuto sottometterci, sottostare e ubbidire, rispettandone le sue regole ancestrali, senza diventarne schiavi e servi, ma attraverso Lei, ritrovare l’autentico e primigenio significato di libertà. E quando tutto sarà palese e noi, volenti o nolenti, ignoranti e intelligenti, dovremo per forza e necessità prendere atto di quali erano le reali finalità del Sistema Bestia e del suo piano diabolico di omologazione, a quel punto, saremo già tutti schiavi.

A ogni essere umano, ripeto, spetta un pezzo di terra, l’accesso all’acqua, una dimora, e la possibilità inderogabile di potere soddisfare i suoi bisogni primari con la sola forza delle sue braccia, e attraverso quella passione vivifica e salvifica, che nasce da quel rapporto simbiotico di mutuo scambio che da sempre si era stabilito fra uomo e natura.

Ma oggi questo diritto è stato calpestato e reso ridicolo.
Da qui, nasce la necessità di assegnare i beni della natura (terra, acqua, energia) ripartiti fra tutti gli individui della terra.

Fino al momento in cui non saranno ripristinati tali diritti e le condizioni necessarie atte all’epocale e radicale cambiamento di riconversione, i governi delle nazioni tutte si dovranno nel frattempo accollare l’onere e l’obbligo di provvedere alla sussistenza dei cittadini (reddito di cittadinanza), in virtù di una somma congrua mensile per ciascuno di loro. In seconda battuta, va messo in campo un piano di esproprio, a danno dei grandi proprietari terrieri, grandi detentori di patrimoni, latifondisti, multinazionali dell’agroalimentare, e dell’industria chimica, per dare inizio ad un’equa distribuzione del suolo, sull’onda di una nuova e luminosa rinascita.

Le società si potranno definire democratiche e civili, solo a patto di garantire ai cittadini il diritto alla sopravvivenza e all’autonomia, avendo accesso al cibo-energia necessario.

*Monsanto, Syngenta, DuPont, Dow, Bayer e Basf -

Fonte: visto su STAMPA LIBERA del 5 dicembre 2013 (sito off line)

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.com/

venerdì 20 luglio 2018

Sos Disruption: entro 15 anni sparirà un mestiere su due

Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».
Le nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence stanno cambiando davvero tutto: sarà la fine del mondo, così come l’abbiamo conosciuto. E nessuno, a quanto pare, se ne sta accorgendo. Parlano i numeri, già drammatici secondo tutte le Paolo Barnardproiezioni ufficiali: a livello globale, da 1 a 2 miliardi di lavoratori perderanno il posto entro il 2030, la maggioranza in Occidente. A farne le spese saranno impiegati contabili e amministrativi, aziende manifatturiere e manodopera produttiva, insieme a costruzioni ed estrazioni minerarie, ma anche avvocatura e giudici, lavori di installazione e manutenzione, operatori di gru e trattoristi, meccanici e riparatori. Spariranno posti di lavoro nelle arti e nel design, nell’intrattenimento, nello sport e nei media, insieme a molte mansioni nel settore turistico. In compenso, dalla rivoluzione tecnologica usciranno rafforzati business e finanza, manager, informatica e matematica, architettura e ingegneria, ma anche rappresentanti, camerieri, specialisti in istruzione e formazione, pensatori creativi e manager per la Disruption – nonché farmacisti, infermieri e operatori socio-sanitari.
«Entro il 2030 si stima che fino a 375 milioni di posti di lavoro, globalmente, dovranno essere “reskilled”, cioè riqualificati», scrive Barnard nel suo blog. Ad esempio: nel settore manifatturiero, dicono gli esperti, cadranno mansioni nelle mani dell’Artificial Intelligence e della robotica, ma il lavoratore potrà essere re-impiegato in fasi diverse del lavoro, aumentando la produttività: gli servirà però un “reskilling”. Alibaba, colosso cinese dell’e-commerce, ha calcolato che i suoi robot da magazzino risparmiano a ogni magazziniere almeno 50.000 mosse fisiche al giorno, riducendone molto lo stress fisico ma soprattutto liberandogli tempo per aumentarne la produttività ma senza prolungare l’orario di lavoro. Naturalmente, scrive Barnard, Alibaba i suoi dipendenti li ha “reskilled”. Quindi, «l’impresa del “reskilling” di milioni di italiani non è un optional, è l’aria da respirare, e ogni singolo analista al mondo oggi lo dice chiaro: i governi giocano qui il ruolo principale con un Sapelliintervento generoso nei bilanci». Ma una nazione con vincoli di budget «al limite del sadismo sociale», per citare l’economista Giulio Sapelli, come diavolo farà a riqualificare sul lavoro due o tre milioni di persone?
Oltretutto, il “reskilling” è ormai un ordine di scuderia a tappe forzate: «Lasciar languire nella terra di nessuno i lavoratori in transito significa perderli per strada, con danni economici enormi». Si domanda Barnard: «Come farà l’Italia, soffocata nei bilanci dall’Eurozona, quando tutti gli esperti mondiali invocano chiaramente interventi di governo?». Già ora la Disruption, nelle parole di 20.000 imprenditori europei di tutti i settori, «sta imponendo un aumento vertiginoso nella richiesta di alcune professioni, che si prestano per assorbire sia una quota di futuri licenziati (“reskilled”), che i giovani post-laurea». La rivoluzione in arrivo, dice Barnard, avrà bisogno di nuovissime figure professionali, come i rappresentanti di ultima generazione: «Occorrono disperatamente venditori che siano formati prima di tutto a spiegare quei prodotti, poi a venderli a privati e governi, ma anche per raggiungere nuove fasce di clienti». Poi gli analisti dei dati: «Non occorre un dottorato per questa mansione, ma di certo un buon “reskilling” anche in assenza di laurea». Le aziende, aggiunge Barnard, oggi sanno che Big Data è la scoperta “nucleare” del commercio di prodotti e servizi: bisogna quindi «saper analizzare e trarre conclusioni intelligenti dall’immane massa di dati che la Disruption mette a disposizione».
«Il successo si gioca qui, nel terzo millennio: la richiesta di analisti dei dati è destinata a esplodere fra pochissimi anni». Per i laureati brillanti «c’è già ora spazio per ricoprire un ruolo dirigente richiestissimo nei maggiori settori di commercio e servizi, cioè il Manager della Disruption: è colui che si specializza nel guidare l’azienda (piccola, media, grande) ma anche il settore pubblico, nella tempesta di cambiamenti che l’era digitale porta ogni minuto». In generale, proprio grazie alla Disruption, entro il 2030 sono previste globalmente 130 milioni di nuove assunzioni in sanità generale e assistenza agli anziani, nonché 50 milioni nelle tecnologie e altri 20 milioni nel settore energetico. Le professioni del tutto nuove che si prevede nascano grazie alla Disruption, spiega Barnard, sono «gli specialisti intra-umani, cioè intelligenza emotiva, capacità di persuasione, gestori delle emozioni umane nel sociale, e i creatori di motivazione; i pensatori creativi in ogni settore, sia scientifico che industriale Disruptionche amministrativo, poiché essere super-specializzati ma ottuse ‘scatole di dati’ non innova nulla in azienda». E ancora: serviranno «gli ottimizzatori delle energie rinnovabili e gli operatori nella lotta al cambiamento climatico».
Ogni singolo esperto in “occupazione & Disruption”, aggiunge Barnard, “grida” sempre la medesima cosa, che la Consultancy McKinsey & Co. ha espresso nel dicembre 2017 con una frase lapidaria: «La moltiplicazione dei lavori potrebbe più che compensare le perdite a causa dell’automazione. Ma nulla accadrà per magia – richiederà che i governi e il business sappiano creare le opportunità». E qui esplode il problema-Italia: chi si farà carico della formazione permanente imposta dalla Disruption, dati gli attuali limiti drammatici imposti alla spesa pubblica? La scuola, scrive Barnard, deve avere una conoscenza avanzatissima della Disruption in continuo aggiornamento, perché è molto probabile che una parte delle competenze insegnate oggi saranno obsolete per il mondo del lavoro nel giro di 5-8 anni, in media. Con un ritardo di questo genere, nelle scuole e università, cosa farà l’Italia? Ha qualche idea in proposito, il governo gialloverde? Il Miur, ministero dell’istruzione, università e ricerca, ammette di essere in emergenza: i dati Ocse dicono che ogni quindicenne italiano usa il computer in classe molto al di sotto della media europea (molto meno dei greci, e quasi un terzo del tempo di un australiano).
Sempre per l’Ocse, i docenti italiani sono in assoluto i meno preparati, in Europa, all’era digitale. Ancora: nel Digital Economy Index, l’Italia languisce al 25mo posto su 28 paesi, ha lacune dappertutto. E nella velocità di connessione alla Rete è in fondo alla classifica europea con un umiliante 9.2 Mbps, davanti solo a Grecia e Cipro. Nelle aule si soffre moltissimo, di questo:«Il processo di diffusione della scuola digitale negli ultimi anni è stato piuttosto lento», confessa il Miur, che denuncia «azioni spesso non incisive e non complessive». Aggiunge Barnard: «Sapere è lavoro, ma un buon lavoro – oggi, nella Disruption – significa sapere molto. E con una situazione del genere c’è da mettersi le mani nei capelli». Nessuna area italiana è inclusa tra gli “Innovator leaders” europei. Solo il Piemonte figura tra gli “Strong innovators”, mentre il resto della penisola è in terza posizione, tra i “Moderate innovators”, mentre la Sardegna è relegata tra i “Modest innovators” come Croazia, l’Estremadura, l’Est Europa più povero e arretrato. Una mappa impetosa: «L’Italia non solo sprofonda nell’economia tradizionale (a causa soprattutto dell’Eurozona), ma colpevolmente i suoi governi degli ultimi 15 anni l’hanno tenuta fuori dalla realtà, cioè dalla Computer a scuolaDisruption, e infatti siamo “gialli”, cioè quasi ultimi nell’innovazione, e dunque fra gli ultimi nelle prospettive di lavoro dei nostri figli».
Generalmente, aggiunge Barnard, un paese moderno ospita oltre 900 mestieri. E dato che «una buona parte delle nuove tecnologie della Disruption stanno sbocciando in queste ore o sbocceranno appena domani», è impossibile essere precisi. Ma una cosa è più che evidente: a dettare legge sarà la tecnologia dell’intelligenza artificiale di Machine Learning, «perfetta per sostituire i lavori ripetitivi d’ufficio, per far funzionare la logistica aziendale, per far “pensare” i robot nelle industrie, ma anche per sostituirsi all’umano in compiti complessi all’interno di molti mestieri sofisticati». Giusto per dare al pubblico un’idea del grado di penetrazione del Machine Learning, cioè del fatto che davvero saranno pochissimi i lavori di domani che non avranno almeno in qualche segmento un’intelligenza artificiale a sostituire qualcosa o qualcuno, la Mit Initiative sull’economia digitale «afferma che il mestiere in assoluto più “blidato” contro la Disruption è il… massaggiatore». All’altro estremo, invece, figurano «le mansioni che sembrano davvero destinate a essere falcidiate», ovvero «gli impiegati, i contabili, gli amministrativi in generale».
Se è scontato che fra i “colletti blu” (diplomati, ma senza laurea) tanto dovrà cambiare, «molti genitori e studenti ancora non comprendono purtroppo cosa accadrà alle professioni dei “colletti bianchi”, degli specializzati, che siano medici, avvocati, commercialisti, o persino ingegneri informatici (esempio estremo, ma anche fra loro cadranno teste con l’Artrificial Intelligence)». Parla da solo il caso americano: nei primi 15 anni di digitalizzazione dell’economia Usa, ricorda Barnard, le disparità di redditi fra “colletti blu” (licenza liceale) e “colletti bianchi” (lauree) schizzò in alto, perché i secondi – grazie alla formazione digitale universitaria – poterono approfittare dei nuovi lavori ben pagati, gli altri no e subirono in pieno l’impatto devastante del crash bancario del 2008. Addirittura, il fenomeno ha raggiunto un tale livello di gravità che fra i “colletti blu” in America c’è un’epidemia di suicidi per disperazione, descritti in uno studio del 2014 firmato da Anne Case insieme ad Angus Angus DeatonDeaton, Premio Nobel per l’Economia. «Vero è che gli Stati Uniti sono un incubo d’abbandono sociale dei deboli, dove il welfare quasi non esiste», ammette Barnard. In compenso, l’Europa si sta auto-sabotando con i tagli sanguinosi al suo welfare.
«I criminosi limiti di spesa pubblica che l’Ue impone agli Stati membri – dice Barnard – escludono in via categorica che i vari schemi di Reddito di Cittadinanza abbiano un potere di fuoco sufficiente a evitare al nostro paese un’apartheid fra inclusi ed esclusi nella Disruption». In altre parole: «Finché Eurozona sarà – insiste il giornalista, rivolto ai lettori – il realismo mi costringe a dirvi che l’unica arma che rimane ai vostri figli per difendersi dal destino denunciato da Angus Deaton e Anne Case è una formazione solidissima ai nuovi lavori della Disruption (che non sono solo tecnologia)». Dunque il messaggio per genitori e ragazzi è chiarissimo: «La seconda ondata di digitalizzazione in corso oggi con la Disruption porta soprattutto con sé il pericolo di un enorme divario nei redditi, oltre a una sostanziale dose di lavori perduti». Per mettere al riparo i nostri figli, e i giovani già oggi al lavoro, secondo Barnard c’è una sola arma concreta: per i giovanissimi una formazione scolastica e universitaria più aggiornata possibile, che li presenti al mondo del lavoro come appetibili, e per i già impiegati l’impegno di Stato e aziende nella riqualificazione “a vita”. Il rischio fatale, per l’Italia del lavoro, è di rimanere tragicamente indietro: «Significherebbe un prossimo secolo di arretratezza e bassa economia per tutti i nostri giovani e per i loro figli». Nel 2016 il World Economic Forum lo disse senza mezzi termini: «Chi non si prepara affronterà costi sociali ed economici enormi».
Attenzione: qualcosa di analogo a quanto sta per accadere (e di cui nessuno parla) è già avvenuto, nella storia. Per dare un’idea della dimensione planetaria del problema, Barnard cita lo scozzese James Watt: «Nel 1775 diede vita alla più dirompente Disruption della storia con l’invenzione della macchina a vapore». Fece morire di colpo i vecchi mestieri, ma al tempo stesso fece esplodere lo sviluppo sociale umano, il che significa benessere e quindi possibilità democratiche. Per 9.700 anni filati, scrive Barnard, le condizioni di vita del popolo comune «rimasero sostanzialmente identiche, a un livello abominevole, spesso peggio degli animali selvatici». Poi arrivò la Disruption di Watt – e delle scienze post-Galileo con l’elettromagnetismo di Faraday e di Maxwell – e in Occidente tutto cambiò di colpo, perché cambiò il lavoro, aumentarono i redditi e con essi la rivendicazione dei diritti. «E’ vero che la Disruption di allora si portò dietro una buona dose di lacrime e sangue prima di darci la modernità del benessere, che tuttavia furono nulla in confronto a 9.700 anni di standard di vita abietti oltre l’immaginabile. Treno a vaporeMa l’altra faccia, gloriosa, di quell’esplosione tecnologica fu di fornire alle lotte sociali mezzi tecnologici di diffusione, e quindi di successo, impensabili prima, fino appunto alla moderna civiltà».
Oggi, sottolinea Barnard, la Disruption delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence «sta scatenando un’altra storica impennata dell’umanità, che è però di molto superiore a quella di Watt per l’enorme potere tecnologico odierno. E di nuovo, tutto si gioca su come cambierà il lavoro: non chissà quando, ma entro il 2030». Demis Hassabis, Ceo di Google DeepMind (azienda che sta al centro della galassia “Ai”), ha detto: «Il nostro goal è di conquistare l’intelligenza, poi di usarla per risolvere tutti gli altri problemi». Macchine intelligenti, al posto di esseri umani. Ed enorme disparità tra chi resterà al passo e chi sarà tagliato fuori. Lo confermano gli studi delle maggiori “Consultancies” del mondo: Pwc Uk, Deloitte, McKinsey, Accenture. Tutti d’accordo, insieme agli accademici: almeno nella prima fase, la Disruption fondata sull’intelligenza artificiale (robotica, nuove tecnologie), falcerà milioni di posti di lavoro. Ma la stessa Disruption, spiega Barnard, offre Demis Hassabispossibilità di recupero nella riqualificazione, nell’aumento di richiesta per certe professioni e nel fatto che nasceranno lavori che oggi non esistono.
Tutto dipende da due fattori decisivi: la velocità dei governi nel legiferare misure per cavalcare la Disruption, favorendo la nascita dei nuovi lavori, e l’intelligenza dei datori di lavoro «nel capire che l’epoca dell’egoismo del profitto è morta, gli porterà solo fallimenti certi». Il futuro digitale «impone intelligenza», il che significa «coordinamento fra aziende, e fra di esse e lo Stato». Di fatto, avverte Barnard, con la Disruption «oggi saltano le politiche di creazione di lavoro, in Occidente, che i nostri padri e noi abbiamo conosciuto finora». Problema: «I contemporanei di un fenomeno epocale di cambiamento faticano sempre a svegliarsi di fronte al nuovo, e questo si traduce in drammi». Per dire: «Quanti italiani oggi leggono i giornali al mattino cercando ansiosamente notizie sulle politiche del lavoro del ministro Di Maio per la Disruption? Nessuno. Eppure la leadership mondiale non ha più dubbi sul fatto che essa ribalterà, come mai prima nella storia, proprio l’occupazione di numeri impressionanti nel globo». Certo, i politici «hanno il vincolo del breve mandato e l’ossessione cieca del voto-subito entro il mandato, per cui non s’impegneranno mai in politiche e dibattiti che all’italiano medio sembrano fantascienza». Idem per i media: «Sanno che la Disruption è una news che oggi si può vendere agli italiani solo al 300esimo posto dopo la casta, la corruzione, il politici-ladri, gli immigrati, le polemiche Tv, e trattano il tema principalmente come folklore da futuristi. Risultato: non un singolo organo di stampa italiano sta davvero informando su come sarà stravolta l’economia, la politica e la fabbrica sociale di ogni paese moderno per mano della Disruption».
E così si compie un circolo vizioso devastante per l’Italia, destinata ad arrancare come fanalino di coda «mentre Francia, Germania, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Russia, Cina, Sud-Est Asiatico e ovviamente gli Usa si saranno già spartiti l’immensa torta del lavoro e del Pil da Disruption». Risultato: «I giovani italiani nel precariato, in preda alla disoccupazione e ancora disperatamente dipendenti da quel rivolo che gli rimane del risparmio di nonni e genitori degli anni 70’-90’», prigionieri di un paese sempre più confinato tra i “Pigs” con Portogallo, Grecia e Spagna – non più Piigs, annota Barnard, «perché invece l’Irlanda sta capendo e cavalcando la Disruption, è ha già preso il volo da quell’acronimo infame». Ma non è destino degli dèi che debba davvero andare così, aggiunge il giornalista: a sta a noi capire la Disruption per sapere come inciderà sul Pil e sull’occupazione. Ma non c’è tempo da perdere: «La velocità di sviluppo delle nuove tecnologie per il lavoro è Machine Learningtalmente forsennata che è già stato calcolato che diversi “skills” – così si chiamano le competenze centrali per la Disruption – che vengono insegnati agli studenti oggi, tempo che gli studenti si presenteranno ai colloqui di lavoro in aziende saranno già obsoleti».
In parole semplici: «Mentre tu studi intensamente un’applicazione di Machine Learning per l’edilizia, Machine Learning ne ha scovata una migliore, tu ti presenti al colloquio di lavoro e il datore se ne fa poco, di te». Scrive il Mit di Boston: le tecnologie cambiano i modelli di business e molto spesso questi si traducono in uno sconvolgimento simultaneo del set di “skills” che le aziende richiedono, e questo già oggi crea difficoltà nell’assumere personale. Velocità: «Sarà un problema enorme proprio sul mercato del lavoro dei giovani, e altrettanto enorme per eventuali programmi di apprendistato, che rischiano di diventare degli autogoal con sprechi di finanziamenti enormi», osserva Barnard. Attenzione, però: le stesse tecnologie di Big Data possono dare al governo «un inimmaginabile potere di efficiente governanace». La stessa “cloud” potrà essere usata da tutto il sistema produttivo italiano di beni e servizi in un dialogo diretto, in tempo reale, col ministero dell’istruzione. Pubblico e privato potrebbero scambiarsi informazioni istantanee su «come sta cambiando la natura degli “skills” dentro le aziende, gli ospedali e le varie istituzioni». Lo stesso Miur, come sollecitano gli esperti internazionali, «dovrà avere l’elasticità e la prontezza di riflessi di trasmettere immediatamente a scuola e università il messaggio dei datori di lavoro», per armonizzare domanda e offerta in base ai nuovi parametri in costante evoluzione.
Fantascienza? Non ci sono alternative, par di capire. «Questo è il tipo di ambizioso progetto che un paese oggi deve essere in grado d’intraprendere se davvero è serio sulla difesa del lavoro», sostiene Barnard, auspucando «un salto innovativo, in linea con gli attori vincenti nella Disruption». Scrive McKinsey Global: «I governi devono totalmente riconsiderare i modelli scolastici odierni. La questione è urgente, e devono mostrare una leadership di grande coraggio nel riscrivere i curricula. E’ un’elasticità che da decenni il mondo del lavoro attende». Oggi, infatti, il “reskilling” è sulla bocca di tutti gli operatori Kevin Sneader, Ceo di McKinseyeconomici. Per Barnard, a salvare il sistema-Italia sarà un “reskilling” (o “upskilling”) dei lavoratori, da condurre a vita, per ogni settore del Pil italiano. «Dovrà essere intelligente, il che significa innanzi tutto che va fatto in partnership con il settore privato dell’Italia, il quale deve saper dimostrare una “vision” ben oltre la sua tradizionale e provinciale parcellizzazione». Soprattutto, le tecnologie di Big Data «dovranno essere usate da governo e datori di lavoro per “better forecasting data and planning metrics”, cioè saper prevedere le svolte e pianificare con largo anticipo la richiesta dei talenti, su cui poi appunto lanciare in tutto il paese programmi di “reskilling” (o di “upskilling”) con chirurgica precisione».
Dunque, secondo Barnard, l’Italia è alla storica sfida dell’occupazione nell’era della Disruption. «Il potere globale di quest’ultima è senza limiti, ma gli Stati possono governarla per tutelare l’impiego nella colossale tempesta dei cambiamenti». In questo sforzo, aggiunge, il governo deve comprendere un aspetto cruciale che distingue le tecnologie della Disruption: si dividono infatti in due rami, quelle di tipo Enabling e quelle di tipo Replacing. «La Disruption porterà sia una richiesta di lavori già esistenti riformulati in nuove versioni, che nuove professioni che oggi non esistono». In questo caso, nella versione Enabling, aprirà vasti bacini di posti di lavoro ma, al tempo stesso, spazzerà via schiere di mestieri perché le macchine “pensanti” li rimpiazzeranno (Replacing, appunto). Ne consegue una scelta politica di orizzonte: «E’ totalmente futile ed economicamente distruttivo continuare a Luigi Di Maiospendere sia fondi pubblici che fondi privati (delle famiglie) per formare giovani, o per incoraggiare lavori, destinati alla categoria dove le tecnologie saranno di tipo Replacing, poiché significa destinare esseri umani a un suicidio lavorativo certo».
Per Barnard, l’Italia dovrà quindi «investire massicciamente nell’adozione del maggior numero di tecnologie Enabling per ovvi motivi di creazione di lavoro», ma dovrà anche «essere scaltra nell’incoraggiare quelle che si adattano meglio alla struttura sociale, alla conformazione territoriale e produttiva del nostro paese». Un esempio concreto? «Siamo uno dei popoli più longevi del mondo, perciò la cura extra-ospedaliera dei nostri anziani arricchita dalle nuove tecnologie Enabling del settore è garanzia di creazione d’innumerevoli mansioni a ogni livello di complessità (settore del Personal Care). Sono mansioni che saranno utili a nuovi impieghi sia per i cittadini meno “skilled” che per gli specialisti. La medesima strategia va applicata alla nostra struttura architettonica, geografica, energetica, sempre per generare ampio impiego». Al problema della Disruption, in questi mesi, Barnard ha dedicato il massimo impegno, lavorando in solitudine, convinto che l’umanità sia ormai di fronte «al più dirompente cambiamento occupazionale dal 1775 a oggi», dai tempi della macchina a vapore. «Continuo a ripeterlo: le soluzioni a problemi sistemici devono essere sistemiche, il resto sono truffe vendute da politici cinici a un pubblico stupido, i cui figli poi piangeranno per generazioni».

fonte: http://www.libreidee.org/

giovedì 12 luglio 2018

Giuseppe Pellizza da Volpedo, dal Quarto Stato al suicidio


Volpedo è un piccolo comune piemontese sito in provincia di Alessandria. Il paese è conosciuto per aver dato i natali a Giuseppe Pellizza, il famoso autore del dipinto il Quarto Stato. All'interno della sua abitazione ancora oggi è presente la scala a pioli che servì a Giuseppe per togliersi la vita.
Alcune persone potrebbero pensare che il Piemonte conservi qualcosa di malsano dato il numero di letterati e artisti, da Cesare Pavese a quel veneto ma piemontese d'adozione che risponde al nome di Emilio Salgari, che decisero di chiudere anticipatamente il proprio percorso di vita. Casualità, null'altro.
Torniamo a Giuseppe Pellizza da Volpedo e a quella maledetta alba del 14 giugno 1907. L'improvvisa morte della amatissima moglie Teresa, uccisa dalla febbre puerperale, gettò l'artista in un profondo stato di depressione conducendolo sulla strada del suicido. Giuseppe s'impiccò nel suo studio, non ancora quarantenne. La scala a pioli che aiutò la veloce dipartita poggia sulla stessa terra ove trovano luce libri, gessi anatomici e quadri. Una continuità che pare cercata, voluta. Una prossimità che chiede delle spiegazioni, che non possiamo ultimare esclusivamente con la perdita dell'amata moglie.
Risaliamo la linea del tempo.


Giuseppe Pellizza nacque a Volpedo il 28 luglio del 1868, da Pietro e da Maddalena Cantù, in un’agiata famiglia contadina. Apprese i primi rudimenti del disegno grazie alla frequentazione della scuola tecnica di Castelnuovo Scrivia. L'agiatezza della famiglia unita alle conoscenze acquisite grazie alla commercializzazione dei prodotti della terra, permisero al giovane Giuseppe la frequentazione dell'Accademia di Belle Arti di Brera.
Presso la prestigiosa scuola milanese fu allievo di Giuseppe Bertini, pittore e docente italiano del movimento romantico e verista. Bertini fu docente e direttore dell'accademia di Belle Arti di Brera e primo direttore del Museo Poldi Pezzoli di Milano. Contemporaneamente ricevette lezioni private dal pittore Giuseppe Puricelli. Espose per la prima volta a Brera nel 1885. Alla fine del percorso di studi milanese, Pellizza proseguì il tirocinio formativo presso l'Accademia di San Luca a Roma. In seguito decise d'iscriversi alla scuola libera di nudo dell'Accademia di Francia a Villa Medici.
Deluso da Roma decise di trasferirsi a Firenze, dove frequentò la scuola di Belle Arti come allievo di Giovanni Fattori, considerato tra i maggiori pittori italiani dell'Ottocento e tra i principali esponenti del movimento dei Macchiaioli. Alla fine dell'anno accademico tornò a Volpedo allo scopo di dedicarsi alla pittura verista attraverso lo studio della natura. Non ancora soddisfatto della preparazione raggiunta decise di recarsi a Bergamo per frequentare l'Accademia Carrara, dove seguì i corsi di Cesare Tallone. Perfezionò ulteriormente la propria preparazione recandosi all'accademia Ligustica di Genova. Al termine di quest'ultimo tirocinio fece ritorno a Volpedo. Nel 1892 sposò una ragazza del luogo, Teresa Bidone. Nello stesso anno appose per la prima volta “da Volpedo” alla propria firma in calce alle opere. Negli anni seguenti Giuseppe Pellizza adottò il divisionismo, tecnica basata sulla divisione dei colori attraverso l'utilizzo di piccoli punti o tratti. Si confrontò con diversi pittori che utilizzavano questa tecnica, da Segantini a Morbelli, da Longoni a Nomellini.
Nel 1891, esponendo alla Triennale di Milano, si fece conoscere dal grande pubblico. Continuò ad esporre in giro per l'Italia sino al 1901, anno in cui portò a termine il Quarto Stato, a cui aveva dedicato dieci anni di studi. L'opera fu esposta l'anno successivo alla Quadriennale di Torino ma non ottenne il successo sperato, scatenando polemiche presso molti dei suoi amici.
La genesi dell'opera il Quarto Stato fu lunga e complessa. Il Quarto Stato è un'espressione introdotta durante la Rivoluzione francese da alcuni esponenti delle correnti più radicali per designare gli strati popolari subalterni, in contrapposizione alla borghesia (il terzo stato); con lo sviluppo del movimento operaio, la locuzione è stata adoperata, soprattutto nel secolo XIX e nei primi decenni del Novecento, per indicare il proletariato.


Pellizza iniziò a lavorare ad un bozzetto chiamato gli Ambasciatori della fame nel 1891 dopo aver assistito ad una manifestazione di protesta di un gruppo di operai. Il pittore rimase molto impressionato dalla scena tanto da annotare in un diario le seguenti parole: la questione sociale s'impone; molti si son dedicati ad essa e studiano alacremente per risolverla. Anche l'arte non deve essere estranea a questo movimento verso una meta che è ancora un'incognita ma che pure si intuisce dover essere migliore rispetto alle condizioni presenti. Numerose furono le opere intermediarie tra il primo bozzetto degli Ambasciatori della fame e la Fiumana. L'ultima tappa di questo percorso fu la versione degli ambasciatori del 1895 sotto forma di disegno carboncino e gesso. Scrisse Pellizza: Gli ambasciatori sono due si avanzon seri sulla piazzetta verso il palazzo del signor che proietta l'ombra ai loro piedi [...] si avanza la fame coi i suoi atteggiamenti molteplici - Son uomini, donne, vecchi, bambini: affamati tutti che vengono a reclamare ciò che di diritto - sereni e calmi, del resto, come chi sa di domandare né più né meno di quel che gli spetta - essi hanno sofferto assai, è giunta l'ora del riscatto, così pensano e non vogliono ottenere colla forza, ma colla ragione - qualcuno potrà alzare il pugno in atto di minaccia ma la folla non è, con lui, essa fida nei suoi ambasciatori - gli uomini intelligenti [...] Una donna accorso mostra il macilento bambino, un'altra, una terza, è per terra che tenta invano di allattare il bambino sfinito colle mammelle sterili - un'altra chiama impreca.


Il capolavoro a poco a poco prese forma. Pellizza, prima di dipingere la grande tela della Fiumana, decise di realizzarne uno studio preliminare. Rispetto agli Ambasciatori della Fame questa tela rappresenta un punto di rottura poiché in quest'opera la massa di gente è vastissima, tale da formare una fiumana umana, come suggerito dal titolo stesso del dipinto.
Nel 1898 un avvenimento sconvolse l'Italia ed il pensiero di Giuseppe Pellizza da Volpedo: l'inutile strage di Milano.
Nella città meneghina, in seguito all'aumento del prezzo della farina e del pane, il popolo decise di insorgere assaltando i forni per la produzione del pane. In tutta la Lombardia la situazione economica era talmente grave da convincere circa 500.000 persone ad emigrare, nei soli primi cinquant'anni dall'Unità d'Italia. Gli eventi di Milano, passati alla storia come la Rivolta dello stomaco, durarono dal 6 al 9 maggio. La sommossa del popolo fu repressa nel sangue dall'esercito comandato dal generale Bava-Beccaris. Secondo la versione ufficiale si contarono 80 vittime, testimoni oculari parlarono di almeno 300 morti, tra questi molti mendicanti che si trovavano in fila per ricevere un piatto di minestra dai frati di Via Manforte. Su queste inermi persone il generale Bava-Beccaris decise di sparare con il cannone. In seguito a queste eroiche gesta, il generale fu insignito con la croce di Grande Ufficiale dall'ordine Militare dei Savoia. Un mese dopo i fatti di Milano, il Re, che troverà la morte per mano di Gaetano Bresci, Umberto I nominò senatore il coraggioso generale.
Giuseppe Pellizza decise di modificare l'opera, rendendo la fiumana umana più tumultuosa. Nel 1898 stese il cammino dei lavoratori, bozzetto propedeutico alla realizzazione finale. Pellizza entrò nella tempesta socio-proletaria che sconvolgeva il nostro paese con un'opera che resisterà ai cambiamenti economici e politici dell'Italia. La stesura del cammino dei lavoratori richiese circa tre anni. Solo nel 1901 la grande tela soddisfò l'autore che decise di darle un nuovo titolo: il Quarto stato.


Come possiamo leggere nelle pagine del libro Il quarto stato di Aurora Scotti, la tela raffigura un gruppo di braccianti che marcia in segno di protesta in una piazza, presumibilmente quella Malaspina di Volpedo. L'avanzare del corteo non è violento, bensì lento e sicuro, a suggerire un'inevitabile sensazione di vittoria: era proprio nelle intenzioni del Pellizza dare vita ad «una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s'avanzano come fiumana travolgente ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov'ella trova equilibrio».
Il quarto stato fu mostrato per la prima volta al pubblico durante la Quadriennale di Torino del 1902. L'opera non ottenne riconoscimenti e non fu acquistata da nessun museo, come era nelle aspettative dell'autore per sistemare la situazione economica disastrosa nella quale era caduto. Il successo presso il pubblico iniziò grazie alla stampa socialista. Nonostante la censura della critica, l'opera fu stampata in una importante rivista milanese. Trovò ampio spazio nei periodici socialisti come L'avanguardia socialista e l'Avanti!.
Nel frattempo, deluso dal loro comportamento, abbandonò le relazioni con artisti e scrittori della sua epoca. Nel 1906 fu chiamato a Roma dove riuscì a vendere allo Stato una sua opera destinata alla Galleria di Arte Moderna. L'improvvisa morte della moglie gettò Pellizza in una profonda crisi depressiva. Il 14 giugno del 1906 si suicidò impiccandosi nel suo studio di Volpedo, non ancora quarantenne.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Carlo Pirovano (a cura di), La pittura italiana. Il Novecento, Milano, Electa, 1991
Davide Lacagnina, Pellizza da Volpedo Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, volume 82, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2015

Gabriella Pelissero, Pellizza per il "Quarto Stato", Torino, 1977

Aurora Scotti, Il linguaggio universale del Quarto Stato, in Oltre, nº 70, Voghera, Edizioni Oltrepo.
Aurora Scotti (a cura di), Il quarto Stato, Milano, Gabriele Mazotta Editore, 1976

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.