giovedì 25 maggio 2017

un eretico di nome Michelangelo


Il 18 febbraio del 1564, Michelangelo Buonarroti muore, quasi ottantanovenne, a Roma nella sua residenza di piazza Macel de' Corvi, assistito da Tommaso de' Cavalieri.
L'età avanzata non permise al grande artista di sopravvivere alle notizie che giungevano dal Concilio di Trento, dove poco tempo prima era stato deciso di coprire le parti, definite, oscene del Giudizio Universale.  Nelle ore successive la morte, un manipolo di uomini della Santa Inquisizione si presentano nell'abitazione dell'uomo divenuto genio. 
Perché l'Inquisizione si presenta a casa di Michelangelo?

Cosa cerca?
Nell'inventario redatto il giorno successivo, 19 febbraio, sono registrati pochi beni, tra cui una decina di cartoni, la Pietà e due piccole sculture. In una cassa viene trovato un piccolo tesoro, che nessuna persona si sarebbe immaginato in una simile abitazione.
Dei disegni e degli schizzi non vi è traccia. Michelangelo stesso li gettò nel fuoco, poco prima di morire, per farli scomparire per sempre.
Perché il maestro decise di distruggere i propri disegni?
Risaliamo la linea del tempo per cercare di comprendere gli eventi relativi ai momenti successivi la morte del grande artista.
Michelangelo fu chiamato a Roma nel 1505.
Fu probabilmente Giuliano da Sangallo a raccontare a Papa Giulio II, eletto nel 1503, i grandi successi fiorentini dell'artista. Giulio II si era dedicato ad un ambizioso programma di governo che intrecciava politica ed arte. Il Papa si circondò dei più grandi artisti dell'epoca, da Bramante a Raffaello, nell'obiettivo di restituire a Roma la grandezza del passato.


Michelangelo ottenne il compito di realizzare una sepoltura monumentale per il Papa. L'accordo fu raggiunto in tempi relativamente brevi, due mesi, permettendo all'artista, dopo il pagamento di un cospicuo anticipo, di fare ritorno in Toscana, alla volta di Carrara, per acquistare i blocchi di marmo necessari al compimento del monumento. Il lavoro di estrazione e scelta del marmo durò quasi un anno. In quel periodo a Roma si mise in moto un complotto ai danni dell'artista toscano, probabilmente voluto ed accelerato dall'invidia dei colleghi. Tra questi il Bramante fu particolarmente attivo, distogliendo l'attenzione del Papa dal progetto della sepoltura poiché giudicata di cattivo auspicio per una persona ancora in vita.
La primavera successiva Michelangelo si recò a Roma con i blocchi di marmo necessari al compimento dell'opera monumentale. In breve tempo scoprì che il progetto non era più al centro degli interessi papali. Sentendosi minacciato decise di fuggire da Roma.
Di quel periodo la frase “si stava a Roma penso che fussi fatta prima la sepoltura mia che quella del Papa”.
Tornò a Firenze, dove a nulla valsero le richieste del Papa di tornare a Roma.
La calma tornò dopo diverse lettere del Papa alla Signoria di Firenze. L'occasione per la riconciliazione fu la visita a Bologna del Papa nel novembre del 1506. Giulio II affidò all'artista l'incarico per un ritratto in bronzo da affiggere in San Petronio. Ultimato l'impegno bolognese, Michelangelo tornò a Firenze per portare a compimento progetti non finiti. Nella primavera del 1508 una lettera papale lo intimava di raggiungere Roma nel minor tempo possibile. Giulio II decise di occupare l'artista con un'opera dalle proporzioni che superavano l'umano: la ridecorazione della volta della Cappella Sistina. La strada da percorrere era irta d'ostacoli a causa della tecnica poco utilizzata dal maestro, del confronto con i grandi maestri fiorentini e delle dimensioni eccezionali dell'opera. Lo straordinario affresco fu inaugurato la vigila di Ognissanti del 1512. Pochi mesi dopo Giulio II morì.
Nel febbraio del 1513 gli eredi del Papa appena defunto decisero di riprendere il progetto della tomba monumentale. Tra le clausole contrattuali vi era quella che legava l'artista a lavorare esclusivamente alla sepoltura papale con un termine massimo di sette anni per il completamento. Michelangelo lavorò intensamente all'opera senza rispettare la clausola esclusiva per non precludersi guadagni derivanti da altre commissioni.
Con la salita al soglio pontificio della famiglia Medici di Firenze, Michelangelo fece ritorno nella sua amata Toscana per eseguire opere commissionate dal Papa.


Il sacco di Roma del 1527 modificò radicalmente le posizioni e le visioni. Giunta a Firenze la notizia dello smacco inferto a Papa Clemente VII, la città insorse contro il delegato del Papa, Alessandro de' Medici, cacciandolo ed instaurando un nuovo governo repubblicano. Michelangelo aderì al nuovo regime.
Le forze in campo erano nettamente a sfavore dei nuovi dominanti, tanto che il 12 agosto del 1530 i Medici fecero ritorno in città. Michelangelo, che sapeva d'essersi compromesso con la famiglia de' Medici, si nascose riuscendo a fuggire dalla città, riparando a Venezia.
Clemente VII, mosso dalla consapevolezza che Michelangelo fosse l'unico artista capace di dare forma ai sogni di gloria della famiglia, lo perdonò a patto che riprendesse i lavori nella chiesa di San Lorenzo a Firenze, portando a compimento il sogno della monumentale libreria.
La storia corre veloce.
La tomba di Giulio II fu abbandonata?
Assolutamente no. Nell'aprile del 1532 l'artista firmò il quarto contratto per la monumentale opera con i familiari del Papa. In questo periodo conobbe e si legò fortemente a Tommaso de' Cavalieri, che gli stette vicino sino alla fine. Nel frattempo Clemente VII commissionò all'artista la decorazione della parete di fondo della Cappella Sistina con il Giudizio Universale. Il Papa morì poco tempo dopo, sostituito da Paolo III che confermò la commissione e nominò Michelangelo pittore, scultore e architetto del Palazzo Vaticano.
In un crescendo di notorietà si giunge al 1537.
Anno fondamentale per questa narrazione.
Quale il motivo?
Dal 1537, circa, l'artista aveva stretto amicizia con la marchesa di Pescara, Vittoria Colonna. La donna introdusse Michelangelo al circolo viterbese del cardinale Reginald Pole. La stretta cerchia di frequentatori era animata dal cardinale Giovanni Morone e da Pietro Carnesecchi, che morirà per mano dell'inquisizione il 1 ottobre del 1567.
All'interno di quel circolo culturale si aspirava ad una riforma della chiesa Cattolica, sia interna che nei confronti del resto della cristianità. Queste teorie influenzarono certamente Michelangelo nelle opere che eseguì in seguito alla sua introduzione nella ristretta cerchia degli amici del cardinale Pole.


Chi erano queste persone che si riunivano intorno alla figura del cardinale inglese?
Il movimento degli Spirituali fu costituito da un insieme di prelati e umanisti attivi negli ambienti della curia romana negli anni centrali del XVI secolo. Una grande parte di questi pensatori si riunì attorno al cardinale Pole nel corso della sua legazione apostolica a Viterbo, dando luogo alla famosa Ecclesia viterbensis. L'intenzione di queste persone era riformare la Chiesa all'interno, deprecando la rottura con Roma operata da Lutero. Questo movimento fu notevolmente influente in Vaticano, tanto che il cardinale Pole mancò l'elezione a Papa per un soffio. Quest'evento rappresentò l'inizio della fine degli Spirituali, scardinati dall'avanzata inquisitoriale promossa da Gian Pietro Carafa, che salirà in seguito al soglio che fu di Pietro con il nome di Paolo IV.
Cosa accadde durante il Conclave che non elesse il cardinale Pole per un solo voto al soglio di Pietro?
Gian Pietro Carafa, cardinale ed inquisitore, propose all'assemblea una documentazione del Santo Uffizio attraverso la quale dimostrava l'eresia del cardinale inglese.
Pole decise di allontanarsi da Roma, godendo di una rendita che il nuovo Papa, Giulio III, li riconobbe.
Nel 1554 il cardinale fu inviato da Giulio III in Inghilterra come legato papale, al fine di riportare la terra d'Albione sotto il dominio cattolico. L'anno seguente il Papa morì, sostituito da Carafa con il nome di Paolo IV.
Il nuovo pontefice riprese la crociata contro gli spirituali: decise di inquisire il cardinale Morone e di richiamare a Roma il cardinale Pole. L'inglese decise di rimanere a Londra, dove si spense qualche anno dopo come ultimo arcivescovo cattolico di Canterbury.
Michelangelo s'inserì profondamente in questo contesto, e prova ne sono le lettere con la marchesa Colonna, di cui siamo a conoscenza grazie allo scritto di Francisco de Hollanda intitolato Quattro dialoghi sulla pittura. All'interno del testo ritroviamo: “Michelangelo era solito recarsi nelle giornate domenicali con la signora marchesa di Pescara nel convento domenicano di San Silvestro al Quirinale per ascoltare la lettura delle Epistole di san Paolo”.
Inoltre, grazie all'Aretino, siamo a conoscenza della corrispondenza tra l'artista e Gualteruzzi, inserito nella corte romana e in strettissimi rapporti con gli Spirituali.
Gli ultimi anni di vita dell'artista furono caratterizzati da un progressivo abbandono della pittura e della scultura, esercitata solo in opere di carattere privato.
Si giunge al 21 gennaio del 1564: quel giorno dal Concilio riunito a Trento giunge la decisione di coprire le parti, considerate, oscene del Giudizio Universale.
Pochi giorni dopo si spegne il genio di un uomo chiamato Michelangelo.
Una domanda sorge spontanea: cosa cercavano gli inviati della Santa Inquisizione nell'abitazione del maestro?
La risposta appartiene al vento, che veloce trascinò con se il fumo di quel camino.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia
Ettore Camesasca - Michelangelo pittore - Milano, Rizzoli, 1966
Umberto Baldini - Michelangelo scultore - Milano, Rizzoli, 1973
Lutz Heusinger - Michelangelo, I protagonisti dell'arte italiana - Firenze, Scala Group, 2001
Antonio Forcellino - Michelangelo. Una vita inquieta - Roma-Bari, Laterza, 2005
Giorgio Lise - L'altro Michelangelo - Cordani, Milano 1981.
Claudia Mancini - Michelangelo Buonarotti e la Marchesa di Pescara - laporzione.it
Veronica Copello - Vitoria Colonna - ereticopedia.it

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