giovedì 25 ottobre 2018

Bono: I partiti politici che criticano l’immigrazione di massa sono opera di Satana

Il cantante degli U2 è stato recentemente impegnato in una campagna contro i partiti politici europei che sono critici nei confronti delle migrazioni di massa, il suo ultimo obiettivo è stato il ministro degli interni italiano, Matteo Salvini.
Durante il suo ultimo concerto a Milano questa settimana, il suo alter ego malvagio MacPhisto (cercate sul mio blog cosa sono veramente gli alter ego di queste celebrità) ha attaccato il popolare leader italiano, sostenendo che tutti i partiti politici critici delle migrazioni di “Ho mandato il mio popolo in tutta Europa. La mia gente ha molti nomi diversi. In Svezia si chiamano democratici, I democratici svedesi. In Francia cambiano nome. In Polonia hanno nomi che non so nemmeno pronunciare. In Ungheria, beh, lasciamo perdere “. Bono ha detto al pubblico.
Vestito come il diavolo, ha esortato gli italiani a sostenere Matteo Salvini, affermando che tutti i partiti populisti in Europa hanno lo stesso volto. Ha indicato quindi la maschera di Satana.
Recentemente Bono è stato coinvolto in polemiche per aver affermato che vuole che gli africani “conquistino il mondo”.

Dall’alto dei suoi miliardi Bono può permettersi di fare questi discorsi. Come Michael Moore anche Bono sta sfruttando il clima delle elezioni di mid term americane per vomitare le sue ideologie comuniste. Come al solito il Venezuela ti aspetta a porte aperte.

fonte: https://neovitruvian.wordpress.com/
Pubblicato su Uncategorized



lunedì 22 ottobre 2018

l'assurdo processo pubblico a Francesco De Gregori


Era il 1977 quando Roberto Vecchioni si fece conoscere al grande pubblico con l’album Samarcanda. I temi ricorrenti del disco sono quelli tipici di Vecchioni, natura, morte, amore, nostalgia e poesia. All'interno dell’album una canzone più di altre merita approfondimenti e ricerche: Vaudeville. La definizione riporta alla commedia brillante e leggera, basata sulla satira e sull'intrigo, che ebbe molto successo tra la fine del Settecento e gli ultimi decenni dell’Ottocento. La canzone, scritta ed interpretata da Roberto Vecchioni, fa riferimento ad un avvenimento occorso al cantautore romano Francesco De Gregori nella primavera dell’anno precedente. Lo stesso Vecchioni in un’intervista disse: “Ricordo il processo ideologico a De Gregori al Palalido di Milano che portò Francesco ad interrompere il tour e a isolarsi per un lungo periodo, culminato con la scrittura e la pubblicazione di Generale ed altri capolavori. Dell’episodio assurdo capitato a De Gregori ne parlo in Vaudeville, che fa parte di Samarcanda”


Vaudeville è una canzone irreale e grottesca che stigmatizza la concezione di vedere il cantautore come un guru e non come un qualsiasi uomo di spettacolo. Questa visione si comprende leggendo attentamente il testo:

E spararono al cantautore
in una notte di gioventù,
gli spararono per amore
per non farlo cantare più
gli spararono perché era bello
ricordarselo come era prima,
alternativo, autoridotto,
fuori dall'ottica del sistema.
[Scemo, scemo]
Mentre cadeva giù dalle tasche
gli rotolavan di qua e di là
soldi di Giuda, bucce di pesche
e tante altre curiosità,
mentre cadeva, buono tra i buoni
e si annebbiava vieppiù la vista
fece di getto due o tre canzoni
segno che era un grande artista.
[Scemo, scemo]
E spararono al cantautore
in un eccesso di gioventù,
gli spararono per ricordarlo
come era stato e non era più.
E con il mento fra le due assi,
steso sul palco con gli occhi bui,
senti gridare dietro quei passi
"Se lo mangiamo siam come lui"


Risaliamo la linea del tempo sino al 1976. Nella primavera di quell'anno De Gregori intraprese una tournée che partì da Pavia. La seconda tappa si svolse al Palalido di Milano, il 2 aprile, con due concerti, uno pomeridiano ed uno serale. Nel corso dell’appuntamento serale alcuni ragazzi dei collettivi politici studenteschi salirono a più riprese sul palco interrompendo il concerto. L’obiettivo era di leggere di fronte al pubblico un comunicato contro l’arresto, avvenuto alcuni giorni prima a Padova, di un militante della sinistra extraparlamentare. Tra i ragazzi che interruppero il concerto la figlia di Giorgio Bocca ed il leader del gruppo musicale Kaos Rock. I collettivi politici studenteschi avevano un secondo fine per giustificare quell'azione: contestare il cantautore ritenuto colpevole di praticare uno stile di vita lussuoso e di utilizzare, o strumentalizzare, i temi della sinistra per arricchirsi. Secondo la ricostruzione di Mario Luzzatto Fegiz, alle 22.30, dopo aver eseguito alcune canzoni controvoglia, De Gregori decise di chiudere la propria esibizione. I contestatori, paventando disordini, lo spinsero a tornare sul palco sotto la minaccia di una pistola. Francesco De Gregori fu sottoposto ad una serie infinita di domande. Gli aderenti al movimento studentesco accusarono verbalmente il cantautore con frasi dal tono intimidatorio, tra le quali: 

“Suicidati come Majakovskij”
“Vai a fare l’operaio e suona la sera a casa tua” 
“Quanto hai preso stasera?”

Dopo circa una ventina di minuti dall'inizio della delirante farsa, la polizia fece irruzione all'interno del Palalido lanciando fumogeni al fine di disperdere i contestatori.


Le prime parole di Francesco De Gregori furono: “Non canterò mai più in pubblico. Stasera mancava solo l’olio di ricino, poi la scena sarebbe stata completa”.
Pochi giorni dopo l’incredibile evento, il cantautore romano scrisse una lettera a Muzak – rivista musicale italiana fondata nel 1973 a Roma - dichiarando che i contestatori avevano commesso “un grave errore politico, che non può che consolidare l’universo musicale consueto e ricacciare a destra autori e gruppi potenzialmente disponibili ad iniziative di sinistra”.
Nonostante il minacciato ritiro dalle scene, nell'autunno dello stesso anno De Gregori fu nuovamente sul palco per una serie di concerti tra Palermo e La Spezia. Terminati questi pochi spettacoli, si prese un anno di lontananza dalla scena musicale. L’episodio colpì profondamente il mondo della musica. Oltre alla citata Vaudeville di Roberto Vecchioni, altre canzoni fanno esplicito riferimento al pubblico processo a De Gregori: Era una festa di Edoardo Bennato e Nel tempo di Luciano Ligabue.

La canzone di Bennato ricorda il clima surreale di quella serata con le seguenti parole:
Francesco forse non se lo aspettava
vedeva intorno a se solo ragazzi come lui
gli dicono compagno sei in errore
la tua avventura si conclude
noi invece andiamo avanti e non ci fermeremo mai
Luciano Ligabue ricorda gli eventi nella canzone Nel tempo del 2010:
C’ero nel ‘settantasette
a mio modo e col mio passo
il processo a De Gregori
C’ero coi Police a Reggio
c’erano due torri e un muro
e Berlinguer e Moro lì


Nel 1978 Francesco De Gregori tornò sulla scena musicale con il bellissimo album De Gregori, disco contenente la famosa Generale. Nel mese di luglio dello stesso anno, De Gregori e Lucio Dalla tennero un memorabile concerto allo stadio Flaminio di Roma davanti ad oltre 40.000 spettatori. Quella sera fu l’inizio di una bellissima avventura che si concluderà l’anno successivo, dopo una serie incredibili di concerti da tutto esaurito. Ai concerti seguì un film ed un disco da oltre 500.000 copie vendute. De Gregori e Dalla ottennero un seguito popolare che non aveva precedenti nella storia della musica italiana, rivoluzionando il modo d’intendere il rapporto tra il cantautore ed il suo pubblico. Furono i primi a sbarcare negli stadi di calcio. Purtroppo anche Lucio Dalla conoscerà la contestazione ad un suo concerto: i fatti si svolsero a Milano nella magnifica cornice del Castello Sforzesco. Il 24 luglio del 1978, il palco dal quale cantava Dalla fu investito dal lancio di una bomba molotov. Quelle atmosfere si respirano nelle parole di Bennato: Era una festa e sembrava una guerra, era Roma e sembrava il Vietnam.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

lunedì 15 ottobre 2018

il governo ombra dei 5S





"Condividono la memoria, le esperienze, le sensazioni. La memoria diventa oggetto di normale commercio."
cit. Prometeus


VISIONI E DELIRI DISTOPICI:

In Prometheus, video distopico ed inquietante del 2007, viene presentato il mondo prospettato dalla Casaleggio Associata, costola ed avanguardia liberista transnazionale del macro-sistema.
La propaganda narrata gioca volutamente sull'ambiguità di un futuro post-apocalittico ed un augurabile modernismo (non si capisce bene per quale assurda ragione) ricco di auspici riguardo l'uomo macchina con strizzate d'occhio al transumanesimo da film fanta-politico, spiegoni positivi sul pensiero unico (bella roba...), sull'eliminazione della diversità, ergo, sulla perdita di milioni e milioni di posti di lavoro, sull'eliminazione del diritto d'autore, mostrato subdolamente come rivoluzione per la massa ignorante.
La distruzione del diritto d'autore, prospettata come paradigma da perseguire, per loro di una importanza strategica primaria, assume particolari inquietanti perché ricalca, senza celarlo troppo, quel mondo orwelliano che ne criticava proprio i presupposti totalitari.
Qui, al contrario si esaltano, vengono edulcorati e fatti accettare.
La distruzione del diritto d'autore, per lor signori, è un fattore strategico importantissimo, perché è uno step transumanista che rappresenterà l'ancora di salvataggio del tecno-fascismo, oramai svelato nei suoi intenti.
Il problema si porrà quando il cittadino si troverà in futuro a non poter possedere più la sua memoria, la sua creatività, questo significherà averlo completamente annullato come individuo, sottomesso totalmente, svuotato spiritualmente.
Per questo motivo la propaganda di "Prometeus" auspica e prospetta il discorso delle memorie collettive da condividere, di cui FB, Instagram e affini sono solo i primi esperimenti transumani ben riusciti.
La memoria condivisa che potrà essere un giorno cancellata, rimossa, manipolata, comprata dal migliore acquirente che potrà sottomettere chi non ne possiede affatto, che rappresenterà la classe sociale dominante, in quanto possessore di più quote di memoria, magari vendute come azioni in Borsa ed utilizzate per i più loschi fini di potere.
L'eliminazione della memoria di un popolo, di un individuo, ricorda le peggiori pagine buie dei secoli scorsi e rappresenta l'anticamera di ogni totalitarismo ed autoritarismo.

La distruzione del diritto d'autore è il primo passo verso la distruzione del pensiero individuale, l'annullamento della propria creatività e, quindi, del proprio spirito (per osmosi collettivo), che diverrà in un futuro prossimo, ASSOLUTA PROPRIETA' delle multinazionali che saranno i nuovi casati monarchici (altro che eliminazione degli stati sovrani obsoleti, qui si costituiranno Tecno-Stati ben più totalitari).
Il globalismo è solo un Supra-Nazionalismo.
La distruzione del diritto d'autore, tanto prospettata e fatta piacere all'utente medio che crede ingenuamente sia cosa buona il fatto che solo i giganti mediatici guadagnino qualcosa nel mondo digitale lasciando solo le briciole agli artisti, capirà solo in seguito di essere stato il cavallo di troia del peggior liberismo totalitario.
Equivale alla distruzione del diritto dei lavoratori e alla distruzione dello Stato sociale, sono fenomeni che vanno di pari passo e non a caso, equivale anche alla distruzione del sovranismo e delle comunità, perché per questi novelli neo-aristocratici sono modelli da resettare, perché rappresentano quelle garanzie progressiste che le lotte popolari, in concerto con le avanguardie illuminate, avevano ottenuto con il sangue nei secoli scorsi.
Loro vogliono un mondo transumanista e non umanista.
La distruzione del "diritto di ingegno", significa che l'autore (solitamente il piccolo autore) non potrà guadagnare più nulla o comunque sempre meno, mentre una sovrastruttura ne trarrà i benefici dalla sovragestione, molto di più di quanto già non accada oggi, in un mondo di falsa uguaglianza dove qualcuno è più uguale degli altri (vedi multinazionali che non pagano tasse, facendole indirettamente pagare poi agli utenti gonzi attraverso il rincaro dei prodotti delle pubblicità trasmesse).
La cosa peggiore di questo grande orrore è che viene fatto piacere alla gente, presentato ed imbellettato come una giusta e sana rivoluzione liberale, mentre si tratta sempre e solo, di rigurgiti totalitari della peggiore conservazione aristocratica nera, in un solo termine, Tecno-fascismo.
cit. AVATAR PASOLINI



IL GRANDE CAPO DIETRO LE QUINTE:

Enrico Sassoon. Tre lauree, la prima in economia alla Bocconi nel 1973, Sassoon proviene da una famiglia di origini ebraiche, imparentati con i Rothschild.
Nel 1974, le altre due sono state conseguite in Scienze Politiche e Storia, Enrico Sassoon mette piede nell’Ufficio Studi della Pirelli, “allora considerato un think tank tra i migliori d’Italia in campo economico”. Una carriera fondata all’insegna dei think tank, dove le lobby economiche incontrano il potere politico per decidere le sorti future di uno stato (o di un insieme di stati). E deve averne fatta di strada il nostro Sassoon se è vero com’è vero che nel tempo è diventato Board Member e Presidente del Comitato Affari Economici dell’American Chamber of Commerce in Italy, la camera di commercio americana in Italia, “un ponte qualificato tra Italia e Stati Uniti con un network di cinquecento soci che include il cuore del mondo produttivo italiano, un gruppo di aziende ad alto tasso di internazionalizzazione capace di rappresentare il 2% del PIL nazionale.”

Praticamente una super lobby di multinazionali, banche e grandi gruppi che unisce le forze per proteggere in maniera più efficace i propri interessi e che promuove lo sviluppo dei rapporti commerciali tra Italia e USA.
Per rendere bene l’idea di quanto esteso sia questo cartello basta leggere i nomi di alcuni dei gruppi presenti in Amcham: Standard & Poor’s, Philip Morris, IBM, Microsoft, ENI, Enel, Intesa San Paolo, Sisal, Rcs Editori, Esso, Bank of America, Coca Cola, Fiat, Fincantieri, Finmeccanica, Italcementi, Jp Morgan, Pfizer, Rai, Sky, Unicredit…
Tutti i migliori/peggiori gruppi che hanno generato la crisi economica in cui versiamo.
Enrico Sassoon, primo e più importante socio della Casaleggio, siede fianco a fianco con certi personaggi. Che poi sono gli stessi componenti dell’Aspen Institute Italia, think tank tecnocratico, diretta emanazione del gruppo Bilderberg. Quando il Sistema si organizza è capace di tutto: persino di creare un Comitato Esecutivo Aspen formato – oltre che da Enrico Sassoon della Casaleggio – anche da Mario Monti, John Elkann, Romano Prodi, Giulio Tremonti, tutti componenti italiani del Bilderberg.
Ora: come diavolo è possibile che la Casaleggio, a detta di molti spin doctor e influencer di Grillo e del Movimento 5 Stelle, abbia il suo membro più importante all’interno di un Istituto popolato da quelli che dovrebbero in realtà essere i nemici dichiarati proprio di Grillo? Qual è la ragione per cui questo accade?
Le stranezze, purtroppo, non finiscono qui: a parte il fatto che il dominio beppegrillo.it risulta intestato ad un certo Emanuele Bottaro di Modena, e potrebbe trattarsi di un normale prestanome (ma la trasparenza?), a destare sospetti è la domiciliazione del gestore tecnico del dominio, Via Jervis 77 a Ivrea. Lo stesso indirizzo della sede legale Olivetti, gruppo Telecom Italia.
Cosa c’è di così strano? C’è che Gianroberto Casaleggio, il secondo socio per importanza della Casaleggio, fa partire la sua avventura professionale proprio nella Olivetti, guidata all’epoca da Roberto Colaninno, attuale presidente di Alitalia e padre di Matteo, deputato Pd. Poi Gianroberto inizia la scalata sociale e diventa amministratore delegato di Webegg, joint venture tra Olivetti e Finsiel. A fine giugno 2002 Olivetti cede la propria quota del 50% in Webegg S.p.A. a I.T. Telecom S.p.A., che nel frattempo partorisce Netikos Spa, dove il più famoso dei Casaleggio partecipa al Cda con Michele Colaninno (secondogenito di Roberto e presente nel Cda Piaggio). Questo fino al 2004, quando decide di fondare la Casaleggio Associati, attuale editore di Beppe Grillo, con altri dirigenti Webegg. Tra cui proprio Enrico Sassoon.
La Casaleggio parte forte e chiude due contratti importanti, prima con Grillo poi con l’Italia dei Valori, quest’ultimo finito a male parole quando Di Pietro e De Magistris capiscono chi si sono messi in casa. Grillo, invece, decide di continuare il suo percorso di crescita con gli strateghi legati ai più noti gruppi di potere italiani e non.
A questo punto le domande che sorgono sono tante: può Grillo non sapere che Sassoon siede, fianco a fianco, con Monti, Tremonti e gli altri? Può Grillo non sapere che la gestione tecnica del suo dominio è domiciliata nella sede di un’azienda legata al Gruppo Telecom, contro cui lui si è scagliato più e più volte?



Sassoon-Shoshans-family
APPUNTI DI STORIA:
LA FAMIGLIA SASSOON, alias SHOSHANS

Famiglia ebraica tra le più ricche ed antiche del mondo, probabilmente di origine mesopotamica. I Sassoon infatti deriverebbero dai Shoshans, uno dei cui esponenti più importanti fu il Principe (“Nasi”) spagnolo Ibn Shoshans (Yazid ibn Omar ha-Nasi). Nel Cinquecento, per sfuggire alle persecuzioni spagnole, i Sassoon si rifugiarono a Baghdad. Alla fine della Prima Guerra Mondiale furono tra i protagonisti della formazione dell’Irak, il cui primo Ministro delle Finanze fu proprio Eskell Sassoon, che diresse questo ministero per ben sette governi consecutivi. In questo ruolo Sir Eskell firmò l’accordo con British Petroleum, pretendendo che i proventi iracheni per l’estrazione del petrolio fossero corrisposti in oro e non in sterline. L’idea si sarebbe rivelata geniale, poiché nonostante l’abbandono del Gold Exchange Standard degli anni Trenta, con conseguente flessione della sterlina, l’Iraq non avrebbe risentito della crisi internazionale.

Nella prima metà dell’Ottocento il nonno di Sir Eskell, David Sassoon, fondò una grande banca a Bombay, la David Sassoon & Co, diventando una delle personalità più influenti dell’India. Il fratello di David, Albert Abdallah David Sassoon, per i giganteschi guadagni procurati alla Corona inglese, nel 1890 fu addirittura nominato Barone dalla Regina Vittoria.
David, tramite la sua banca ed i virtù del prestigio della sua famiglia, ottenne dalla Banca d’Inghilterra (controllata dai Rothschild), il monopolio in India per lo sfruttamento del cotone, della seta e dell’OPPIO. Soltanto in un anno, tra il 1830 ed il 1831, David vendette 18.956 casse di oppio. I suoi otto figli, inviati in tutti i posti chiave del commercio in Oriente con la solita tattica Rothschild, riuscirono ad estendere il loro monopolio dell’Oppio in Cina ed in Giappone. In quei Paesi i Sassoon hanno naturalmente aperto importanti filiali della loro banca, a cui hanno aggiunto, società finanziarie, gigantesche aziende tessili ed agricole ed imponenti società di assicurazioni come la Oriental Life Insurance.
La scintilla che fece scoppiare la Guerra dell’Oppio tra Inghilterra e Cina vide proprio i Sassoon come i principali protagonisti. Nel 1839 l’Imperatore cinese Dao-Guang proibì l’assunzione ed il commercio di questa sostanza. I suoi soldati gettarono nei fiumi migliaia di casse di droga appena uscite dai laboratori di Canton della famiglia Sassoon, che chiesero aiuto al Governo britannico tramite l’intermediazione dei Rothschild (i quali, insieme alla Regina, fino a quel momento avevano fatto grandi affari con i Sassoon proprio grazie all’oppio). E la guerra iniziò.
Dopo tre anni il Trattato di Nanchino sanciva la piena legalizzazione dell’oppio in Cina, la sovranita della vittoriosa Inghilterra su diverse aree costiere del Paese e un forte risarcimento (pari a due milioni di sterline) ai “danneggiati” Sassoon. Da notare che i cinesi dovettero pagare interamente anche le spese di guerra agli inglesi, per la favolosa cifra di 21 milioni di sterline.

Il monopolio della droga da parte dei Sassoon, però, si limitava alle zone costiere della Cina, così alla ricca famiglia fu necessaria una seconda Guerra (1858-1860), per sperare di raggiungere finalmente l’obiettivo dell’esclusiva sulla vendita di oppio in tutto il territorio nazionale. Il nuovo conflitto fu sanguinosissimo, gli inglesi non esitarono a radere al suolo e saccheggiare i templi ed i santuari di Pechino. Il successivo Trattato di Pace, stipulato il 25 ottobre 1860, assicurò ai Sassoon l’esclusiva del commercio di droga sui sette ottavi della Cina. L’Inghilterra riuscì ad annettersi Hong Kong oltre ad una serie di altre zone strategiche all’interno della nazione. Gli affari di famiglia si moltiplicarono, grazie anche al contributo della società Russell & Company, che armava per conto dei Sassoon le navi commerciali che trasportava oppio dall’India alla Cina tornando indietro cariche di Tè. La società (fondata dal cognato di William Huntington Russell, co-fondatore della discussa società segreta Skull & Bones), era in mano a Warren Delano, principale azionista, nonno materno del futuro Presidente degli USA Franklin Delano Roosevelt, il quale ereditò una gigantesca fortuna proprio grazie a questa joint venture con i Sassoon.
All’inizio degli anni ’80 dell’Ottocento la famiglia Sassoon poteva ormai contare su un immenso commercio di oppio, che nella sola Cina superava le 105 mila casse all’anno. Nel 1887 Edward Albert Sassoon sposò Caroline Rothschild e l’alleanza economica tra le due famiglie fu consacrata definitivamente.
Un’alleanza Rothschild/Sassoon/Delano Roosevelt che causò – e causa ancora – la morte di milioni di cinesi.
I Sassoon, al giorno d’oggi, possiedono la ED Sassoon Bank, la David Sassoon & Co Bank, l’Oriental Life Insurance e controllano, tra gli altri, The Observer ed il Sunday Time.

Enrico Sassoon – Direttore dell’Harvard Business Review Italia, Amministratore delegato di StrategiQs Edizioni, Presidente di Leading Events e di Global Trends, esponente di spicco dell’Aspen Institute Italia (di cui è Presidente Giulio Tremonti), nonché fondatore e principale azionista della Casaleggio Associati (società di comunicazione informatica che gestisce, tra l’altro, le edizioni ed il blog di Beppe Grillo) – è fratello del noto sociologo Joseph Sassoon, che è anche fondatore e Presidente della Alphabet. Il loro padre, Léon Sassoon – importante imprenditore siriano con un forte giro d’affari in Siria ed in Italia – è stato Presidente e Tesoriere della Sinagoga sefardita di Holland Park, a Londra.

Harvard Business Review Italia, direttore Enrico Sassoon, collaboratori Corrado Passera, Carlo Pesenti.
Harvard Business Review Italia
Stato bandiera Italia
Lingua italiano
Periodicità 10 numeri all’anno
Genere business management
Fondazione 2006
Formato magazine
Editore Strategics Edizioni Srl
Diffusione 15.000
Sito web http://www.hbritalia.it/

Harvard Business Review Italia è l’edizione italiana della Harvard Business Review, rivista di management pubblicata per la prima volta nel 1922 dalla Harvard Business School Publishing, di proprietà della Harvard Business School. È una rivista a cadenza mensile, basata sulla ricerca, scritta per i professionisti del business e del management. Da 85 anni si colloca sul mercato editoriale come un ponte tra la formazione accademica e la realtà delle aziende.
Tra i suoi collaboratori annovera personaggi del mondo accademico e finanziario tra i quali Corrado Passera, Pietro Guindani, Carlo Pesenti, Andrea Illy, Alessandro Di Fiore, Vittorio Terzi, Leonardo Zaccheo, Ignazio Rocco di Torrepadula, Umberto Bertelè, Anna Gervasoni, Franco Giacomazzi e Walter J. Scott.
A contributi di rilevanza internazionale affianca analisi delle case history nazionali di maggior successo.
Concetti di management e business, termini come Balanced scorecard, Core competence, Strategic intent, Reengineering, Globalizatione Marketing myopia sono stati diffusi per la prima volta nelle pagine di HBR.
Il numero di copie di tiratura: Stati Uniti: 240.000 ; resto del mondo: 250.000, in 11 edizioni nazionali (Cina, Russia, Taiwan, Giappone, Germania, Polonia, Sud America, Ungheria, Italia).
La rivista è editorialmente indipendente dalla Harvard Business School.
L’edizione italiana di Harvard Business Review è pubblicata da Strategiqs Edizioni S.r.l., il cui fondatore e Presidente è Alessandro Di Fiore. Direttore della rivista è Enrico Sassoon.
Storia e organizzazione
L’Harvard Business Review nasce nel 1922 come progetto editoriale della Harvard Business School e dei suoi studenti. Nella prima pubblicazione, il preside della Harvard Business School, Wallace B. Donham, descrisse gli obiettivi della rivista nell’articolo An Essential Groundwork for a Broad Esecutive Theory e scrisse che la teoria del business si dovrebbe sviluppare in modo da consentire al manager di imparare dalle altrui esperienze come comportarsi nelle situazioni reali. Altrimenti, il business continuerà ad essere non sistematico, casuale e, per molti, un patetico gioco d’azzardo.

Il Preside Donham e gli editori credevano che la rivista sarebbe stata un naturale complemento alla scuola. Nei suoi primi anni, la rivista si focalizzava sul trend e lo sviluppo macroeconomico e pubblicava articoli industriali specifici come Are Railroad Freight Rate Structures Obsolete? La rivista conteneva, inoltre, una sezione con i contributi degli studenti che fu interrotta nel 1939. HBR ha iniziato a spostare il suo focus editoriale sul general management dopo la seconda guerra mondiale, quando un crescente numero di manager cominciò ad interessarsi alle tecniche di gestione introdotte dalla General Motors e da altre grandi aziende. Nei successivi tre decenni, la rivista ha continuato perfezionare il suo focus sulle problematiche del general management incontrate dai business leader, presentandosi come la rivista per decision maker. Alcuni tra i principali articoli pubblicati in questo periodo includono Marketing Myopia, Barriers and Gateways to Communication e How Competitive Forces Shape Strategy.
Un importante periodo nella storia della rivista risale alla fine del 1980, quando Theodore Levitt era editore della rivista. Levitt, il professore di HBS, realizzò cambiamenti editoriali e di design tesi a rendere la rivista meno specialistica e più fruibile ad un’audience di general business, con articoli più brevi riguardanti una gamma più ampia di argomenti e l’introduzione di vignette in stile newyorchese.
Originariamente pubblicata da HBS, HBR a partire dal 1993 viene pubblicata dalla Harvard Business School Publishing, una filiale non-profit di Harvard_University che pubblica anche casi, libri (grazie alla HBS Press), “newsletter”, e programmi e materiali formativi aziendali. Nel 2001, la rivista ha cambiato la sua periodicità da bimestrale a mensile.
Dal 1959, il McKinsey Award premia, grazie ad un gruppo di giudici indipendenti, i due più significativi articoli di management pubblicati ogni anno.
Alcuni dei vincitori includono guru del management come Peter Drucker che è stato premiato per 7 volte, Theodore Levitt, Michael Porter, Rosabeth Moss Kanter, e C.K. Prahalad.


Per approfondimenti vedi anche JewishEncyclopedia e Finanza In Chiaro.it
http://katehon.com/it/article/chi-e-enrico-sassoon-padrino-di-casaleggio-associati-e-movimento-5-stelle
https://www.panorama.it/news/politica/gianroberto-casaleggio-massoneria/

fonte: http://maestrodidietrologia.blogspot.com/

giovedì 11 ottobre 2018

Margherita, l'amore di Dolcino


Muoio davanti ai tuoi occhi pieni di lacrime e fuoco, muoio straziata, ma non pentita.
Muoio oggi condannata da un tribunale ingiusto che si è allontanato dalla retta via, che non ha saputo comprendere la nostra resistenza, la forza che ci ha uniti tutti, manipolo di disperati con un’unica fede, quella in un Dio giusto e benevolo, capace di essere severo con i propri figli ma anche magnanimo.
Muoio per averti amato, fino all’ultimo giorno, per esserti stata accanto nella fuga, al freddo, calpestando una terra amica e nemica che non ci ha saputo accogliere e proteggere dall’avanzata dell’esercito.
Muoio perché mi hai conquistata, con le tue parole, con la tua forza, con il tuo animo puro e nostalgico.
Muoio per te, perché un giorno chi racconterà la nostra storia di resistenza, di sofferenza e di tenacia, parli di noi come coloro che non si sono piegati ai soldati di Avogadro, che hanno sconfitto la paura e la fame per lungo tempo.
Muoio per te Dolcino, perché hai saputo scuotere il mio animo sopito e ora resterò accanto a te nel tempo. Io, Margherita Boninsegna, sarò per sempre la donna che con te ha combattuto contro la dissolutezza della Chiesa di Roma.


Sono nata in un giorno qualunque, probabilmente nella seconda metà del XIII secolo. Il luogo non importa, forse Trento, forse Arco. La sola cosa che conta è la mia storia dopo l’incontro con te, Dolcino.
È il 1303. Dolcino è nella zona trentina, dove io vivo, in predicazione. Per caso il mio sguardo si incrocia col suo. Le sue parole ardenti conquistano il mio cuore. È a capo degli Apostolici, ordine fondato da Gherardo Segarelli, morto sul rogo qualche anno prima. Predica con ardore una vita di povertà, di rinuncia a qualsiasi bene terreno, alla casa stessa. Predica la santità, il distacco da tutto ciò che di materiale può distogliere gli uomini dalla vicinanza con Dio, come i primi apostoli. Predica con parole di fuoco contro la dissolutezza della Chiesa e degli ecclesiastici. Un uomo semplice, appassionato, dalla lunga barba incolta, dagli occhi profondi come le caverne in cui ci saremmo rifugiati in seguito.
Vestito in modo povero, con un ampio mantello scuro sulle spalle, quell’uomo venuto da lontano tuona ad una folla attonita che lo ascolta instupidita.
Io no. Le sue parole arrivano al mio cuore, mi scaldano, mi strappano dalla materialità a cui sono abituata e mi attraggono verso di lui. Un attimo e la decisione è presa. Lascio tutto, la mia famiglia, i miei beni, la mia comoda vita di provincia per calpestare nuove strade, senza meta, con il solo scopo di diffondere la parola degli Apostolici. Il cammino è lungo, spesso difficile. A noi si uniscono altri. Diventiamo il piccolo gregge di Dolcino.


Ma la Chiesa di Roma non vuole che il nostro pensiero si diffonda, che altri come noi si schierino contro la dissolutezza dell’apparato ecclesiastico, dei papi. Siamo fuorilegge, eretici, da cacciare, da perseguitare e condannare. Ci aspetta il rogo?
Ci spostiamo verso ovest, scatenando l’ira dell’Inquisizione, che si scaglia inesorabile contro la popolazione che ci offre cibo, riparo e aiuto. Ci vogliono isolare, ma la forza della nostra fede, l’ardore della predicazione di Dolcino conquista la folla, la gente comune come noi. Le sue parole ardenti sono come tizzoni accesi che riscaldano il freddo inverno delle montagne del nord.
Il tempo passa. Il nostro peregrinare ci porta nel 1304 sulle montagne del vercellese. La difficoltà del vivere quotidiano ci piega, ma non ci impedisce di armare il nostro braccio per difenderci da chi ci insegue. I vescovi di Novare e di Vercelli, l’Inquisizione, tutti vogliono le nostre teste, tutti ci voglio fermare.
Siamo braccati, come agnelli inseguiti dai lupi. Ci nascondiamo nei boschi, nelle caverne fra le montagne, là dove gli eserciti non possono arrivare. O almeno così pensiamo. I più deboli restano lungo la strada, fratelli e sorelle che saranno sempre nel nostro cuore.
Siamo affamati, armati solo di bastoni e della nostra fede.


Ci rifugiamo in una zona remota, Parete Calva, mentre l’astio dei vescovi si fa sempre più forte. Per stanarci e annientarci assoldano un gruppo di balestrieri genovesi e dei mercenari. Sentiamo il loro fiato sul collo, il loro odio avanzare lento lungo le pendici della montagna. Il buio della notte ci è amico. Ci spostiamo per sfuggire alla morte, per raccogliere le forze.
Occupiamo la Valsesia. La popolazione è divisa: chi è con noi ci aiuta come può, chi è contro di noi subisce razzie e furti. Abbiamo bisogno di sopravvivere.
Il nostro esercito di bastoni cresce. Il comportamento sconsiderato della milizia vescovile ci aiuta a raccogliere nuovi consensi. Tutti guardano a noi e alla nostra resistenza, anche il sommo Vate. È inverno. Un altro fra le montagne. Tante bocche da sfamare, il morale a terra, molti di noi si arrendono alla morte.
Il mio bene verso di lui non muta mai, lo seguo sempre, senza mai indietreggiare. La disperazione ci porta a Varallo, per raccogliere cibo e denaro. La morsa del ghiaccio ricopre tutto, donne e bambini sono i più deboli, altri morti dietro di noi.
Il 9 marzo 1306 lasciamo il rifugio di Parete Calva per andare verso le montagne del biellese. Lungo la strada perdiamo anche l’ultimo briciolo di umanità che albergava nei nostri cuori. Siamo come bestie, non più agnelli, ma a nostra volta lupi, affamati, arrabbiati, in lotta contro l’esercito e la popolazione che non ci accoglie più.
La rabbia ci mangia da dentro. L’ardore iniziale lascia il posto all’odio cieco, al desiderio di vendetta verso chi ci sta braccando da un tempo lungo. È guerra aperta. Saccheggiamo Trivero, poi i paesi vicini. La Chiesa risponde mettendo in campo nuove forze. Ci stabiliamo sul Monte Rubello. Facciamo di quel luogo la nostra casa, costruendo fortificazioni e ripari, gallerie sotterranee e pozzi. Anche le vette limitrofe diventano nostre roccaforti di difesa.
La lotta si fa sempre più aspra. Un nuovo cacciatore ha imbracciato le armi contro di noi.
È il vescovo di Vercelli, Raniero Avogadro. Da uomo di chiesa a guerrigliero il passo è breve: vuole essere lui personalmente a catturarci, a domare Dolcino e la sua agente. Sale a cavallo, guida le milizie contro di noi, con l’aiuto del papa, degli inquisitori lombardi, del duca e dell’arcivescovo di Milano. Sento la fine avvicinarsi. La neve ancora brilla sotto i nostri piedi, l’inverno combatte con noi al loro fianco.
I lupi messi alle strette reagiscono, combattono fino alla morte. Noi abbiamo fatto così. Un piccolo esercito affamato e stremato contro le milizie della Chiesa. La prima battaglia a Mosso è a nostro favore.
Schiacciamo le truppe del vescovo senza pietà. I bastoni battono le spade, lasciando a terra solo corpi insanguinati. Il tempo passa. Il vescovo non vuole mollare, arriva un altro inverno, inesorabile, rigido.
Gli uomini di Avogadro sono di nuovo organizzati, armati e ben nutriti. Noi siamo solo un branco di disperati.
Il 23 marzo 1307 veniamo catturati, insieme. La Chiesa ha vinto ancora. Ci portano nelle carceri vescovili di Biella. Ci dividono. Mentre lo trascinano via, Dolcino strepita, si dibatte, scalcia, come una bestia feroce, indomabile. Urla il mio nome. Lo guardo andare via, i miei occhi pieni di lacrime sanno cosa ci attende.
Lo guardo e ricordo ogni istante insieme. Ogni gioia, ogni dolore.
Quello che avviene dopo poco conta, i mesi che ci separano dalla morte sono solo lo specchio di un copione che l’Inquisizione e la Chiesa mettono in scena ogni volta che qualcuno è accusato di eresia.
La sentenza scontata ci condanna a morte. Di noi parlerà la storia. Per alcuni saremo un esempio, per altri solo un branco incontrollato di assassini.
Mi conducono al patibolo. Il boia è pronto, sulle rive del Cervo, a straziare il mio corpo. Il mio bene, Dolcino, mi aspetta, condannato a guardarmi morire, le mani legate dietro la schiena, piegato da mesi di carcere e torture. I nostri occhi si incontrano ancora, un’ultima volta, pieni di fuoco come quel primo giorno nel territorio di Trento. Anche io non sono più la stessa, le pene corporali mi hanno cambiata, ma il mio spirito è immutato. Possono prendersi la mia vita ma non la mia libertà, il mio cuore dolciniano.
Muoio oggi davanti ai tuoi occhi. Il fuoco è spento soffocato dal dolore.
Pochi giorni e saremo insieme, liberi di vagare sulle nostre montagne dove l’inverno non ci piegherà più.
I nostri corpi straziati bruceranno insieme a quelli di atri fratelli e sorelle, morti come noi in nome di Dio.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

lunedì 8 ottobre 2018

i periodi di unipolarità? Sono sempre durati solo un attimo

Ai dirigenti, ai politici, agli opinion leader e agli ‘esperti’ americani piace parlare del “momento di unipolarità” e della posizione di “iper-potenza” di cui, nella loro immaginazione, godrebbero nel mondo gli Stati Uniti. Da questa fantasia vengono completamente esclusi tutti i fatti storici ad essa poco convenienti. Il momento unipolare degli Stati Uniti (ammesso e concesso che sia mai esistito) è durato meno di un decennio, dal disfacimento dell’Unione Sovietica, alla fine del 1991, al 15 giugno 2001. Il “momento” degli Stati Uniti è riuscito a malapena ad arrivare alle soglie del 21° secolo. In quel fatidico 15 giugno 2001 si erano verificati due eventi di grande importanza. Primo, il presidente americano George W. Bush aveva tenuto un discorso a Varsavia in cui dichiarava che l’obbiettivo strategico più importante degli Stati Uniti era l’integrazione nella Nato dei tre staterelli baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Nello stesso giorno, Russia e Cina davano vita, insieme ad altre quattro nazioni dell’Asia Centrale, allo Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, la più popolosa e potente organizzazione per la sicurezza internazionale della storia. Quest’anno, lo Sco ha raddoppiato la sua popolazione grazie all’ingresso, in contemporanea, di India e Pakistan, due grandi potenze nucleari con una popolazione complessiva di 3 miliardi di persone, quasi il 40% della razza umana.
Con la creazione dello Sco, destinato fin dalle origini a preservare e a proteggere un mondo multipolare dalla dominazione di un’unica potenza, il momento unipolare degli Stati Uniti si è ritrovato morto e sepolto. Questo dato di fatto era statoNapoleoneconfermato tre mesi dopo, quando l’attacco terroristico di Al-Qaeda dell’11 settembre 2001 aveva causato la morte di circa 3000 persone. Quel giorno erano morti più americani che durante l’attacco giapponese a Pearl Harbor, nel 1941. George W. Bush avrebbe dovuto essere messo sotto impeachment per la sua grande incapacità. Invece la sua popolarità era salita alle stelle. Pensando che il momento (o l’era) unipolare fosse ancora nel suo pieno splendore, alla fine di quell’anno aveva invaso l’Afghanistan e, meno di due anni dopo, l’Iraq. Gli Stati Uniti sono ancora perennemente impantanati in quelle guerre di cui non si vede la fine. Gli schemi della storia, completamente ignorati dai media, dalla casta degli opinion leader e dal mondo politico americano, questa lezione, invece, ce la insegnano di continuo. Negli ultimi 1500 anni si sono verificati diversi momenti unipolari per quelle grandi potenze che cercavano di dominare il mondo, ma tutte sono collassate nel giro di pochi anni.
Quando la Spagna degli Asburgo e i suoi alleati ebbero definitivamente sconfitto la grande flotta del potente Impero Ottomano nella Battaglia di Lepanto, nel 1571, il dominio imperiale della Spagna su tutta l’Europa sembrava assicurato. Ma la Spagna era già invischiata in una rivolta olandese che era iniziata nel 1588. Nei decenni successivi (questa ribellione) si sarebbe rivelata più massacrante degli attuali interventi americani in Afghanistan e in Iraq. Il sogno della dominazione spagnola di Re Filippo II sarebbe stato definitivamente seppellito solo 17 anni dopo Lepanto, nel 1588, con la distruzione dell’Invincibile Armada, la flotta che avrebbe dovuto conquistare l’Inghilterra. Poi era stato il turno della Francia. Il suo dominio sull’Europa sembrava essere stato sancito dalla Pace di Vestfalia, nel 1648. Ma, fra il 1660 e il 1670, Luigi XIV, il re pazzo per la gloria, soprannominato “Re Sole” aveva già ripetuto l’errore della Spagna e aveva impantanato la nazione in una serie di guerre che Il Re Solesarebbero durate quasi mezzo secolo in quelli che ora sono Belgio, Olanda e Germania meridionale. Il momento unipolare della Francia era durato meno di vent’anni.
Dopo erano arrivati gli inglesi. Anche dopo aver vinto le guerre napoleoniche contro la Francia, si erano resi conto di non poter dominare il mondo da soli ed erano stati costretti a dividerlo con le assai più conservatrici grandi monarchie d’Europa: la Russia, l’Impero Austro-Ungarico e la Prussia. Nel 1848, i re di Francia, dell’Impero Austro-Ungarico e della Prussia avevano perso molti dei loro poteri o erano stati detronizzati da rivoluzioni popolari e liberali. A quel punto, gli inglesi avevano pensato, proprio come avevano fatto gli americani nel 1989-1991, che fosse finalmente arrivato il loro momento di unipolarità e che sarebbe durato per l’eternità. Il mondo intero avrebbe guardato a Londra per avere guida e saggezza. Non era andata così. Nel 1871, la Prussia, guidata dal suo Cancelliere di Ferro, Otto von Bismarck, aveva unificato la Germania, e sconfitto la Francia, alleata della Gran Bretagna, togliendo in modo umiliante all’Inghilterra ogni possibilità di potere e influenza sull’Europa continentale. Quando gli era stato chiesto che cosa avrebbe fatto se il minuscolo esercito inglese avesse per caso invaso la Germania del Nord, Bismarck aveva risposto che avrebbe mandato la polizia ad Martin Sieffarrestarlo. Dopo la Sconfitta della Germania imperiale nella Prima Guerra Mondiale, alla Gran Bretagna era sembrato di poter godere di un altro momento di iper-potere.
Gli Stati Uniti con il loro isolazionismo e l’Unione Sovietica [alle prese con i suoi problemi interni] si erano entrambi ritirati temporaneamente dalla scena mondiale. In ogni caso, questa fantasia britannica non era durata neanche fino all’ascesa di Hitler, nel 1933. Due anni prima, nel 1931, il Giappone imperiale aveva occupato la Manciuria, una grossa porzione dalla Cina nord-orientale: i capi militari inglesi erano stati costretti ad ammettere con il Primo Ministro, Ramsay MacDonald, che non c’era nulla che si potesse fare a riguardo. Il momento unipolare della Gran Bretagna era durato solo 12 anni, dal 1919 al 1931. Una volta capiti questi fatti storici, è facile rendersi conto del perché il momento unipolare degli Stati Uniti sia stato anche più breve di quello inglese del 20° secolo, meno di un decennio. Dal 2001 in poi, gli Stati Uniti si sono dissanguati e sfiniti, proprio come avevano fatto la Spagna degli Asburgo, la Francia borbonica e l’Inghilterra post-vittoriana in tentativi inutili, assurdi e ricoli per negare e cercare di opporsi agli inevitabili ricorsi della storia. Questo non dovrebbe sorprenderci, del resto Friedrich Hegel ci aveva avvertito: «L’unica cosa che impariamo dalla storia è che dalla storia non impariamo nulla».
(Martin Sieff, “I periodi di unipolarità sono sempre durati solo un momento”, da “Strategic Culture” del 22 settembre 2018, tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).

fonte: http://www.libreidee.org/