mercoledì 1 maggio 2019

lingotti, fertilizzanti e sapone: tutto un appalto della morte!


Il più grande e famigerato campo di sterminio fu quello di Auschwitz che, munito di quattro enormi camere a gas e di annessi forni crematori, riusciva a uccidere e bruciare più prigionieri di ogni altro lager, raggiungendo verso la fine della guerra le 6000 vittime al giorno. Uno dei più spietati comandanti, Rudolf Hess, andava orgoglioso della grande efficacia del gas di cui faceva uso, come tenne a precisare di fronte alla Corte internazionale che il 20 ottobre 1945 dette inizio a Norimberga al processo contro i criminali nazisti.
Questa testimonianza agghiacciante lascia immaginare la carneficina: La soluzione finale del problema ebraico significava il completo sterminio di tutti gli ebrei d’Europa. Mi fu dato l’ordine, nel giugno del 1941, di creare, ad Auschwitz, installazioni per lo sterminio. A quel tempo nel Governatorato generale della Polonia esistevano già tre altri campi di sterminio: Belzen, Treblinka e Wolzek. Feci una visita a quello di Treblinka per vedere come si procedeva allo sterminio. Il comandante mi disse di aver liquidato 80000 persone nel corso di un semestre. Era stato incaricato di liquidare prima di tutti gli ebrei provenienti dal ghetto di Varsavia. Egli usava monossido di carbonio. Ma io non ritenni che i suoi metodi fossero molto efficienti, per cui quando ad Auschwitz organizzai i locali per lo sterminio usai il ciclon B, acido prussico in cristalli che veniva fatto cadere nella camera della morte da una piccola apertura. Per uccidere coloro che vi si trovavano bastavano da tre a quindici minuti, a seconda delle condizioni atmosferiche. Sapevamo che le persone erano morte quando le grida cessavano. In genere aspettavamo una mezz’ora prima di aprire le porte e portar via i cadaveri. Poi i nostri “commandos speciali” toglievano loro gli anelli e i denti d’oro. Rispetto a Treblinka, un altro progresso fu la costruzione di camere a gas che contenevano duemila persone alla volta: mentre a Treblinka le dieci camere a gas del campo potevano servire solo per duecento persone ognuna. (‹‹Testimonianza di R. Hess›› in Processo dei grandi criminali davanti al Tribunale internazionale di Norimberga, Norimberga 1947)
Ma, prima di continuare, chi erano questi commandos speciali? Erano ebrei maschi che, in cambio della vita e di un vitto adeguato, un letto ed un tetto più consoni, potremmo aggiungere, si prestavano a compiere questo mostruoso lavoro. Anche costoro, tuttavia, venivano poi eliminati a turno perché le SS non volevano testimoni. Secondo molte deposizioni rese dai nazisti a Norimberga, gli ebrei venivano martoriati anche dopo morti, prima di cremarli. Sevizie sui cadaveri, assurdo! Prima dell’esecuzione dei condannati, i commandos ne tagliavano i capelli che erano poi inviati in Germania e utilizzati nella fabbricazione di materassi. Si recuperavano anche i vestiti, l’argento e gli oggetti di valore appartenenti alle vittime, che venivano spediti a servizi appositamente incaricati. Dopo lo sterminio, i denti e le dentiere in oro venivano prelevati sui cadaveri e inviati alla Banca Nazionale tedesca che li faceva fondere in lingotti. Le ceneri provenienti dalla cremazione venivano utilizzate come fertilizzanti e, in alcuni casi, si fecero degli esperimenti al fine di servirsi del grasso delle vittime per la produzione industriale del sapone. Si ha l’impressione di leggere la relazione di un industriale che deve riciclare dei rifiuti, raffinare ed appaltare un lavoro, mentre la merce, in posta, è fatta di uomini in carne e ossa, di bambini strappati ai genitori, comunque di esseri viventi. Insomma, una robotizzazione dei carnefici, da far venire la pelle d’oca. Alla luce di ciò, l’economia tedesca non prosperò soltanto sul lavoro coatto ma anche sulla morte stessa delle sue vittime. Le testimonianze mostrano, infatti, che fra gli imprenditori vi fu una forte concorrenza per vincere l’appalto per la produzione di terrificanti dispositivi di morte utilizzati nei campi di concentramento.

Due ditte della morte. L’orrore si commenta da solo ed è bene fermarsi qui, anche se fenomeni di razzismo ed intolleranza sono trappole sempre in agguato per tutti noi: non dimentichiamocelo! Ma prima occorre soffermarsi su un dato sconcertante, per chiudere il cerchio dell’assurdo. Sergio De Simone (Napoli, 29 novembre 1937 – Amburgo, 20 aprile 1945), deportato italiano di religione ebraica ad Auschwitz, vittima dell’Olocausto, fu l’unico italiano tra i 20 bambini di varia nazionalità selezionati come cavie umane per esperimenti medici, compiuti dal dottor Kurt Heissmeyer nel campo di concentramento di Neuengamme presso Amburgo, pensate un po’! Il medico era convinto che, iniettando bacilli tubercolari sottopelle, si sarebbero formati focolai di infezione, che avrebbero generato difese immunitarie, tali da poter vaccinare contro la tubercolosi polmonare. 


Siamo al delirio, praticamente! Al termine delle sperimentazioni tutti i 20 bambini e i loro accompagnatori furono uccisi nei sotterranei della scuola amburghese di Bullenhuser Damm. In un edificio scolastico, è proprio inenarrabile questo! Roba da far venire i bordoni, direi!


Ecco perché la memoria urge perché errori ed orrori non vadano più di pari passo. Ed un fantasma ancora si aggira: quello di Primo Levi. “Pater optime, ubi est mensa pauperorum?”, continua a sussurrare: parola di Tregua in un latino faticoso, quella realmente spesa per chiedere a un sacerdote incontrato per caso nelle vie di Cracovia un luogo dove poter trovare un boccone di pane, negli ultimi sussulti della seconda guerra mondiale. Evocazioni di un’identità, oggi, in briciole. Il codice 174517 tatuato sul suo avambraccio sinistro non può dirci che valgono ancora i numeri in serie: il suo antico farfugliato invoca la Memoria come denuncia.

Di Francesco Polopoli

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia

‹‹Testimonianza di R. Hess›› in Processo dei grandi criminali davanti al Tribunale internazionale di Norimberga, Norimberga 1947.

Alba Rosa Leone, Orientarsi nella storia, Vol. 3, Firenze 1991.

Sitografia: https://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_De_Simone.


FRANCESCO POLOPOLI
Nato nel 1973, filologo, esperto di filologia neotestamentaria e divulgatore gioachimita. Ha partecipato a Convegni di italianistica, in qualità di relatore, sia in Europa (Budapest) che in Italia (Cattolica di Milano). Attualmente risiede a Lamezia Terme e da articolista si prende cura dell’antico non solo tramite le testate on line della propria cittadella natale ma anche attraverso Orizzonte Scuola e Tecnica della Scuola, diffondendo in comunità virtuali sempre più condivise i propri contributi. Attualmente è docente di latino e greco presso il Liceo Classico di San Giovanni in Fiore e Membro del Centro internazionale di studi gioachimiti. Ultimo è il volume Vitamina classica. Approccio semiserio alla cultura dell’antico.

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