Moriremo di freddo, anzi di caldo. Peggio: moriremo di sete, anzi no: sommersi dall’acqua. Come diceva Gramsci, «la storia insegna, ma non ha scolari». Infatti, ricorda “Voci dall’Estero”,
è da almeno mezzo secolo che scienziati e politici «prevedono a comando
catastrofi climatiche naturali a causa delle attività umane», ma queste
«si rivelano sempre gravemente esagerate, quando non totalmente
infondate». Nonostante ciò, i media
attuali continuano a propagandare previsioni catastrofiche per portare
avanti iniziative come il Green New Deal americano, «senza farsi
scrupoli nell’utilizzare allo scopo bambini affetti da sindrome di
Asperger». Secondo “Voci dall’Estero”, che cita una spettacolare
ricognizione eseguita per il “Washington Examiner” da Myron Ebell e
Steven Milloy, «non c’è motivo di credere che le ultime previsioni siano
minimamente più credibili delle precedenti». I due ricercatori
ringraziano Tony Heller, che ha contribuito alla ricerca storica delle
“fake news” circuitate per decenni dai media,
pubblicandole su “Real Climate Science”. «I moderni predicatori di
sventura – premettono i due analisti – prevedono un disastro climatico e
ambientale fin dagli anni ’60», e come sappiamo «continuano a farlo
anche oggi». Problema: «Nessuna delle apocalissi previste con tanto di
data di scadenza si è finora rivelata vera».
Quella che propongono i due ricercatori è una impressionante
collezione delle previsioni, decisamente estreme, esternate da
personaggi accreditati in ambito scientifico e governativo. «Più che
limitarsi a mettere in evidenza le previsioni fallite – spiegano
Ebell e Milloy – questa collezione mostra che i creatori di previsioni
apocalittiche sono spesso persone che ricoprono posizioni rispettate,
nel governo e nella scienza». Anche se questi pronostici «sono stati e
continuano a essere entusiasticamente riportati dai media,
affamati di titoli ad effetto», il loro sistematico fallimento poi non
viene affatto pubblicato. Nel 1967, il “Salt Lake Tribune” annuncia “una
grave carestia entro il 1975”. «È ormai troppo tardi – scrive – perché
il modo possa evitare un lungo periodo di carestia». La fonte citata è
un biologo dell’Università di Stanford, Paul Ebrlichm, secondo cui «la
stagione delle carestie è alle porte e sarà al suo culmine e al massimo
della distruzione entro il 1975». Apocaliasse in vista: «La popolazione
degli Stati Uniti è già eccessiva, e il controllo delle nascite potrebbe
essere ottenuto introducendo sostanze sterilizzanti negli alimenti di
base e nell’acqua potabile». Due anni dopo ci si mette il “New York
Times”, che il 10 agosto 1969 titola: “Spariremo tutti in una nuvola di
vapore blu entro il 1989”.
Secondo il biologo Paul Ehrlich, «mentre aspettiamo di avere
abbastanza prove per convincere la gente, moriremo». Testualmente:
«Spariremo tutti in una nuvola di vapore blu entro 20 anni».
Dall’inquinamento all’emergenza climatica, ma di segno opposto rispetto a
quella denunciata dai “gretini”. Il 16 aprile 1970, il “Boston Globe”
annuncia “un’era glaciale entro il 2000”. «Gli scienziati – si legge –
prevedono una nuova era glaciale entro il ventunesimo secolo».
Spiegazione: «L’inquinamento dell’aria può oscurare il sole e provocare
una nuova era glaciale nei primi 30 anni del prossimo secolo». Orrore:
«La richiesta di acqua di raffreddamento prosciugherà l’intero flusso
dei fiumi e dei torrenti degli Stati Uniti». Sempre nel ‘70, il
“Redlands Daily Facts” avverte: «L’America sarà sottoposta a
razionamento dell’acqua entro il 1974 e a razionamento del cibo entro il
1980». Uno scenario spaventoso, venduto come certezza: «Gli oceani
saranno morti come il Lago Erie in meno di dieci anni». Mel 1971, a
parlare di “nuova era glaciale in arrivo” è il “Washington Post”, che
il 9 luglio cita un esperto aerospaziale e la Columbia University: «Nei
prossimi 50 anni le polveri sottili che gli uomini emettono
costantemente nell’atmosfera
a causa dei combustibili fossili potrebbero oscurare una parte così
importante della luce del sole che le temperature medie potrebbero
calare di sei gradi».
Se il trend continuasse per diversi anni, da cinque a dieci, «tale
abbassamento della temperatura potrebbe essere sufficiente a innescare
un’era glaciale», assicura il quotidiano di Washington. Nel 1972, il
Noaa sposta al 2020 l’inizio della “nuova era glaciale”, sempre di
origine antropica: lo affermano scienziati che hanno rivolto un appello
al presidente degli Stati Uniti. Passano due anni, e a rilanciare il
pronostico del gelo polare è l’inglese “Guardian”, secondo cui «i
satelliti spaziali mostrano che una nuova era glaciale si sta
avvicinando velocemente». Anche la rivista “Time” si beve l’inferno di
ghiaccio e lo serve ai lettori il 24 giugno 1974: «I segni sono ovunque –
dall’inaspettata persistenza e spessore dei ghiacci nelle acque intorno
all’Islanda alla migrazione verso sud di creature che amano il caldo
come gli armadilli nel Midwest». Sempre nel ‘74 nasce una nuova paura
mediatica, quella del buco dell’ozono: «Il consumo dell’ozono è un grave
pericolo per la vita». Dal ‘74, ricordano Ebell e Milloy, il cosiddetto
“buco dell’ozono” è enormemente aumentato, per poi stabilizzarsi verso
gli anni 2000, «ma senza alcuna conseguenza catastrofica».
Meglio insistere con la storiella del raffreddamento glaciale. Lo fa
la “New York Times Book Review” nel 1976: Stephen Schneider, giovane
climatologo del Centro Nazionale per la Ricerca Atmosferica di Boulder,
Colorado, spiega alla Casa Bianca perché le temperature caleranno in
modo allarmante. A partire dal 1980 si apre un altro capitolo: le piogge
acide. «La pioggia acida uccide la vita dei laghi», è la tesi
ricorrente. Dieci anni dopo, il governo Usa smentisce: «Le piogge acide non rappresentano una crisi
ambientale» (“Associated Press”). Ancora nel 1978, però, si insiste con
l’imminenza dell’era glaciale: «Non si vede la fine del trend
trentennale di raffreddamento dell’emisfero nord», scrive il “New York
Times”, citando «un team internazionale di specialisti». Secondo i dati
dei satelliti Nasa, invece – annotano Ebell e Milloy – a partire dal
1979 si osserva il contrario, cioè un piccolo trend di riscaldamento.
Verso la fine degli anni ‘80, altro spettro: la carenza idrica. Nel 1988,
sul “Miami News”, James Hansen prevede un aumento delle siccità
regionali negli anni ‘90, nel Midwest. E invece, smentisce “Real Climate
Science”, l’ultimo anno veramente secco del Midwest è stato il 1988,
mentre gli anni recenti sono stati tra i più umidi registrati.
Lo stesso Hansen, in forza alla Nasa, sul “Lansing State Journal”
avverte i cittadini di Washington: «Preparatevi a estati lunghe e
bollenti». I ricercatori smentiscono: «Il numero dei giorni “bollenti”
nell’area di Washington ha raggiunto un picco nel 1911, e da allora sono
in calo». Poi ci sono previsioni particolarmente spettacolari, del
tipo: «Le Maldive saranno completamente sommerse entro 30 anni». Lo
afferma nel 1988 l’agenzia “France Presse”: «Il livello dei mari
minaccia di sommergere completamente questa nazione dell’Oceano».
Attenzione: «La fine delle Maldive e dei loro 200.000 abitanti potrebbe
avvenire anche prima, se la disponibilità di acqua potabile si dovesse
prosciugare entro il 1992, come previsto». Per fortuna, l’oceano non ha
sommerso le Maldive (dove l’acqua potabile non si è affatto
prosciugata). Spara date precise anche la “Associated Press” nel 1989:
«L’innalzamento dei mari ‘sommergerà’ le nazioni entro il 2000». Dalle
isole alle vie di comunicazione: secondo l’allarme lanciato da “Salon”
nel 1989, «l’autostrada Ovest di New York sarà sommersa dall’acqua entro
il 2019». Fonte: sempre lui, Jim Hansen, il “profeta” che appena l’anno
prima aveva vaticinato l’arrivo della siccità.
Qualcuno, nel frattempo, comincia a coltivare dubbi. Il Competitive
Enterprise Institute si accorge del fallimento dei modelli climatici
adottati dal 1995 ad oggi: negli ultini 40 anni, la Terra si è
surriscaldata di appena 0,3 gradi centigradi. Ma l’allarmismo è duro a
morire. Il 20 marzo 2000, “The Independent” scrive: «Le nevicate sono
ormai solo un ricordo del passato. I bambini semplicemente non sapranno
che cosa sia la neve». Due anni dopo, nel 2002, il “Guardian” annuncia:
«Avremo una carestia entro 10 anni». Nel 2004, lo stesso “Guardian”
azzarda la seguente previsione: «L’Inghilterra avrà il clima della
Siberia entro il 2020». Dal quotidiano, terribili certezze: «I
cambiamenti climatici ci distruggeranno. L’inghilterra sprofonderà
in un clima “siberiano” in meno di 20 anni. Conflitti nucleari,
mega-siccità, carestie e rivolte diffuse emergeranno in tutto il mondo».
Se per il quotiano inglese il problema è il freddo, per la “Associated
Press” l’emergenza è il caldo: nel 2008, l’agenzia “spiega” che
«l’Artico sarà privo di ghiaccio entro il 2018». Ci si mette anche Al
Gore, peggiorando ulteriormente la previsione: «L’Artico non avrà più
ghiaccio entro il 2013», addirittura. Invece, la calotta bianca è ancora
lì.
Arriva il 2009, e a parlare è il principe Carlo d’Inghilterra:
«Abbiamo solo otto anni per salvare il pianeta». Testualmente:
«Rimangono solo 96 mesi per salvare la Terra» (“The Independent”, 9
luglio). Gli fa eco l’allora premier, Gordon Brown, secondo cui però è
ormai questione di minuti, per la fine del mondo: «Abbiamo meno di 50
giorni per salvare il pianeta dalla catastrofe». Dal canto suo, Al Gore
rivede la sua profezia: il ghiaccio artico non sparirà più nel 2013, ma
l’anno seguente (“Usa
Today”). Per il “Guardian”, più ottimista, la fine della banchisa
polare è rinviata al 2015. Il 14 maggio 2014, il ministro degli esteri
francese Lauren Fabius si sbilancia: «Abbiamo solo 500 giorni prima del
caos climatico». Ma la fine del mondo, a quanto pare, è rinviata. Il
dato impressionante? La facilità con cui i media
– sbagliando sempre – hanno annunciato la catastrofe, data ogni volta
per imminente, nell’arco di mezzo secolo, accreditando le tesi di
scienziati ed entità governative. Il guaio? Giornali, televisioni e
agenzie di stampa non si premurano praticamente mai di controllare
l’esattezza delle previsioni via via strombazzate, per nostra fortuna
comicamente sballate.
LIBRE IDEE
L'ambiente è un business e l'ambientalismo è il suo braccio armato.
RispondiEliminaCi sarebbe da discutere sull'auto elettrica, per esempio, che complessivamente è più inquinante di un auto a gasolio, ma in questo momento storico la task force "ambientalista" è fortissima e quindi dominante.