sabato 29 aprile 2017

chi vuol sapere troppo non conosce mai niente

Gianni Tirelli

Questo nuovo e singolare popolo del WEB, buona parte del quale sonnecchiava da sempre ai margini di un analfabetismo culturale cronico e ben lontano così dal produrre seri danni alla società – ieri con la televisione e oggi con l’interazione mediatica della Rete, sta dando fondo ad ogni sorta di isteria intellettuale, in ragione di una apparente visibilità insperata. 

Così, investito di un tale, magnanima concessione e sull’onda di una lancinante e da troppo tempo repressa frustrazione da isolamento, si concede spudoratamente a disinvolte conclusioni ed empirici giudizi critici (nel merito di questioni così al di fuori dalla portata, di chiunque sia in possesso di una discreta dose di ragionevolezza e senso del limite), da sconfinare nel delirio di una onnipotenza da ultras da stadio di calcio.

Ignoranti si era e ignoranti si rimane! L’astratta illusione di potere riscattare la nostra condizione di subalternità con l’accesso di massa ai mezzi di comunicazione, è una mera congettura che oggi, i fatti, avvallano tale, in maniera inopinabile.

Così, ad un tratto, questa folla di pappagalli “del copia e incolla” folgorati sulla via di Damasco, come illuminati a cui è stata conferita la missione di decidere le sorti e la salvezza dell’umanità e del mondo, si prodigano dentro un sistematico quanto sterile chiacchiericcio globale, volto a volere suffragare e ufficializzare le tesi più bizzarre, e le conclusioni più azzardate. Ci vuole ben altro e ben altri mezzi per rendere onore alla verità e combattere il Sistema. Oggi, tutti immaginano di avere capito tutto, e di potere così dettare le condizioni e le regole agli altri, forti delle conclusioni rubacchiate, trafugate dal grande mare della Rete, e prese in prestito da uno zelante professionista del “copia e incolla” e in seguito, fatte proprie...


Nel frattempo gli androidi (mai come oggi omologati alla tendenza della notizia bomba dell’ultimo minuto – scoop -), pur di non correre il rischio all'emarginazione ma ancor di più, di essere additati alla stregua di eretici, di pericolosi sovversivi e troppo diversi e distanti dall’idea dominante, e ancora più disonorevole, di non essere diligentemente “informati” sugli accadimenti del giorno o sull’orientamento dei nuovi maestri, volto al revisionismo storico e al negazionismo, si adeguano alla volontà di un regime di “aria fritta” per non dovere fare ritorno nel limbo gelatinoso di uno scomodo anonimato.

E’ la storia che si ripete e che si esprime nell’incapacità di contrastare la paura del dopo e della solitudine, non essendo in possesso di autorevoli parametri di riferimento, in virtù dei quali comparare e raffrontare le proprie intuizioni, stati d’animo e scelte, per poi opporsi alla menzogna dilagante.?E’ la triste narrazione di una società che sul relativismo dei valori e dei principi etici, ha suggellato il suo perverso progetto di schiavitù a piede libero, contando sulla natura codarda e opportunista degli individui che alla forza di una volontà decisionale e alla dignità, hanno anteposto (senza troppo pensarci), l’inoperosità di uno stato vegetativo, e alla libertà, licenza e sudditanza.

Sono le pecore che si abbeverano al fiume dell’imbecillità umana, condividendo le tesi surreali di qualche mitomane senza palle in crisi di astinenza da visibilità, che fa della disinformazione (ma essendosi prima informato da fonti segretissime e secretate e più pertinenti con la sua natura di marpione!), il suo stile di vita. Uno sgarbiano personaggio dell’ultima ora che con l’enfasi, il tono e il vigore verbale di un gesuita d’assalto, declama la sua metodica e puntuale opera di investigazione, sventolando sul naso degli astanti, tesi e trame di sicuro effetto, fra la lo stupore e la meraviglia degli ebeti adoranti.

Sono i novelli predicatori del nulla di questo tempo sospeso, avulsi dal più banale concetto di conoscenza e di cultura, che sia in qualche modo riconducibile ad una loro personale e imparziale analisi delle circostanze. Gente senza spina dorsale, sussulto di orgoglio e slancio di ribellione. Sono quelli che alle ragioni di un onesto e pacato contradditorio, sbraitano e declamano, inveiscono e abbandonano la scena, brandendo come uno scettro, un promemoria di appunti e dati che minacciano di rivelare al mondo.

Il grande Leo Ferré (pace all’anima sua) che ebbe la geniale intuizione di interpretare alcuni testi di Cesare Pavese, cantava: “Chi vuol sapere troppo non conosce mai niente”. Soprattutto di questi tempi di imperante confusione, mai una tale affermazione è stata più confacente e congeniale con la realtà, fino a contraddire ogni generica fantasticheria.

In verità il solo ed unico vero complotto è quello perpetrato dal Sistema Potere contro l’umanità, che ha predeterminato la condizione al fine di trascinare le società dentro uno stato confusionale e contraddittorio senza precedenti, interpretando alla lettera la celebre locuzione latina, divide et impera.

Fonte: fintatolleranza.blogspot.it

fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it/

femminicidio - reato di genere


L’argomento che vi vorrei proporre oggi non è facile da affrontare.
Vorrei trasmettere ai lettori di questo blog, che mi dà la possibilità, grazie all’apertura e alla disponibilità del suo ideatore, di esprimere in totale libertà il mio pensiero, e ciò che penso e sento da donna in merito al Femminicidio, omicidio di genere. 
Sapete tutti cosa significa, i giornali e i telegiornali ne parlano ogni settimana, a volte anche più spesso. Questa follia collettiva che sta dilagando con numeri impressionanti può colpire chiunque.
Il dizionario riporta la seguente definizione: femminicidio - qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.
Di seguito riporta anche: uccisione di una donna o di una ragazza.
Sottopongo alla vostra attenzione alcuni dati che riguardano la nostra penisola: dal 2006 al 2016 le donne uccise in Italia sono state 1.740. Una media di 170 ogni anno.
Non riporto i dati del 2017 perché sono ancora in fase di elaborazione, ma di certo non sono rassicuranti.
Mi colpisce molto che 1251 di questi omicidi, cioè il 71.9%, sono avvenuti in famiglia, fra le mura domestiche, nel luogo dove ci si dovrebbe rifugiare per trovare conforto e rassicurazione. Analizzando ancora più approfonditamente i dati, riscontriamo che 846, cioè il 67,6%, sono avvenuti all'interno della coppia, 224, cioè il 26,5%, per mano di un ex compagno, fidanzato o marito.
In sostanza 7 donne su 10 muoiono in famiglia.


Parliamo di femminicidi, non considerando in questi dati tutte le donne aggredite con acido, benzina, cherosene, coltello, pistola, mani nude, martello, bastone, calci, che hanno la fortuna di sopravvivere e condurre una vita di dolore e sofferenza che mai più potrà tornare quella di prima, i cui volti deturpati indelebilmente sono il simbolo di questa nuova società che ancora una volta cerca di annientare le donne.
Sopraffatte, annientate, giornalmente vittime di parole e prepotenza, che poi sfocia in atti di violenza inauditi,
sono madri, figlie, ex fidanzate, mogli, donne come me, che hanno avuto sempre una vita normale fino al giorno in cui quell’uomo che prima chiamavano amore si trasforma in un brutale assassino o in un aggressore.
Nel 16,7% dei casi, il femminicidio è stato preceduto da “violenze note”, casi denunciati alle autorità competenti, che spesso sono impotenti rispetto ai fatti in corso di accadimento, a volte inermi a causa di una legge inadeguata.
Uno dei reati maggiormente diffusi che si ricollega al femminicidio, divenendone spesso il preludio, è lo stalking.
Per stalking si intende quell’insieme di comportamenti persecutori ripetuti e intrusivi, come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate o attenzioni indesiderate, tenuti da una persona nei confronti della propria vittima.
Il termine stalking, e quindi di stalker, deriva dal verbo to stalk, “camminare con circospezione”, “camminare furtivamente”, “colui che cammina in modo furtivo”. Ma indica anche il “cacciatore in agguato”, un tempo cacciatore di animali, oggi cacciatori di donne.
Anche in questo caso i dati lasciano stupiti: 3 milioni e 466 mila in Italia, secondo l'Istat, sono le donne che nell'arco della propria vita hanno subito stalking, ovvero atti persecutori da parte di qualcuno.
A voi è mai capitato? Avete mai sporto denuncia per stalking? Qualcuno vi ha mai privato della libertà di vivere senza paura ogni istante della giornata? Io no, sono fortunata.
Il reato di stalking è entrato a far parte dell'ordinamento penale italiano con d.l. n. 11/2009 (convertito dalla l. n. 38/2009) che ha introdotto all'art. 612-bis c.p., il reato di “atti persecutori”, il quale punisce chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.


I dati riportati sono arrivati a noi grazie alla coraggiosa denuncia delle vittime chi si rivolgono alle autorità per dire no all’annientamento psicologico, al clima di terrore.
Ma alcuni sondaggi hanno fatto emergere un numero considerevole di donne che nonostante le minacce e i soprusi non ha mai denunciato il partner o la persona che le perseguita.
Gli assassini in genere vivono con la donna che uccidono, nel 41,6% dei casi censiti erano conviventi.
Il 17,6% sono ex coniugi o ex compagni, uomini rifiutati, che non accettano il distacco.
Una piccola percentuale, il 7%, ha ucciso la donna con non ha mai convissuto, in genere un’amante.
Il lasso di tempo in cui l’omicidio viene commesso è in genere entro i primi 3 mesi dopo la rottura del rapporto affettivo. Molti casi avvengono invece a causa della sola intenzione della donna di interrompere il legame.
Il senso di abbandono si rinnova durante la causa di separazione e conseguente affidamento dei figli.
Elemento spesso scatenante è la decisione del giudice o il tentativo di ricominciare una nuova vita da parte della donna.
Potrei dire ancora molto su questo argomento, moltissimo. Ma non credo serva. Voglio solo sensibilizzare le persone che ci seguono a questo problema.
Parlo di me come donna fortunata, e lo sono molto. Posso sorridere ogni giorno, ho un uomo accanto che mi ama e soprattutto mi rispetta, che mi tiene per mano nei momenti di luce e di buio. Sono una “strega” fortunata che cammina con il suo “barbagianni”.
Ho scritto queste righe per ricordare io per prima la mia fortuna, per tutti quei volti deturpati, per le cicatrici dell’anima che non passeranno mai, per la paura che è compagna di ogni istante e che spinge le vittime SOPRAVVISSUTE a guardarsi sempre le spalle.
È legge il decreto che contiene le misure contro la violenza di genere, grazie alla conversione in L. 15 ottobre 2013, n. 119 pubblicata in Gazzetta Ufficiale 15 ottobre 2013, n. 242. Ma questo basta per fermare il massacro? Mette un punto al reato di genere, ma non risolve il problema. Il cammino è lungo.
Sono tanti i passi da fare, le parole da dire, le storie da raccontare, gli esempi da portare.
Non voglio essere retorica, sarebbe troppo facile. È sotto gli occhi di tutti la situazione nella moderna società civile.
Non dimentichiamo a riflettori spenti, una volta finita l’indignazione del momento, cosa ci circonda. Cresciamo i nostri figli con la consapevolezza che un NO può essere superato, che un ADDIO non è la fine ma un punto di partenza, che donne e uomini sono uguali e non solo sulla carta, che il valore di ognuno sta nella persona non nel genere.
Non rimaniamo in silenzio se siamo a conoscenza di fatti che riguardano un’amica, o una parente, se capiamo che stanno passando l’inferno in casa, non diventiamo complici voltandoci dall’altra parte.
Io non sono stata complice, ho visto i segni, ho capito, ho letto il buio in quello sguardo.
Ho reagito, ho parlato, ho agito, ma al posto suo. Non era pronta a dire basta, ad andare via dall’incubo.
È rimasta là in quella casa prigione, accanto a un uomo che la picchiava ancora prima della nascita del loro figlio. È rimasta là e non mi parla più, mi ha chiusa fuori dalla sua vita e con me tutti la sua famiglia di origine. Mi chiedo spesso come sta, se è venuta via, se ha smesso la recita della famiglia felice, se non copre più i lividi con il fondotinta.
Ogni tanto faccio squillare il suo telefono, ma suona a vuoto, da tre anni.
Alle donne vittime di violenza e ai loro figli saranno destinati 5 milioni annui nel triennio 2017-2019 in base ad un emendamento alla legge di bilancio approvato in Commissione alla Camera.
Un altro passo verso la civiltà o solo un lavarsi le coscienze per l’inadeguatezza delle leggi che regolano la nostra vita? Voglio essere positiva, un passo verso la libertà.
Le risorse, andranno al piano antiviolenza, ai servizi territoriali, ai centri antiviolenza e ai servizi di assistenza alle donne. Grazie a tutti i volontari che ogni giorno ci stanno vicino con un supporto morale, psicologico e materiale, grazie da donna per le donne.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Sitografia






lunedì 24 aprile 2017

Pervinca, il fiore dell'amore e della morte


La pervinca o vinca minore, è una graziosa pianta perenne strisciante con fiori di colore blu/violaceo che possiamo trovare sia in vaso che nei nostri boschi. 

L’origine del suo nome non è certa. Secondo alcuni deriva dal latino vincire, che vuol dire legare, per la capacità della pianta di ancorarsi al terreno con le numerose radici, oppure da vincus, flessibile, in riferimento ai suoi fusti sottili e flessibili.
Originaria dell’Europa e dei Tropici, si è diffusa sul nostro territorio in modo considerevole, ben adattandosi alle differenze climatiche presenti nella nostra penisola.
I fiori sono tubolari formati da 5 lobi tondeggianti o allungati.
Le ghirlande di Pervinca erano però anche intrecciate per accompagnare i defunti nel loro ultimo viaggio. Questo utilizzo non era visto con accezione negativa: vita e morte erano considerate le due realtà legate alla terra e alla vita.
Oggi nel linguaggio dei fiori la Pervinca ha un significato malinconico: comunica a chi la riceve in dono che si conserverà per sempre il suo ricordo.
La pervinca è considerata una pianta tossica, in quanto contiene vincristina.


In caso di assunzione di parti della pianta, i sintomi precoci compaiono entro le 24 ore, con nausea,vomito e febbre; quelli tardivi, nella prima settimana, consistono in cefaleainsonniadelirio,allucinazionineuropatieconvulsioni e coma.
Se coltivata ed utilizzata nel modo corretto, da mani esperte, la pervinca ha numerose proprietà terapeutiche. Possiede una sostanza, la vincamina, che agirebbe sui disturbi vascolari, tipici della terza età.
Nel medioevo la pervinca veniva usata anche come preparato per filtri d'amore.
Nella medicina popolare, la pervinca viene utilizzata internamente per il trattamento di disturbi circolatori, ipertensione, gastritienteritidiarrea e cistiti; oltre ad essere impiegata come rimedio contro la perdita di memoria e per diminuire livelli troppo elevati di zuccheri nel sangueEsternamente, invece, la medicina tradizionale utilizza la pervinca come rimedio astringente in caso di epistassi e sanguinamenti, ma non solo. Infatti, la pianta viene impiegata anche per il trattamento di mal di golaascessieczemi ed ecchimosi.

La pervinca viene sfruttata anche dalla medicina omeopatica, dove la si può trovare sotto forma di tintura madre, gocce orali e granuli.



Nel simbolismo religioso il colore pervinca è detto " il colore degli occhi della Madonna" perché viene utilizzato in diversi dipinti e rappresentazioni.
La pervinca ha assunto molteplici significati ma i più recenti sembrerebbero, la rappresentazione di una nuova amicizia, la condizione di armonia spirituale, la fedeltà nei rapporti a lungo termine, suggerita probabilmente a simbolo dell'adattabilità del piccolo arbusto ai diversi climi e del suo svilupparsi facilmente a fitta copertura. Un mazzo di questi fiori vistosi blu-pervinca, azzurro-lilla, viola o rosa dimostra l’amore che si prova a chi lo riceve, sia l’innamorata, la sposa, una familiare o un’amica, mentre la fioritura di colore bianco rivela al destinatario il piacere di ricordarlo.


Grazie alla sua capacità di formare bellissimi e fioriti tappeti erbosi, in Russia viene chiamata la "rondine dei fiori”, perché il suo fiorire è legato alla bella stagione.
Nel XVII secolo in Inghilterra era considerata un'erba sacra a Venere e si diceva che se le foglie venivano mangiate da due novelli sposi, si propiziava l'amore fra loro. C'era anche l'usanza di fare delle ghirlande di fiori che si mettevano al collo di chi aveva problemi di sangue dal naso in quanto si diceva che fermasse l'emorragia. In Italia, la pervinca detta ‘Centocchio’ o ‘Cento occhi’, era considerata il ‘fiore della morte’ a causa dell’antica pratica di deporne intrecci a ghirlanda sulle bare dei bambini defunti, mentre era il ‘fiore dell’immortalità in Germania.

Rosella Reali 

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

mercoledì 19 aprile 2017

Hugo Boss vestiva i nazisti sfruttando i prigionieri


Il nome di Hugo Boss è legato alla moda e alla Germania. Il fondatore del celebre marchio, Hugo Ferdinand Boss, fu un convinto nazista, aderendo sin dagli inizi al partito fondato da Adolf Hitler. Dobbiamo ricordare che non solo aderì al nazismo ma, Hugo Boss, fu lo stilista delle uniformi delle SS e della Wehrmacht.
Lo stupore non si arresta quando si apprende che utilizzò il lavoro dei forzati dei paesi occupati, persone che vivevano in condizioni disumane.
Ripercorriamo la storia di questi tristissimi eventi.
Chi era Hugo Ferdinand Boss?
Nacque a Metzingen, nel Wurttemberg, da Luise e Heinrich Boss. Era l’ultimo di cinque figli. Fece l’apprendistato come mercante e completò il servizio militare nel 1905. Rientrato dal periodo sotto le armi, iniziò a collaborare con una tessitura di Costanza. Pochi mesi dopo assunse l’eredità del negozio di famiglia, lingerie, a Metzingen.
Nel 1914 fu richiamato sotto le armi per servire durante il primo conflitto mondiale.
Scampato alla morte rientrò nel paese natale, dove continuò nell’attività di famiglia.
Era uomo destinato a maggiori fortune, rispetto al piccolo negozio in una città della periferia tedesca.
Correva il 1923 quando Hugo Boss fonda a Metzingen, città a sud di Stoccarda, un’azienda tessile cui assegnò il proprio nome.
L’azienda non decollò.



Quali le possibili cause?
Dobbiamo, ancora, retrocedere nel tempo per comprendere.
Il 23 giugno del 1919, l’Assemblea Nazionale della Germania, insediatasi a Weimar, fu obbligata a sottoscrivere il Patto di Versailles e, conseguentemente, si assunse la responsabilità di essere stata l’unica colpevole del primo conflitto mondiale. I debiti di guerra, che ammontavano ad una cifra vicina ai 130 miliardi di marchi, provarono duramente la finanza e l’economia della Germania. La sfortuna volle che le conseguenze della firma del Patto di Versailles, furono acuite dalla grande crisi del 1929, che colpì la Germania pochi mesi dopo il crollo della borsa di Wall Street. I fallimenti si contarono a migliaia e i disoccupati a milioni.
Queste furono le basi per l’ascesa del partito nazista.
Abbiamo lasciato Hugo Boss alle prese con le difficoltà della propria azienda da poco fondata, riprendiamolo e cerchiamo di comprendere come quel marchio sia giunto sino a noi.
L’impossibilità di lavorare e creare valore nella Germania degli anni trenta, portò il titolare a dichiarare bancarotta. Hugo Ferdinand Boss non si scoraggiò poiché aveva un asso nella manica, il partito nazista fondato da Adolf Hitler, cui aderì poco dopo il fallimento della sua impresa. La compagnia iniziò a crescere, fornendo le uniformi alle camicie brune, simbolo del partito e delle SA, la sua milizia. In seguito alla presa del potere da parte della Nsdap, avvenuta con la vittoria elettorale del 1933, la società di Boss divenne fornitrice della Wehrmacht, l’esercito della Germania, delle SS e dell’Hitlerjugend, la gioventù nazista.  I bilanci di quel periodo confermano che l’azienda ricavò profitto, notevole, dall’adesione al nazionalsocialismo.


Aderì al partito nazista solo per convenienza?
«È chiaro che Hugo Boss non solo s’iscrisse alla Nsdap - il partito nazionalsocialista tedesco - per assicurarsi contatti vantaggiosi per la sua azienda, ma che lo fece anche perché era un convinto sostenitore del nazismo.»
Hugo Ferdinand Boss aderì al nazismo nel 1931, due anni prima della salita al potere da parte di Adolf Hitler. Le parole, schiaccianti, sono dello storico tedesco Koester, docente d’economia all’ateneo Bundeswehr, e contenute all’interno del libro “Hugo Boss, 1924-1945”.
Esiste la possibilità che Hugo Boss sia stato il sarto personale di Hitler e dei gerarchi nazisti.
La collaborazione tra lo stilista e il partito nazista si può considerare passiva, poiché non furono Hugo Boss ed i suoi collaboratori a scegliere il design delle divise.
L’azienda non si fece scrupolo d’utilizzare i lavoratori forzati della Polonia e della Francia. Vi sono prove che impiegò 140 prigionieri polacchi e 40 francesi.
Prigionieri o schiavi?
I lavoratori erano sfruttati, intimiditi e terrorizzati dalle guardie.
Le condizioni igieniche erano terribili.
Il cibo che ricevevano, quando giungeva, era pessimo.
«Possiamo solo ripetere che il comportamento verso i lavoratori forzati fu allo stesso tempo severo e coercitivo», con queste parole lo storico Koester, autore del libro verità sulla vita di Hugo Boss, rafforza il concetto che il proprietario del marchio fu fermamente convinto delle proprie idee naziste.
La Germania fu sconfitta nel 1945.
Hugo Boss fu accusato d’aver sostenuto la causa nazista.
Gli alleati lo sottoposero a processo.


Fu condannato a pagare una multa di centomila marchi, ma non conobbe mai il carcere.
Per inasprire la pena, il capostipite della casa di moda fu privato del diritto di voto.
Hugo Ferdinand Boss si spense nel 1948, tre anni dopo la resa della Germania.
L’azienda, che mantenne il nome originale, nel 1953 cominciò la produzione di vestiti per uomo, settore nel quale divenne leader nazionale ed uno dei marchi più importanti e conosciuti in ambito internazionale, grazie all’elevata qualità dei tessuti utilizzati.
A distanza di oltre 60 anni, la compagnia ha pubblicato un comunicato, sul suo sito web, nel quale chiede scusa ed esprime «il suo profondo rammarico verso quelle persone che hanno sofferto un danno e un forte disagio mentre lavoravano nell'azienda di Hugo Ferdinand Boss sotto il regime nazional-socialista».

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/


 Bibliografia

Tarquini Andrea - Hugo Boss, lo stilista di Hitler. Divise delle SS e lavori forzati – La Repubblica del 23 settembre 2011

Francesco Tortora – Hugo Boss nazista, la griffe fa ammenda – Il Corriere del 23 settembre 2011

Hugo Ferdinand Boss (1885-1948) un die Firma Uho Boss – Metzingen Zwansgsarbeit del 18 aprile 1999

liberamente schiavi: spiati e felici di tenerci lo smartphone

Tutti ricorderanno il clamore mediatico che costrinse, due anni fa, il governo americano a varare delle misure di controllo sulla cosiddetta “bulk data collection”. Era tuttavia chiaro, come paventavo in un precedente articolo, che le agenzie avrebbero trovato facilmente il modo di aggirare l’ostacolo e di continuare indisturbati a spiare tutto lo spiabile. È di ieri, infatti, la notizia di oltre 8.700 documenti della Cia messi in circolazione da parte di Wikileaks. Nonostante Snowden sia in esilio in Russia e Assange confinato in una stanza dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, Wikileaks – pur con tutti i distinguo e i dubbi che lecitamente si possono avere su questa organizzazione – prosegue la sua opera di disvelamento della hybris dei poteri forti. Tali documenti aprono uno scenario terrificante sull’evoluzione dei sistemi di spionaggio informatico che le élite portano avanti da decenni – e questa è la cosa che più colpisce – nella sostanziale indifferenza dei popoli. Ci infuriamo se qualcuno ascolta una nostra telefonata o se un familiare legge un nostro messaggio su WhatsApp – magari a fin di bene – ma tolleriamo distrattamente se poteri disumani controllano – e questi certamente non a fin di bene – ogni nostro sussurro mentre sediamo davanti alla televisione o usiamo il nostro smartphone.
Come le rane non ci accorgiamo che l’acqua diventa sempre più calda, ma quando vorremo saltar fuori dalla pentola sarà troppo tardi… I quasi 9.000 files – 8.761 per la precisione – di Vault-7, così si chiama questo leak, sono, a detta di Wikileaks, Spionaggiosolo la prima parte di un più ampio programma di rivelazioni che si riferiscono al periodo 2013-2016, e aprono uno scenario terrificante sul controllo globale da parte delle super-agenzie militari. Non solo controllo totale dei nostri smartphone ma monitoraggio delle nostre parole e attività tramite i nostri apparecchi televisivi, senza parlare del progetto di controllare persino le autovetture che utilizziamo per spostarci. Quello che emerge da questi leaks è non solo lo stato di avanzamento tecnologico che consente un controllo pressoché totale sulla vita della gente, ma anche la più assoluta indifferenza, da parte delle agenzie, nei confronti delle leggi che dovrebbero tutelare la privacy di ogni cittadino. Ma forse il concetto di privacy vale solo per i membri dell’élite, per gli altri vale invece il totem della “sicurezza nazionale”…
Vault-7 ci rivela altresì che la sede centrale del Grande Fratello di Langley, in Virginia, ha una succursale – totalmente illegale secondo il diritto internazionale – presso il consolato Usa di Francoforte, che ficca il naso negli affari di Europa, Medio Oriente e Africa. Ma non è tutto. Dai documenti risulta anche che software di hackeraggio come SwampMonkey o Shamoon – che consente di rubare i dati e anche di distruggere completamente l’hardware – permettono di controllare totalmente i nostri Spionaggio di massaapparati elettronici, Pc, iPhone o Android. Last but not least, dai leaks emerge, infine, che alcuni di questi sistemi di controllo sarebbero stati sottratti alla Cia e potrebbero essere nelle mani di altre organizzazioni o altre nazioni. La Cia, interpellata, ha risposto – indovinate – con il solito No comment.
Pensate dunque a questo scenario – per ostacolare il quale Wikileaks ha deciso di rivelare i files – di ordinaria follia: sono seduto sul divano a guardare il telegiornale – ma l’apparecchio Tv potrebbe essere anche apparentemente spento – e pronuncio parole di critica verso il governo, magari parole che, attraverso i programmi di ricerca automatica di keywords, mi identificano come un “terrorista”. Continuo poi a dire o scrivere qualcosa di negativo sul governo o la polizia tramite il mio smartphone – che a mia insaputa è del tutto nelle mani degli spioni – e poi salgo in macchina per andare al Piero Cammerinesilavoro o ad un appuntamento. Tramite la geolocalizzazione, che tutti attiviamo allegramente sul nostro iPhone per trovare la pizzeria più vicina, o attraverso un controllo remoto attivato a mia insaputa sulla mia automobile, quest’ultima non risponde più ai comandi e io finisco fuori strada schiantandomi da qualche parte.Fantascienza? No, realtà già pienamente possibile.
Il tutto giustificato dall’esigenza di combattere quel terrorismo che è stato creato ad arte per giustificare a sua volta il controllo globale. “A me non interessa essere spiato, tanto non ho niente da nascondere”. “Meglio essere spiato e tranquillo che rischiare un attentato”. “La sicurezza prima di tutto”. Chi la pensa così – e non sono pochi – sta collaborando al progetto di una umanità totalmente asservita ai poteri oscuri delle élite dominanti che, tramite la tecnologia e la realtà virtuale, da anni perseguono instancabilmente questo obiettivo. Far sì che l’uomo scelga liberamente la sua schiavitù. Il che deve portare, a mio avviso, a due conclusioni: prima di tutto che siamo corresponsabili di quanto ci accade e, in secondo luogo, che forse dobbiamo iniziare a ridimensionare la nostra dipendenza dal mondo della realtà virtuale per dedicare più tempo ed energie al mondo reale, quello che ci collega ai nostri simili in vincoli di sentimento e di libera azione.
(Piero Cammerinesi, “Liberamente schiavi”, da “Coscienze in Rete” del 9 marzo 2017).

fonte: http://www.libreidee.org/

domenica 16 aprile 2017

Barnard: divento vegano, basta mangiare sangue (umano)

Basta, mangiare sangue umano: io diventerò vegano, e lo farò in modo intelligente. Il mio “basta, mangiare sangue umano” è la cosa chiave per capire perché io, Paolo Barnard, ho preso questa decisione. Mai ci avrei pensato (mi sono occupato di trentamila battaglie) se Nicolas Micheletti, del partito Democrazia Verde – a cui non appartengo – non mi ci avesse fatto pensare. Non divento vegano per la salute – un cancro non me lo evito così, viviamo sepolti da masse di veleni. Divento vegano perché non posso più mangiare sangue umano. Io sono Paolo Barnard, 32 anni a testimoniare nel mondo guerre, atrocità, il mostro neoliberista, cento inchieste, migliaia di articoli, sei libri. E poi, in trattoria, ordino sangue umano. Stragi, assassinii, sofferenze di milioni di poveri senza voce, e distruzione dell’ambiente. Tutto in un filetto alla griglia. Eh, no: non esistono più dubbi sul fatto che gli allevamenti animali intensivi, del mostro mondiale chiamato agribusiness, sono la causa di milioni di morti di fame nel mondo, e degli omicidi degli attivisti che li difendono – sono nelle cronache: leggetevi i giornali stranieri, in Italia non ne parla nessuno. Sono la causa di inquinamenti inimmaginabili da CO2 e da letame in quantità mostruose, che sterilizzano pezzi d’Oceano e intere regioni grandi come il Belgio, ogni anno.
Un potere di devastazione umana e ambientale pari a dieci volte quello di tutte le auto, aerei, moto, fabbriche e riscaldamenti, messi assieme. Non ci sono più dubbi che in una bistecca o in un petto di pollo ci sia tutto questo. Divento vegano in modo Paolo Barnardintelligente: non è affatto necessario il fanatismo del non voler vedere più neppure la foto di una molecola di carne. Non è questo il modo di diventare vegani in maniera intelligente. Ciò che l’Occidente deve fare è far crollare del 99%  il mostro dell’agribusiness. Tradotto, vuol dire che Paolo mangerà un uovo biologico ogni due mesi, un pesce ogni due mesi, un pezzo di parmigiano ogni due mesi, pollo e carne biologici una volta ogni due mesi. Il resto, vegano. Non vi sciorino i dati del 68%, del 32%, o il grafico della Onlus sulla timeline dell’azoto e altre cose del genere che trovate in Rete, perché io i dati li ho visti con i miei occhi, nei miei vent’anni a girare Africa, America Latina, Asia. E l’unica cosa che cito qui è il mio articolo “Mai più chicchi di mais”. Ero in Africa, quando mi portarono a vedere i mega-silos del mostro mondale agribusiness chiamato CarGeo, quello che ha fatto anche le stragi in Iraq. Lungo la strada sterrata, dove passavano file di Tir immensi carichi di mais, una figura di vecchia – donna – morente, forse 35 chili se li aveva, piegata in due; impastata di polvere d’argilla raccoglieva i chicchi di mais che cadevano dai Tir, uno e uno, e li metteva nel pugno di una mano scheletrica, per mangiare. Io ero lì, a due metri da lei.
Il 98% di quel mais, coltivato da contadini messi probabilmente poco meglio di quella donna, andava alla CarGeo, per fare mangini per le nostre vacche, il nostro latte, i nostri filetti, le fiorentine, i nostri formaggi, i nostri polli, i nostri maiali. Andava ai polli degli apocalittici allevamenti di Arena, dove c’è più antibiotico che aria, andava ai milioni di maiali del prosciuttino del panino del bambino, qui da noi. E lei crepava, raccattando chicchi di mais. E a milioni, oggi, crepano nello stesso modo (per il prosciuttino del bambino, per la fiorentina a cena con gli amiconi, per la carbonara). Il suo sangue, e quello di milioni come Lager per animalilei, quello degli attivisti ammazzati dal mega-agribusiness, è nell’ossobuco che io – io – ho mangiato ieri sera, e nel créme caramel con cui ho finito la cena. Basta, mangiare sangue mano. Basta, non abbiamo scuse, lo sappiamo da cent’anni cosa significa privare i poveri del mondo di quello che coltivano, del loro cibo, per i nostri bisogni.
L’ho detto, l’ho scritto: Winston Churchill fu responsabile, assieme all’Impero Britannico, di almeno 29 milioni di morti di fame, in India, perché quasi il 100% di ciò che gli indiani coltivavano veniva esportato per i bisogni dell’Europa. E 29 milioni di morti sono 20 milioni in più di quelli causati da Hitler. Non è una novità, lo sappiamo da tempo. Oggi non è più l’impero di Sua Maestà, oggi è il mostro dell’agribusiness: che fa, precisamente, la stessa cosa. E noi gli compriamo sangue umano. Lo so che anche la maglietta di cotone che indosso è intrisa di ingiustizia e di sangue umano, anche il mio iPhone è colpevole di inquinamento, ma niente – niente – inquina e ammazza, oggi, nel mondo, come il nostro cibo. Soprattutto la carne: la carne, e i derivati dei mega-allevamenti animali. Fidatevi, l’ho visto con i miei occhi. Ora basta, non mangerò più il sangue di quella donna, la donna dei chicchi di mais. Diventerò vegano. E lo diventerò in modo intelligente.
(Paolo Barnard, “Basta, mangiare sangue umano. Basta, distruggere masticando”, testo del video-appello inserito da Barnard su YouTube il 28 marzo 2017).

fonte: http://www.libreidee.org/

Hillary Clinton approvò l'invio di gas sarin ai ribelli siriani per incastrare Assad



S. Hersch, giornalista premio Pulitzer: Hillary Clinton approvò l’invio di gas sarin ai ribelli siriani per incastrare Assad
Il sito Free Thought Project riporta un articolo sui legami di Hillary Clinton con l’attacco chimico al gas sarin a Ghouta, in Siria, nel 2013.
di Matt Agorist, 2 maggio 2016
Nell’aprile del 2013, la Gran Bretagna e la Francia informarono le Nazioni Unite che c’erano prove credibili che la Siria avesse usato armi chimiche contro le forze ribelli. Solo due mesi più tardi, nel giugno del 2013, gli Stati Uniti conclusero che il governo siriano in effetti aveva usato armi chimiche nella sua lotta contro le forze di opposizione. Secondo la Casa Bianca, il presidente Obama ha subito usato l’attacco chimico di Ghouta come pretesto per l’invasione e il sostegno militare americano diretto e autorizzato ai ribelli.
Da quando gli Stati Uniti finanziano questi “ribelli moderati”, sono state uccise più di 250.000 persone, più di 7,6 milioni sono state sfollate all’interno dei confini siriani e altri 4.000.000 di esseri umani sono stati costretti a scappare dal paese.
Tutta questa morte e distruzione portata da un sadico esercito di ribelli finanziati e armati dal governo degli Stati Uniti era basata – è quello che ora ci viene detto – su una completa montatura.
Seymour Hersh, giornalista noto a livello mondiale, ha rivelato, in una serie di interviste e libri, che l’amministrazione Obama ha falsamente accusato il governo siriano di Bashar al-Assad per l’attacco con gas sarin e che Obama stava cercando di usarlo come scusa per invadere la Siria. Come ha spiegato Eric Zuesse in Strategic Culture, Hersh ha indicato un rapporto dell’intelligence britannica che sosteneva che il sarin non veniva dalle scorte di Assad. Hersh ha anche affermato che nel 2012 è stato raggiunto un accordo segreto tra l’amministrazione Obama e i leader di Turchia, Arabia Saudita e Qatar, per imbastire un attacco con gas sarin e darne la colpa ad Assad in modo che gli Stati Uniti potessero invadere e rovesciare Assad.
“In base ai termini dell’accordo, i finanziamenti venivano dalla Turchia, e parimenti dall’Arabia Saudita e dal Qatar; la CIA, con il sostegno del MI6, aveva l’incarico di prendere armi dagli arsenali di Gheddafi in Siria. ”
Zuesse nel suo rapporto spiega che Hersh non ha detto se queste “armi” includevano i precursori chimici per la fabbricazione del sarin che erano immagazzinati in Libia. Ma ci sono stati molteplici rapporti indipendenti che sostengono che la Libia di Gheddafi possedeva tali scorte, e anche che il Consolato degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, controllava una “via di fuga” per le armi confiscate al regime di Gheddafi, verso la Siria attraverso la Turchia.
Anche se Hersch non ha specificamente detto che la “Clinton ha trasportato il gas”, l’ha implicata direttamente in questa”via di fuga” delle armi delle quale il gas sarin faceva parte.
Riguardo al coinvolgimento di Hillary Clinton, Hersh ha detto ad AlterNet che l’ambasciatore Christopher Stevens, morto nell’assalto dell’ambasciata Bengasi,
“L’unica cosa che sappiamo è che [la Clinton] era molto vicina a Petraeus che era il direttore della CIA in quel periodo… non è fuori dal giro, lei sa quando ci sono operazioni segrete. Dell’ambasciatore che è stato ucciso, [sappiamo che] era conosciuto come un ragazzo, da quanto ho capito, come qualcuno che non sarebbe stato coinvolto con la CIA. Ma come ho scritto, il giorno della missione si stava incontrando con il responsabile locale della CIA e la compagnia di navigazione. Egli era certamente coinvolto, consapevole e a conoscenza di tutto quello che stava succedendo. E non c’è modo che qualcuno in quella posizione così sensibile non stesse parlando col proprio capo [Hillary Clinton, all’epoca Segretario di Stato, figura che nel governo statunitense ha la responsabilità della politica estera e del corpo consolare, NdVdE], attraverso qualche canale. “
A supportare Hersh nelle sue affermazioni è il giornalista investigativo Christof Lehmann, che dopo gli attacchi ha scoperto una pista di prove che riporta al Presidente dello Stato Maggiore Congiunto Martin Dempsey, al Direttore della CIA John Brennan [subentrato nella guida della CIA l’8 marzo 2013 dopo le dimissioni di Petraeus nel novembre 2012 e il successivo interim di Morell, NdVdE], al capo dell’intelligence saudita principe Bandar, e al Ministero degli Interni dell’Arabia Saudita.
Come ha spiegato Lehmann, i russi e altri esperti hanno più volte affermato che l’arma chimica non avrebbe potuto essere una dotazione standard dell’arsenale chimico siriano e che tutte le prove disponibili – tra cui il fatto che coloro che hanno offerto il primo soccorso alle vittime non sono stati lesionati – indicano l’uso di sarin liquido, fatto in casa. Questa informazione è avvalorata dal sequestro di tali sostanze chimiche in Siria e in Turchia.
Anche se non è la prova definitiva, non si deve glissare su questa implicazione. Come il Free Thought Project ha riferito ampiamente in passato, il candidato alla presidenza ha legami con i cartelli criminali internazionali che hanno finanziato lei e suo marito per decenni.
Quando Hillary Clinton divenne Segretario di Stato nel 2009, la Fondazione William J. Clinton ha accettato di rivelare l’identità dei suoi donatori, su richiesta della Casa Bianca. Secondo un protocollo d’intesa, rivelato da Politifact, la fondazione poteva continuare a raccogliere donazioni provenienti da paesi con i quali aveva rapporti esistenti o che stavano tenendo programmi di finanziamento.
Le registrazioni mostrerebbero che dei 25 donatori che hanno contribuito con più di 5 milioni di dollari alla Fondazione Clinton nel corso degli anni, sei sono governi stranieri, e il maggior contribuente è l’Arabia Saudita.
L’importanza del ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziamento dei Clinton è enorme, così come il rapporto tra Siria e Arabia Saudita nel corso dell’ultimo mezzo secolo è tutto quello che concerne questa guerra civile.
Come Zuesse sottolinea nel suo articolo su Strategic Culture,
Quando l’intervistatore ha chiesto ad Hersh perché Obama sia così ossessionato dalla sostituzione di Assad in Siria, dal momento che “il vuoto di potere che ne deriverebbe avrebbe aperto la Siria a tutti i tipi di gruppi jihadisti”; e Hersh ha risposto che non solo lui, ma lo Stato Maggiore Congiunto, “nessuno riusciva a capire perché.” Ha detto, “La nostra politica è sempre stata contro di lui [Assad]. Punto.”
Questo è stato effettivamente il caso non solo da quando il partito che Assad guida, il partito Ba’ath, è stato oggetto di un piano della CIA poi accantonato per un colpo di stato finalizzato a rovesciarlo e sostituirlo nel 1957; ma, in realtà, il primo colpo di stato della CIA era stato non solo pianificato, ma anche effettuato nel 1949 in Siria, dove rovesciò un leader democraticamente eletto, con lo scopo di consentire la costruzione di un oleodotto per il petrolio dei Saud attraverso la Siria verso il più grande mercato del petrolio, l’Europa; e la costruzione del gasdotto iniziò l’anno successivo.
Ma poi c’è stato un susseguirsi di colpi di stato siriani (innescati dall’interno anziché da potenze straniere – nel 1954, 1963, 1966, e, infine, nel 1970), che si sono conclusi con l’ascesa al potere di Hafez al-Assad durante il colpo di stato del 1970. E l’oleodotto trans-arabico a lungo pianificato dai Saud non è ancora stato costruito. La famiglia reale saudita, che possiede la più grande azienda mondiale di petrolio, l’Aramco, non vuole più aspettare. Obama è il primo presidente degli Stati Uniti ad aver seriamente tentato di svolgere il loro tanto desiderato “cambio di regime” in Siria, in modo da consentire la costruzione attraverso la Siria non solo dell’oleodotto trans-arabico dei Saud, ma anche del gasdotto Qatar- Turchia che la famiglia reale Thani (amica dei Saud), che possiede il Qatar, vuole che sia costruita lì. Gli Stati Uniti sono alleati con la famiglia Saud (e con i loro amici, le famiglie reali del Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Oman). La Russia è alleata con i leader della Siria – così come in precedenza lo era stata con Mossadegh in Iran, Arbenz in Guatemala, Allende in Cile, Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia, e Yanukovich in Ucraina (tutti rovesciati con successo dagli Stati Uniti, ad eccezione del partito Baath in Siria).
Matt Agorist è un veterano congedato con onore del Corpo degli US Marines ed ex operatore di intelligence direttamente incaricato dalla NSA. Questa precedente esperienza gli fornisce una visione unica nel mondo della corruzione del governo e dello stato di polizia americano. Agorist è stato un giornalista indipendente per oltre un decennio ed è apparso sulle reti tradizionali in tutto il mondo.

fonte: http://alfredodecclesia.blogspot.it/