domenica 28 aprile 2019

fine di aprile: tempo di sacrifici umani

Perché spesso, durante la seconda metà del mese di aprile, assistiamo a tragedie e morti senza senso? L’elenco degli eventi violenti che si sono verificati durante tale periodo di tempo è semplicemente sconcertante. Eccone un elenco:
  • 19 aprile 1993 – Massacro di Waco: Un assedio dell’FBI portò al rogo del quartier generale di una setta chiamata Davidiani, Oklain cui morirono 76 persone tra uomini, donne e bambini.
  • 19 aprile 1995 – Venne bombardato un edificio federale di Oklahoma City – Persero la vita 168 persone.
  • 20 aprile 1999 – Il massacro della Columbine – Morirono 13 persone, 21 i feriti.
  • 16 Aprile 2007 – Massacro della Virginia Polytechnic Institute – 32 uccisi, 17 feriti.
  • 16 aprile 2013 – Esplosioni alla maratona di Boston – 3 uccisi, 107 feriti.
  • 18 aprile 2013 – Esplosione dell’industria di fertilizzanti in Texas . 15 persone uccise (Si noti che questo evento si è verificato a circa 20 anni dal massacro di Waco. Inoltre, il 16 aprile del 1947, una nave carica di nitrato di ammonio attraccata al porto di Texas City saltò in aria, provocando la morte di circa 576 persone).
Ci sono stati molti altri eventi violenti avvenuti durante questo periodo di tempo. In realtà, la CNN ha pubblicato un articolo nel 2011 intitolato What is it about mid-April and violence in America? nella quale si discutono gli eventi che accadono a metà Aprile. Purtroppo, l’articolo prende in giro i “teorici della cospirazione” e dice in sostanza: “Se cercate ulteriori risposte rispetto a quelle che vi vengono fornite dai mass media, siete pazzi o potenzialmente pericolosi”. Tuttavia, a distanza di due anni, lo stesso trend di violenza continua a verificarsi.
E’ tutta una coincidenza? Per coloro che sanno, non esistono le coincidenze. Nel 2011, scrissi un articolo sulla morte di Bin Laden, la quale venne annunciata tra il 30 aprile e 1 maggio (Why the Death of the Man Who Was Not Behind 9/11 Was Announced on May 1st [a breve la traduzione]). In questo articolo, descrissi brevemente il significato del rituale del 1 ° maggio (Festa del Lavoro) e la sua relazione con un dio che è ancora importante per l’elite occulta: Baal.
IL CULTO DI BAAL NON E’ MAI SCOMPARSO

Nel corso di molti secoli e attraverso molte civiltà, la seconda metà del mese di aprile è sempre stata un momento in cui venivano effettuati sacrifici di sangue. Il culto di Baal ha avuto molti nomi (Enlil, Moloch, ecc) e si diffuse tra diverse civiltà. Essendo una divinità solare e un dio della fertilità, i riti che celebrano Baal ebbero luogo dopo l’equinozio di primavera (un momento di rinascita) e spesso coinvolsero il sacrificio umano.
“Il culto di Baal celebra ogni anno la sua morte e risurrezione, come parte dei rituali di fertilità cananei. Queste cerimonie spesso inclusero sacrifici umani e prostituzione religiosa”.
– Baal, Enciclopedia Mythica
Anche se l’osservanza di questi riti è stata a volte condannata dai movimenti religiosi, non è mai veramente scomparsa.
“La religione del dio Baal era ampiamente accettata tra gli antichi ebrei e anche se, a volte, è stata soppressa, non è mai scomparsa definitivamente. I re e la nobiltà delle dieci tribù bibliche adoravano questo dio. La gente comune adorava ardentemente questa divinità solare anche perché la loro prosperità dipendeva dalla produttività dei loro raccolti e del bestiame. Immagini del dio furono erette in molti edifici. La religione contava numerosi sacerdoti e varie classi di devoti. Durante le cerimonie indossavano vesti appropriate. Durante le cerimonie si bruciava l’incenso e si offrivano sacrifici, a volte utilizzando vittime umane. I sacerdoti officianti danzavano intorno agli altari, cantando freneticamente e tagliandosi con i coltelli per propiziare l’attenzione e la compassione del dio. “
– Ibid.
Come divinità solare, il culto di Baal coinvolse il sacrificio umano e il fuoco. Oggi, per l’elite occulta che governa l’America, questo periodo di tempo spesso è sinonimo di fuoco e morte Questi rituali sono menzionati nella Bibbia.
“Hanno edificato alture a Baal per bruciare nel fuoco i loro figli come olocausti a Baal. Questo io non ho comandato, non ne ho mai parlato, non mi è mai venuto in mente..”
– Geremia 19:05
Dalle civiltà dei babilonesi, degli assiri e dei fenici (le loro religioni misteriche provengono dalla stessa fonte), il culto di Baal si diffuse in civiltà lontane, come i Celti, che osservarono i rituali di Beltane del 1 ° maggio (Beltane proviene dalla parola “Baal”). Mentre l’osservanza dei rituali di Baal differivano da una civiltà all’altra, essi si fondavano su una comune matrice occulta numerologica e sacrificale. In altre parole, tutti attingevano dalla stessa conoscenza magica.
L’odierna elite occulta osserva ancora questi riti, ma c’è una grande differenza: Vengono effettuati su una popolazione inconsapevole e vengono diffusi in tutto il mondo attraverso i mass media. Alimentati e amplificati dalla paura e dal trauma delle masse, questi mega-rituali sono visti da tutti, ma celebrati solo dall’elite occulta. Abbiamo a che fare, più che mai, con la magia nera.
Altri siti dedicati alla numerologia occulta hanno pubblicato informazioni sottolineando l’importanza di questo periodo di tempo.
“19 aprile-1 maggio – Sacrificio di sangue alla bestia, un periodo di tempo critico dalla durate di 13 giorni. E’ richiesto un sacrificio di fuoco per il 19 aprile.
Il 19 aprile è il primo giorno dei 13 giorni del rituale satanico correlato al fuoco  – il dio del fuoco, Baal o Moloc / Nimrod (il Dio Sole), noto anche come tra i romani, come Saturno (Satana / Diavolo). Questo giorno è un giorno importante per i sacrifici umani, in cui si richiede con particolare enfasi che la vittima sia un bambino. Essendo una data così importante, in questo periodo si sono verificati alcuni importanti eventi storici”.
– Occult Holidays and Sabbaths, Cutting Edge
Un altro articolo descrive brevemente gli elementi necessari per effettuare il mega-rituale elitario.
“Il sacrificio umano, svolto in queste date occulte, richiede i seguenti elementi, ognuno dei quali deve essere enfatizzato il più possibile:
1. Trauma, stress e angoscia mentale, puro terrore
2. L’atto finale del dramma deve essere un incendio, preferibilmente una conflagrazione.
3. Per i sacrifici devono essere impiegate persone, soprattutto bambini, dal momento che le forze oscure apprezzano meglio tali vittime”
– Advent of Deception
Ovviamente, non è che ogni singolo evento il quale si verifica durante questo periodo di tempo è legato ai sacrifici degli Illuminati. Tuttavia, la maggior parte degli eventi citati sopra si configurano perfettamente nei “criteri” dei mega rituali. Se si guarda con attenzione ai fatti che circondano ognuno di questi fatti, è possibile rendersi conto che essi sono stati effettuati da funzionari del governo o attraverso marionette controllate mentalmente. La maggior parte di questi eventi sono assurdi e incomprensibili, cosa che genera ancora più terrore e che spinge la gente a chiedersi “che tipo di persone farebbero una cosa del genere?”. Purtroppo, questi mostri ci governano. Tali eventi vengono utilizzati anche per spingere l’agenda politica. I poteri forti sono diventati bravi a coniugare politica pragmatica a riti occulti.
CONCLUDENDO
Coloro che conoscono i calendari occulti, arrivando alla seconda metà di aprile, si chiedono se qualcosa di orribile stia per accadere. Purtroppo, a intervalli di pochi anni, l’opinione pubblica è traumatizzata con un evento insensato e violento. Quasi ogni volta, uno sguardo più da vicino fa capire che si tratta di un inside job. Mentre in molti attribuiranno il verificarsi di queste vicende, durante la fine di aprile, ad una coincidenza, il fatto rimane: eventi violenti che coinvolgono la morte e il fuoco accadono durante lo stesso periodo di tempo dedicato a Baal. Se ciò venga fatto di proposito o si tratta di una sincronicità pazzesca, il fatto è lì e non può essere contestato.
Il quartier generale che è stato dato alle fiamme nel 1993, durante il massacro di Waco, si chiamava Mount Carmel Center. Nella Bibbia, il Monte Carmelo fu dove Elia provocò i profeti di Baal, sfidandoli a pregare davanti a Baal finché non avesse acceso un fuoco di fronte a loro. Non accadde nulla. Che l’incendio al Mount Carmel Center fosse una vendetta simbolica in onore di Baal?

sabato 20 aprile 2019

Greta, l’ultima invenzione di chi ci impone sacrifici sociali

«Fate presto, non c’è più tempo». Ieri a dirlo era Mario Monti, oggi la piccola Greta Thunberg. Curioso, no? Vuoi vedere che, alla fine, la battaglia-spettacolo inscenata sul “climate change” dalla ragazzina svedese, sapientemente pilotata da esperti di marketing, ha obiettivi identici a quelli dell’élite globalista che impone “sacrifici” sociali al 99% della popolazione, stavolta anche con l’alibi del surriscaldamento globale? A domandarselo è l’antropologo Marco Giannini, analista indipendente e già vicino ai 5 Stelle, di fronte allo strano sciopero che il 15 marzo ha mobilitato milioni di studenti in ogni angolo del mondo. Hanno chiesto diritti sociali per i lavoratori, la fine delle morti bianche, un reddito minimo garantito che dia dignità ad ogni essere umano? Macchè. Hanno invocato un salario ragionevole e un’istruzione di livello per tutelare il futuro dei giovani, sottraendoli alla feroce lotteria competitiva del neoliberismo? Nossignore: la manifestazione era “per l’ambiente”. «Presto manifesteremo per la bontà, oppure forse contro la cattiveria: anzi, contro i cattivi», scrive Giannini: «Sì, credo proprio che Greta molto presto ci guiderà contro i cattivi, finalmente».
Non era veritiero quindi – scrive Giannini, sarcastico – che le lobby si celassero dietro queste manifestazioni per colpire l’economia reale Usa, cioè Trump, cercando di scalzarla mediante la loro finanza globale, «quella che ha creato a tavolino la Greta Thunbergrecessione mondiale e che necessita di reazioni stereotipate, prevedibili», allo scopo di «ottundere le menti e banalizzare le questioni». Un sospetto più che evidente, quello espresso da Giannini su “Come Don Chisciotte”: lo slogan “dobbiamo fare in fretta” serve a «creare le condizioni che rendano accettabili nuovi sacrifici (già “in canna”) altrimenti considerati odiosi e improponibili dalle popolazioni». Come ampiamente dimostrato da tutti gli studi sul comportamento umano, il “dobbiamo fare in fretta” – al fine di evitare una imminente catastrofe – è l’unico concetto che sortisce puntualmente l’effetto voluto dai manipolatori, a prescindere dalla sua eventuale coerenza. Anzi, scherza Giannini, «ormai ci aspettiamo che da un momento all’altro il Fmi, il Wto, la World Bank, BlackRock e Open Society, la Bayer-Monsanto, la Apple, Deutsche Bank e la Bce devolveranno gratuitamente verso ogni cittadino (americano, israeliano, italiano, russo, cinese, inglese) un bonus che copra interamente le spese per la coibentazione della propria abitazione».
Per inciso, infatti, se si vuole ridurre il riscaldamento globale «non è tanto sulla CO2 che si deve agire, ma sul metano, che è 25 volte più impattante». Strano, vero? La manifestazione lanciata dalla piccola Greta ha avuto il plauso di Mattarella, Merkel, Macron. Applaudono anche le multinazionali finanziarie, quelle che hanno creato la crisi del 2007 per poi socializzare le perdite a spese dei governi, dopo aver «distrutto vite e privatizzato i profitti speculativi». Ancora oggi, continua Giannini, è sicuramente “cattivo” chi rivela che non sono tanto i cittadini comuni a produrre CO2, quanto «i settori terziario-quaternario e industria», come lo è chi svela che «dietro queste manifestazioni ci sono coloro che costantemente si arricchiscono col meccanismo “Cap & Trade”, cioè proprio con il business della CO2 a spese dei cittadini». Aggiunge Giannini: «Paradossale leggere che si debbano ridurre i consumi quando costoro impongono l’ideologia del crescere ad ogni costo e dell’emarginazione sociale». A meno che, oltre al lavaggio del cervello ideologico (vero target della “missione”) tutto ciò non serva «per ridurre il margine di manovra di quelle regioni del mondo che, in modo stoico, stanno cercando ancora oggi di Lo sciopero degli studenti sul climaemergere dalla recessione, nonostante la stramaledetta e controproducente austerity, in cui ad esempio l’Italia è imbavagliata».
A proposito di “crescita infinita”, Giannini invita i lettori a questa riflessione: e se domani i robot rendessero disponibili beni a sufficienza per il mondo intero? Se tutti (anche agli africani “regolari”, cui Giannini insegna matematica e scienze) disponessero di un “reddito minimo”? «I consumi globali arriverebbero a un livello approssimativamente standard, ponendo fine alla finanza e ridando all’economia reale la corretta dimensione. A quel punto a cosa servirebbe crescere? A niente, se non alla selezione naturale tra esseri umani». Da quel momento, il “crescere” servirebbe solo a «dividere la torta in modo insensato, favorendo pochi “rentier” e omologando l’intera popolazione umana nell’ignoranza e nell’imbecillità». Tenere le menti lontanissime da queste considerazioni, secondo Giannini, è “necessario”, «perché la teoria della “crescita infinita” prosperi anche quando non servirà più» (beninteso: «Al momento, all’Italia serve eccome, crescere»). Ma come non vedere la manipolazione che sta dietro al fenomeno Greta? «Rendere moda, marketing, mercato (banche) certe questioni – insiste Giannini – equivale a svalutare i significati e a manipolare il senso comune, al fine di abituare i cittadini ad agire per emozioni, per stereotipi», cosicché chi la determina, la moda, cioè chi detiene i media, possa «omologare e rendere dipendenti (cioè privi di libertà) i cittadini».
Dietro questa manifestazione ingenua e giovane – “comunque bella”, per citare Lucio Battisti – ci sono «coloro che hanno impoverito l’Africa e sfruttato la tratta di esseri umani». Nel continente nero (e non solo) hanno privatizzato tutto, con la complicità di un pugno di oligarchi africani traditori, razziando risorse a costo zero. «Sono coloro che hanno alimentato guerre e colpi di Stato, venduto armi per nutrire i traffici, generato carestie», fino addirittura a “testare” virus mortali prodotti in laboratorio, come quello della Sars. «Sono coloro che proteggono l’opulenza dei politicanti europei, altrettanto traditori», che hanno accettato l’euro ben sapendo che sarebbe servito a «colpire operai e classi medie». Osserva Giannini: «Fa molto male, rendersi conto che – salvo eccezioni – non sia lo stato di necessità a smuovere le masse, bensì il marketing». Siamo uno zoo facilmente manovrabile, in fondo: “Je suis Charlie”, recitavano i cartelli nelle piazze all’indomani della strage parigina nella redazione di “Charlie Hebdo”, come se davvero l’obiettivo del commando terrorista fosse la libertà di satira. Prepariamoci, Il fenomeno Gretaavvertiva a fine 2018 un analista come Fausto Carotenuto, veterano dell’intelligence: l’élite è in difficoltà e, per imbrogliarci, nel 2019 fabbricherà altre finte rivoluzioni. Ed ecco, puntuale, la piccola Greta.
Difendere l’ambiente è sacrosanto, riconosce Giannini, ma il tema – aggiunge – va affrontato in modo non emotivo, partendo dalle cause, con un serio approccio scientifico. In Italia, dopo l’omicidio Moro, le lobby occidentali «inquinarono il Pci dei diritti sociali trasformandolo nell’eurocomunismo “fru fru”, per usare una terminologia cara a Beppe Grillo». Da allora, il progressivo assedio culturale dai movimenti effimeri (Femen, antiproibizionismo, diritti civili ma non sociali) ha inaugurato «l’eone dei sacrifici, a partire dal vincolo esterno dello Sme fino ad oggi: e i risultati si vedono». Da quel momento «la sinistra, il socialismo, non significarono più “lavoratori” ma ben altro, tra cui la distruzione della società intesa come Stato sociale», il declino della tradizione e dei “luoghi antropologici”, la fine dell’identità patriottica «in favore del globalismo d’accatto». Con Greta, «siamo su questo solco, che distrae le energie». La sinistra? «Perde definitivamente i propri tratti». E quindi «non ha più senso ragionare in termini politicamente bipolari». Infine, Giannini ricorda che «l’ignara Greta» è affetta da Asperger, dunque «è a rischio egocentrismo e fissazione». Domanda: «E’ funzionale al suo sviluppo, questa sua esposizione? O la ragazzina è usata come una cavia, come carne da macello?».

fonte: LIBRE IDEE

lunedì 8 aprile 2019

Johanna Altvater, la segretaria assassina del Reich


Non è facile capire in pieno quello che fu il nazionalsocialismo nel periodo compreso fra il 1933 e il 1945. Il malcontento dilagante in Germania in seguito all’esito della Prima Guerra Mondiale, aveva creato terreno fertile per il proliferare di idee che esprimevano con decisione l’affermazione del popolo tedesco come superiore agli altri, e l’odio verso gli ebrei, ritenuti responsabili della situazione economica negativa del paese. Punto cardine della politica del partito era un programma di eliminazione fisica e sistematica di tutti coloro che venivano considerati dannosi in qualche modo per il regime: oppositori politici, omosessuali, zingari, disabili, malati di mente ed ovviamente ebrei. Nel loro caso si cercò di attuare, con ogni mezzo disponibile e senza limiti alla violenza, un vero e proprio genocidio. 
Il 5 settembre 1935 la persecuzione verso gli ebrei si inasprì in seguito alla pubblicazione delle leggi di Norimberga; veniva stabilito che ebreo era chiunque risultasse avere tre o quattro nonni ebrei. Era considerato mezzo-ebreo chi aveva due nonni ebrei o aveva contratto matrimonio con una persona ebrea. Meticcio, colui il quale aveva un solo nonno ebreo. Tutti indistintamente, erano soggetti a leggi particolari e a restrizioni molto severe, come l‘interdizione ai pubblici uffici. Assolutamente vietati erano i matrimoni fra cittadini del Reich ed ebrei, questo al fine di preservare la purezza della razza. Inoltre chiunque era chiamato a contribuire al progetto iniziale di espulsione dal territorio tedesco di tutte le persone di origine ebraica, programma che si tramutò in breve in soluzione finale. 
Nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1938, in seguito all’assassinio di un diplomatico tedesco avvenuto a Parigi per mano di un ragazzo ebreo, su istigazione di Joseph Goebbels, con l’appoggio di Reinhard Heydrich, per alcuni l’uomo più pericoloso del Reich, e di Heinrich Müller , capo della Gestapo, fu organizzato un gigantesco pogrom (letteralmente distruzione), in Germania, Austria e Cecoslovacchia, a cui parteciparono ufficiali del partito, membri delle SA e della Gioventù Hitleriana i danni della popolazione ebraica. Quell’episodio passò alla storia come la Notte dei Cristalli, per ricordare le vetrine delle attività commerciali infrante. Durante l’attacco furono bruciate o distrutte almeno 1400 fra sinagoghe e case di preghiera, cimiteri, luoghi di aggregazione della comunità ebraica, case private e negozi. Fu dato ordine tassativo alla polizia e ai vigili del fuoco di non intervenire se non in difesa dei non ebrei che accidentalmente finivano nella rappresaglia. Per evitare qualsiasi reazione da parte della popolazione attaccata, Müller e Heydrich organizzarono rastrellamenti a tappeto di tutti gli uomini. Ne furono catturati circa 30.000, che vennero condotti direttamente ai campi di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen. Secondo alcune stime da parte degli storici, in quella notte e nei giorni successivi morirono per le strade fra le 1300 e le 1500 persone. Una parte dei deportati nei campi fu rilasciata per essere espulsa, una parte morì. 


Violenza senza regole, senza limiti, ritorsioni gratuite versa la popolazione indifesa. Gli ebrei furono costretti a vivere nei ghetti, in perimetri circoscritti, sia per essere sottoposti a serrati controlli, sia per sfuggire alle violenze dei tedeschi, almeno così si pensava. Tutta la popolazione fu chiamata a contribuire al grande disegno del Reich, tanto che cosiddetti cittadini qualunque, si macchiarono di delitti efferati. In Ucraina successe qualcosa di molto brutto. L’episodio che vi vorrei raccontare descrive perfettamente i sentimenti serpeggianti fra persone insospettabili, tutte unite dall’odio verso un nemico comune, qualcuno a cui addossare le colpe dei problemi della nazione. 
Fra l’autunno del 1942 e quello del 1943, una giovane donna di 22 anni fu mandata a lavorare in una città chiamata Volodymyr-Volynsky, situata al confine con la Polonia. La cittadina era considerata un importante punto tattico per i rifornimenti delle truppe impegnate in guerra. 
La giovane si chiamava Johanna Altvater. 
Johanna era alle dipendenze di Wilhelm Westerheide. Fino a quel momento era stata un’anonima segretaria d’azienda. Grazie alla sua ambizione e alla sua insistenza si trovò al servizio di un commissario regionale. Giunta sul posto, dopo poco tempo, chiese di svolgere una mansione aggiuntiva, per rendersi più utile rispetto alla causa comune: si propose come aiuto nelle operazioni di svuotamento dei ghetti. Westerheide fu ben contento di accontentarla, tanto più che una persona in più avrebbe fatto comodo per scovare chi si nascondeva, rendendo il lavoro più veloce. 
La popolazione ebraica, nel giro di poco più di due anni, in questa zona si ridusse drasticamente, passando da circa 20.000 unità a poco più che 400. Johanna obbedì senza mai un attimo di esitazione alle direttive del Reich, dando il suo contributo attivo alla realizzazione della grande Germania nazista. Il 16 settembre 1942, si trovava fuori dalle mura del ghetto quando vide due bambini ebrei camminare sul ciglio della strada. A poca distanza si trovava il padre. Il suo aspetto rassicurante e il fatto che fosse una donna, le permisero senza problemi di avvicinare i due piccoli, uno di circa 6 anni, l’altro stava cominciando a camminare. Con un gesto della mano, come a volergli offrire una caramella, chiamò il piccolo, che subito, fiducioso le cose incontro, staccandosi dalla mano del fratello. Una volta che le fu vicino, lo afferrò per le braccia con forza, scuotendolo con forza, urlandogli in faccia tutto il suo disprezzo. Il piccolo prese a strillare e piangere, mentre il padre si avvicinava di corsa. Ma Hanna, così la chiamavano, fu veloce, lo afferrò per le gambe e in un attimo, senza esitazione gli sbattè la testa contro il muro. Il cranio del piccolo, fece un tonfo sordo e si fracassò come un frutto maturo lasciando sulla parete del ghetto una grossa macchia di sangue e materia grigia. La donna, impassibile, si voltò e gettò il corpicino ai piedi dell’uomo in lacrime. Nessuno fece nulla, nessuno la fermò per arrestarla. 
Nel servizio al ghetto la solerte signorina Hanna era davvero efficiente. Entrava nelle case con prepotenza, senza avere paura, urlava ordini come si fa con un gregge destinato al macello, radunava uomini e donne, giovani o vecchi non importava, ma soprattutto le piaceva occuparsi dei bambini. Se c’era chi facevano fatica a salire sui convogli per il trasporto, li aiutava lei direttamente, spingendoli senza troppa gentilezza. I piccoli era solita scaraventarli, come bambole, non badando a dove sarebbero caduti, o se si sarebbero fatti male. 


Un giorno durante le operazioni di rastrellamento si trovò a dover sgombrare un ospedale di fortuna, allestito in un edificio a più piani, che affacciava su un giardino. Prese l’iniziativa per velocizzare le attività. Salì al piano in cui si trovava la corsia predisposta per accogliere i bambini, li fece alzare uno per uno dai letti e dalle sedie a rotelle, li condusse per mano o in braccio alla finestra più vicina e li gettò nel vuoto, senza esprimere la benché minima emozione. Fecero tutti un volo di tre piani. Sfracellandosi sul selciato antistante il giardino. Quando ebbe finito, si affaccio, mostrando il proprio volto sorridente e soddisfatto. Fece un cenno con la mano a chi da sotto la guardava. Dal basso, il signor Westerheide, rispose al suo saluto con uno altrettanto festoso. La attendeva seduto a un tavolo imbandito con altri commensali, che si rifocillavano fra un rastrellamento e l’altro, accompagnati da un intrattenimento musicale. Ogni tanto qualcuno si alzava dal gruppo e andava a sparare a chi di corsa cercava di fuggire. Gli spari riecheggiavano interrompendo la sinfonia… 
Hanna si trovava a suo agio in tutto questo. Portava sempre con sé una pistola di piccolo calibro, color argento, appesa al fianco. Quando vedeva un bambino ebreo, solo oppure accompagnato, non importava, lo attirava con l’offerta di una caramella. Una volta che il piccolo si era avvicinato ed aprivano la bocca per ricevere il dono, freddamente gli sparava in bocca. Questa era Johanna Altvater, spietata assassina di bambini, una signorina apparentemente come tante, con la sua pettinatura ordinata, l’aria da brava ragazza, una segretaria che dava libero sfogo alle proprie frustrazioni uccidendo a caso chi incrociava il suo cammino. Lei, come tanti altri cittadini tedeschi qualunque che alla sera tornavano alle loro case, per cenare con la famiglia e giocare con i propri figli, in nome dell’affermazione della razza ariana come superiore, contribuirono all’uccisione in massa di persone innocenti. Come si è potuto arrivare a tutto questo? Come riuscì il Reich a trasformare quasi un‘intera nazione in ubbidienti assassini? Follia di massa, obbedienza, fedeltà verso un partito salito legittimamente al potere perché votato dalla maggioranza degli aventi diritto e trasformatosi poi nella dittatura del terrore che conosciamo, in grado di seminare morte e distruzione in Europa e nel mondo. I lager furono l’apice del progetto di sterminio di massa posto in essere dal regime. Perfette macchine di guerra, a cui anche le vittime dovevano lavorare, per sentirsi liberi… di morire. Solo la fine della guerra ci ha permesso di quantificare i numeri dell’olocausto, che probabilmente ancora sottostimiamo rispetto alla capacità distruttiva posta in essere a partire dal 1933 dal partito nazionalsocialista. Quasi tutti i buoni tedeschi vi presero parte, ma non tutti e chi non lo fece pagò un prezzo molto alto per la sua disobbedienza.

Rosella Reali

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia


Le donne del nazismo – Paul Roland – L’Airone – 2015 

Women and Genocide: Survivors, Victims, Perpetrators - Elissa Bemporad, Joyce W. Warren – Indiana University Press – 2018 

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

venerdì 5 aprile 2019

la fiaba della piccola Greta, un business che arriva al Nobel

Greta Thunberg è la vera “rockstar” del momento. Prime pagine di tutti i più importanti giornali del mondo, approfondimenti di ogni tipo, interviste: tutti ne parlano. La consacrazione definitiva è arrivata in queste ore, come riporta l’Ansa: l’attivista 16enne svedese promotrice delle marce dei giovani per il clima in tutta Europa è stata proposta per il Premio Nobel per la Pace da tre parlamentari norvegesi «in segno di riconoscimento per il suo impegno contro la crisi climatica», prodotta dal riscaldamento globale. «Abbiamo nominato Greta perché la minaccia del clima potrebbe essere una delle cause più importanti di guerre e conflitti», ha sottolineato il parlamentare Freddy Andre Oevstegaard. In un’intervista a “Repubblica”, Greta Thunberg ha osservato che «siamo nel pieno di una crisi, ed è la più urgente e grave che il genere umano abbia mai dovuto affrontare. Stiamo segando il ramo su cui siamo seduti e la maggior parte della popolazione mondiale non ha idea delle possibili conseguenze della nostra incapacità di agire». Il 15 marzo, anche in Italia gli studenti hanno aderito al Climate Strike, lo sciopero proclamato nel mondo dai giovanissimi attivisti che, sulla scia dell’iniziativa di Greta, stanno manifestando per chiedere ai governi interventi urgenti sui cambiamenti climatici. Ma chi è davvero la giovane attivista svedese e come ha fatto a diventare così famosa?
Sia chiaro: «Greta è sicuramente una ragazza adorabile e la sua battaglia offre spunti di riflessione importanti, al di là da come la si veda sul tema del riscaldamento globale», scrive Roberto Vivaldelli su “Gli occhi della guerra”. «Il punto è un altro: si Greta Thunbergtratta davvero di un fenomeno così spontaneo e nato dal nulla oppure di un’abilissima strategia di marketing?». Tutto è nato la scorsa estate, ricorda Vivaldelli. Dall’agosto 2018, ogni venerdì mattina, Greta si reca di fronte al Riksdag, il Parlamento svedese, e rimane lì, con un cartello in mano: “Skolstrejk för klimatet”, sciopero scolastico per il clima. All’inizio era da sola, supportata solo dai genitori, poi la sua protesta è diventata virale. Tanto che a dicembre ha partecipato alla Cop24, la ventiquattresima conferenza sul clima che si è tenuta a Katovice, in Polonia. Lì ha tenuto un discorso che ha fatto il giro del mondo. Come è accaduto? A svelare il segreto del successo di Greta – scrive Vivaldelli – è stato Andreas Henriksson, noto giornalista d’inchiesta svedese. Secondo la sua ricostruzione, lo sciopero scolastico altro non era che parte di una strategia pubblicitaria più ampia per lanciare il nuovo libro della madre di Greta, la celebre cantante Malena Ernman – che nel 2009 partecipò anche all’Eurovision e vanta diverse apparizioni televisive.
Il grande stratega mente di questa campagna sarebbe Ingmar Rentzhog, esperto di marketing e pubblicità, che ha sfruttato a sua volta l’immagine della ragazza per lanciare la sua start up. «Ora posso dire che la persona che sta dietro al lancio del libro e lo sciopero scolastico, nonché la successiva campagna di pubbliche relazioni sul problema del clima, è il “pierre” professionista Ingmar Rentzhog», scrive il giornalista Andreas Henriksson sul suo profilo Facebook. La storia di Greta Thunberg inizia il 20 Ingmar Rentzhogagosto 2018. Rentzhog, che è fondatore della start-up We Do not Have Time, incontra Greta di fronte al Parlamento svedese e pubblica un post commovente sulla sua pagina Facebooke Instagram. Siamo al primo giorno dello sciopero iniziato da Greta. «Curiosamente, quattro giorni più tardi, il 24 agosto, esce il libro dei genitori di Greta, “Scenes from the Heart”, che racconta i dettagli della vita privata della coppia e della figlia». Una banale coincidenza? Da lì a poco, continua Vivaldelli, We Do not Have Time guarda caso decolla, proprio grazie alla spinta mediatica di Greta. Il 24 novembre Rentzhog la nomina nel board. Solo tre giorni dopo, la start up lancia una campagna di crowdfunding per 30 milioni di corone svedesi (circa 2,8 milioni di euro).
Greta è nominata ovunque. Lo stesso Ingmar Rentzhog si vanta di «aver scoperto» la ragazza (ma nega, in seguito, di averne sfruttato l’immagine per raccogliere denaro, pur sostenendo di «aver avuto un ruolo centrale nella crescita della sua popolarità». Il quotidiano svedese “Svenska Dagbladet” lo incalza e accusa la start up di aver sfruttato la ragazza (che è affetta dalla sindrome di Asperger) utilizzando la sua battaglia sul clima per mero tornaconto personale. Dal canto loro, i genitori sostengono che la battaglia di Greta è assolutamente genuina e sincera, ma non smentiscono affatto i rapporti con Rentzhog e il suo abilissimo entourage. «Una campagna pubblicitaria perfetta», la definisce il quotidiano conservatore “Weltwoche”, che indaga sulle origini del fenomeno Greta. Anche “Weltwoche” si concentra sulla figura controversa di Rentzhog: «Il pubblico mondiale celebra Greta come esperta di salvaguardia del clima», Malena Ernman, la madre di Gretascrive il quotidiano della destra svedese. «La ricerca da parte dei media più critici ha dimostrato, tuttavia, che il suo successo è dovuto in gran parte all’esperto svedese Ingmar Rentzhog, che ha buoni contatti con diverse organizzazioni».
Pesa anche la coincidenza con l’uscita del libro della madre: lo stesso giorno, prosegue “Weltwoche”, «Rentzhog ha pubblicato una foto di Greta su Instagram e ha scritto un lungo articolo su Facebook: ciò ha innescato una reazione a catena in molti giornali e altri media». Alla fine di dicembre, la rivista “Samhällsnytt” ha rivelato che Greta «aveva pronunciato il suo famoso discorso alla conferenza di Katowice davanti a sedie vuote, mentre la televisione di Stato svedese si comportava come se avesse parlato davanti a un pubblico entusiasta». Sedie vuote, addirittura? Manipolazione completa? Sempre secondo “Weltwoche”, la madre di Greta, Malena Ernman, avrebbe confermato che l’attivista ambientalista Bo Thorén aveva reclutato sua figlia. Thorén è membro del consiglio di amministrazione di Fossilfritt Dalsland ed è un rinomato rappresentante del movimento ambientalista internazionale Extinction Rebellion. Insomma, conclude Vivaldelli: dietro a Greta Thunberg c’è un libro di una famosa cantante (la madre), una start up in cerca di visibilità, un abile comunicatore ed esperto di pubblicità, diverse organizzazioni che bramano di diffondere il loro messaggio. Poi vengono l’ambiente, il Climate Strike e le mobilitazioni globali. «Nulla, però, accade per caso. E se non vi è dubbio di dubitare che ciò che racconta Greta al mondo sia sincero, chi le sta attorno ha abilmente beneficiato di un ritorno mediatico che era voluto e studiato a tavolino».

fonte: LIBRE IDEE

martedì 2 aprile 2019

Ilse Koch, la cagna di Buchenwald


Mi chiamavano cagna.
Mi chiamavano strega. Mi chiamavano donnaccia. Io ero solo me stessa. Libera di essere crudele, sadica, perversa, ninfomane, di fare paura.
Avevo la loro vita nelle mie mani e se solo avessi voluto, avrei potuto schiacciarli tutti sotto i miei stivali di pelle, sempre lucidi, sempre in ordine. Mosche, vermi striscianti, scarti dell’umanità, inutili creature che avevamo il dovere e l’onore di sterminare, per rendere migliore l’Europa, il mondo. Li guardavo camminare, pallidi, denutriti, sporchi, affamati. Disprezzavo quegli occhi vuoti, impauriti, quegli sguardi privi di vita prima della morte, quel loro incedere lento e timoroso, pronti a trasalire ad ogni rumore, a farsi piccoli-piccoli per mettersi al riparo da ciò che li aspettava: lo sterminio.
Per me erano nulla, un obbligo quotidiano, un passatempo alla noia del campo. La loro sopravvivenza non mi riguardava. Mi accorgevo di quelle invisibile presenze solo quando li vedevo soffrire, inginocchiati nella polvere o nel fango, a un passo dalla fine, con quelle bocche spalancate in un grido silenzioso che li avrebbe traghettati nell’oblio. Mi piaceva essere la padrona del loro destino. Provavo un piacere sottile che sentivo crescere di giorno in giorno, alimentato da quel sadismo latente che albergava in me e che a Buchenwald, accanto a mio marito ebbi la possibilità di liberare. Non avevo limiti, non conoscevo pietà, perché nessuno mi avrebbe fermata, nessuno mi avrebbe convinto che davanti a me c’erano esseri umani. Per me non lo erano, non lo sono mai stati. Erano solo ebrei, zingari o prigionieri politici, creature imperfette e inutili, cancro dell’umanità, con quelle loro anonime divise, luride e strappate, con i segni del dolore impressi sui volti scheletrici e noi la razza superiore, perfetta, quella che avrebbe dominato il mondo. Il mio nome era Ilse Koch; per chi mi conobbe e riuscì a sopravvivere, ero la “iena di Buchenwald”. 



Fino al giorno del mio matrimonio fui solo una brava ragazza, una qualunque che cercava di emergere. Nacqui a Dresda nel 1906. Il mio nome da nubile era Köhler. Ero bella, piacevo a molti ragazzi della mia età, ero intelligente e questo era motivo di lodi da parte degli adulti. I miei genitori erano persone semplici, contadini abituati a lavorare molto, affettuosi e generosi, che cercarono di farmi crescere insegnandomi i valori che per loro erano importanti. Ci riuscirono per un po’, fino a quando a 15 anni decisi che sarei stata padrona della mia vita e del mio destino. Lasciai la scuola e andai a lavorare. Mi adattai a fare l’operaia. Dopo qualche tempo trovai impiego in una biblioteca, ma aspiravo ad altro. Mi arruolai nelle SS, dopo aver seguito per lungo tempo la propaganda degli uomini del partito. Fui colpita dalle loro parole, dalle idee che con forza esprimevano, dall’affermazione della razza ariana come superiore. Un giorno fui notata da Heinrich Himmler, capo della Gestapo, che oltre alla mia avvenenza e perfezione fisica, vide in me quelle qualità che ogni donna ariana avrebbe dovuto avere. All’epoca ero sorvegliante e segretaria nel campo di concentramento di Sachesenhausen, situato nella zona di Berlino. Le mie indubbie capacità di comando e di gestione del “materiale umano” che arrivava al campo, mi permisero di emergere e di essere selezionata per formare con Karl la coppia perfetta, quella che avrebbe contribuito con il giusto atteggiamento a fare grande la Germania. Lui era lo sposo ideale: autoritario, capace, fiero, affascinante e giustamente crudele. Nonostante la sua giovane età, aveva già diretto, con grande maestria, i campi di Columbia-Hans, Lichtenburg, Esterwegen Sachesenhausen, dove i nostri destini si incrociarono. Ero alle sue dipendenze. Mi affascinava la forza che esprimeva compiendo anche la più banale delle azioni, e la sua capacità di essere padrone della situazione sempre. Per me fu un privilegio grande entrare a far parte dell’immenso disegno del Reich, diventando sua moglie. Nel 1936 ci sposammo. Fummo trasferiti a Buchenwald già a partire al 1° agosto 1937. Ero la moglie del comandante, non dovevo lavorare ma sfornare piccoli ariani, come voleva il regime. Grazie alla mia posizione, avevo il potere assoluto su tutti quelli che erano internati lì: vita o morte, a me la decisione.



Himmler diceva che insieme incarnavamo l’essenza del partito, la “coppia modello” che tutti avrebbero temuto. Al campo Karl ottenne la promozione a colonnello. Non avevamo a disposizione le camerte a gas, ma nonostante questo l’aspettativa di vita per un prigioniero, dal giorno del nostro arrivo, scese a circa tre mesi. Morivano per il tropo lavoro, per gli stenti, per le malattie o per i nostri capricci.
Ricordo i primi giorni: mi sentivo ebbra di potere. Prendemmo possesso del nostro alloggio, e degli uffici, impartendo orini precisi per ogni cosa. Tutto doveva essere come volevamo noi. Karl mostrò subito il suo vero volto. Godeva nel brutalizzare gli internati. Non esitava a farli uccidere a calci e pugni perché avevano incrociato il suo sguardo oppure avevano osato posare il loro su di me. Era solito girare con un frustino modificato con lame di rasoio. Si divertiva a veder utilizzare lo schiaccia pollici o a marchiare con ferri caldi chi gli capitava a tiro. Usava i cani per uccidere o ferire. Mi resi conto subito che non mi disturbava assistere a scene di violenza. Al contrario ne ero compiaciuta, attirata, tanto che comincia anche io a fare le stesse cose. Da brava donna del Reich cominciai a sfornare figli. Durante la permanenza a Buchenwald diventai madre per tre volte: nel 1938 nacque Artvin, nel 1939 Gisela, nel dicembre del 1940 Gudrun, che però ci lasciò nel febbraio del 1941. La noia di badare ai piccoli, il non poter lavorare, mi spinsero ad impiegare il mio tempo in modi alternativi. Se non avevo nulla da fare, mi divertivo a girare per il campo con la frusta in mano. Sceglievo qualcuno a caso, il detenuto più lento, oppure quello con la divisa meno logora; non c’era una discriminante che mi spingesse a preferire uno piuttosto che un altro. Lo facevo e basta, questione di un istante e colpivo, per soddisfare il desiderio di procurare dolore, per sentire la carne lacerarsi, per guardare le vesti cadere a terra a brandelli, intrisi di sangue. Uno, due, cinque, dieci colpi, mi fermavo solo quando il braccio mi faceva male e così, coperta di sudore e livida in volto, mi sentivo appagata. Altre volte passeggiando con qualcuno dei soldati, davo loro l’ordine di uccidere un prigioniero a caso, a suon di percosse. Lo avevo imparato da Karl. Il nostro matrimonio era speciale anche per questo, per quell’anima nera che condividevamo, fuori e dentro casa. E proprio nel nostro nido potevamo sfogare i nostri più inconfessabili istinti. Mi piaceva organizzare orge saffiche con le mogli degli altri ufficiali, per poi passare in un’altra stanza a consumare amplessi promiscui con gli ufficiali stessi, anche una dozzina alla volta. Ero insaziabile e Karl non mi dava limiti, mai.



Riservavo un trattamento particolare alle donne incinta. Mi provocavano un senso di fastidio. Con quale diritto procreavano? Mettevano al mondo altri esseri imperfetti. Materiale di scarto, con i loro ventri gonfi, si aggiravano per il campo e quando le incrociavo mi piaceva farle attaccare dal mio pastore tedesco.
Il senso di potere cresceva in me ogni giorno. Era piacevole suscitare tanta paura, avere su di me sguardi di terrore e di ammirazione. Mi sentivo bella, desiderata, non solo da mio marito. La vita agiata e piena di ricchezze che conducevamo, era in netto contrasto con la morte e la disperazione che trovavamo fuori dalla porta di casa. Me ne preoccupavo? Assolutamente no, anzi, organizzavo fastose feste per i nostri amici e conoscenti. Mi piaceva pensare alla sofferenza di quei miserabili a pochi metri da noi.
Le stranezze con me non avevano limite. Nei giorni degli arrivi dei convogli uscivo dal nostro alloggio a seno nudo o in reggiseno. Se qualcuno aveva il coraggio di girarsi a guardarmi, lo facevo massacrare a calci e pugni davanti a tutti. Mi piacevo, ero bella, elegante, profumata, in quel mare di carcasse umane e se una prigioniera appena arrivata era più bella di me, me ne occupavo direttamente.
Avevo una specie di ossessione per i corpi. Mi aggiravo nelle baracche durante le visite per guardare uomini e donne nudi, per scoprire se c’era qualcuno che valeva la pena di osservare, di mettere alla prova, se ci fosse chi era tatuato. Ero alla perenne ricerca di materiale umano. Uno dei miei svaghi consisteva nell’abbellire il nostro alloggio, con quadri e paralumi che facevo confezionare alle detenute. Le costringevo ad usare lembi di pelle umana, tatuati e non. Sceglievo un candidato, uno qualsiasi, fra zingari e prigionieri di guerra russi. Erano i miei preferiti, non importava se fossero vivi o morti. La nostra casa era bellissima e Karl apprezzava il mio estro creativo.
Un giorno venni a sapere che un medico ad Auschwitz collezionava Tsantsa, cioè teste rimpicciolite dei prigionieri. L’idea ami sembrò davvero bella, tanto da decidere di provare immediatamente per vedere il risultato. Infondo il materiale a mia disposizione era illimitato. Non fu facile, dopo diversi tentativi ottenemmo un risultato davvero soddisfacente. Soprammobili particolari che mio marito accolse con entusiasmo. Le voci sulle nostre stranezze, sugli eccessi a cui eravamo soliti abbandonarci, uscirono ben presto dal campo. Arrivarono al Reich, che cominciò una lunga indagine sulla nostra condotta. Fummo convocati più volte per rispondere di atti di eccessiva brutalità, di appropriazione indebita dei beni sequestrati ai prigionieri, infamia, corruzione, ubriachezza durante il servizio, molestie sessuali verso prigionieri e soldati, omicidio. Nel 1941 tutto cambiò improvvisamente, il nostro regno del male cominciava a vacillare. Dopo la morte della nostra piccola Gudrun, decisi di ricominciare a lavorare. Assunsi l’incarico di capo supervisore del reparto femminile del campo. A settembre Karl fu trasferito al lager di Majdanek, mentre le indagini su di noi continuavano. Io restai a vivere con i bambini nel nostro alloggio. Durante l’inchiesta emersero molte prove a carico di mio marito e ovviamente mio. Ma la questione aperta era per il momento solo con lui, aveva disonorato la divisa. Nell’agosto del 1942 la sua situazione peggiorò ulteriormente: da Majdanek fuggirono 86 prigionieri di guerra russi. Fu trasferito senza preavviso a Berlino, dove assunse un incarico minore. Alle altre accuse si era aggiunta quella di negligenza criminale. Nel 1943 fummo arrestati. Io venni portata a Weimar, mentre ebbe inizio il processo contro Karl. Il tribunale militare lo giudicò colpevole di tutti i reati cointestati e lo condannò a morte per aver infangato il corpo delle SS. Fui informata della sua fucilazione il 5 aprile 1945. La sentenza fu eseguita a Buchenwald: là dove tutto era iniziato, finì. Una settimana dopo gli alleanti entrarono al campo, liberandolo. Io fui scarcerata, all’epoca dei fatti ero solo la moglie del comandante del campo, non avevo responsabilità militare. Andammo a vivere per un po’ a Ludwigsurg, ma la mia libertà durò poco. Il 30 giugno 1945 gli alleati mi trovarono e mi arrestarono come criminale di guerra. Fui processata a Dachau. Molti testimoni si susseguirono in aula, alcuni scrissero addirittura 50.000 persone. Erano ancora carcasse per me, denutriti, segnati nel corpo e nell’anima. Furono anche presentate delle prove fotografiche, che immortalavano mucchi di cadaveri nel campo. 



«Bugie! Tutte bugie!» gridai. Come osavano processarmi? Era mio dovere obbedire, fare quello che ho fatto. Era il disegno del Reich e noi eravamo una coppia perfetta. La sentenza arrivò nel 1947: ergastolo. Non ebbi un attimo di esitazione, mai un cedimento, se non quelli simulati. Non dissi nulla, mantenni la mia solita espressione fiera. Ero innocente, non avevo fatto altro che seguire gli ordini, mi ero occupata del materiale umano che arrivava con frequenza al campo. A sorpresa la mia pena fu commutata in 4 anni. Una volta scarcerata nel 1949 cercai di scomparire, ma la pressione dell’opinione pubblica e l’indignazione popolare per quel trattamento privilegiato, mi riportarono in carcere. Durante la detenzione conobbi un recluso, del quale rimasi incinta. Un caso? Una tattica? Forse speravo di rimandare il processo che stava per iniziare a mio carico. Ma la gravidanza non bastò. Fui condannata di nuovo all’ergastolo.
Partorii ad Aichach, ma non vidi mai mio figlio se non per pochi istanti. Gli diedi il nome di Uve Köhler. Quella condizione di forzata detenzione mi logorò lentamente. Una mattina nel 1967 presi una decisione definitiva. Così, senza dire nulla a nessuno, scrissi una lettera a mio figlio. Gli raccontai chi ero, della mia posizione nel Reich, della stima del grande Himmler, di Karl, degli anni passati insieme e delle sue sorelle. Non avevo rimorsi, avevo fatto tutto quello che volevo e lui doveva saperlo. Sua madre era stata una grande nazista, una donna che incuteva timore. Pochi istanti dopo aver finito, presi le lenzuola, feci un cappio, lo legai alle sbarre e me lo misi al collo. Mi lasciai penzolare. Pochi minuti, sola, con gli occhi pieni di lacrime, la bocca spalancata in un grido silenzioso che avevo visto mille volte sui volti terrorizzarti delle mie vittime. Che stano, pensai a loro in quel momento, pensai alle frustate, al rumore della carne lacerata, agli incontri orgiastici, alla depravazione, alle risate che ci venivano dal cuore ogni volta che vedevamo la sofferenza di qualcuno. Il buio. Finì così la mia vita, quella della cagna di Buchenwald e con me il mio regno del terrore. Dopo la fine della guerra si parlò a lungo di ciò avevo fatto. In tanti mi avrebbero ricordata, nel male, mai nessuno mi avrebbe dimenticata.

Rosella Reali
Bibliografia

Massimiliano Livi (2008). "Ilse Koch". In Pugliese, Elizabeth; Hufford, Larry. War Crimes and Trials: A Historical Encyclopedia, from 1850 to the Present. Santa Barbara: ABC-CLIO.

Gutman, Israel, ed. (1995). Encyclopedia of the Holocaust. Macmillan.

Lacqueur, Walter; Baumel, Judith Tydor, eds. (2001). The Holocaust Encyclopedia. Yale University

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...