sabato 30 gennaio 2016

gli italiani se ne vanno

Milano è in testa con quasi 3.300 cambi di residenza verso l’estero di connazionali tra 18 e 39 anni, seguita, per numeri assoluti, da Roma (2.949), Napoli (1.885) e Torino (1.653). Regno Unito e Germania le mete preferite

Sono 90mila gli italiani che nel 2014 hanno trasferito la loro residenza all’estero, il 30,7% in più rispetto al 2012. E la metà di loro è under 40, cresciuti in due anni del 34,3%: in pratica, ogni mille under 40 ci sono 3,3 giovani che hanno lasciato l’Italia. Se ne vanno per cercare fortuna, per inseguire un lavoro, una passione o una nuova carriera, principalmente nel Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia, Stati Uniti e Spagna. E’ quanto emerge dalle elaborazioni dell’Ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati Istat, che indicano come in termini assoluti ci siano stati 11mila trasferimenti in più negli ultimi due anni.

Milano è in testa con quasi 3.300 cambi di residenza verso l’estero effettuati da italiani nella fascia d’età compresa tra 18 e 39 anni, seguita, per numeri assoluti, da Roma (2.949), Napoli(1.885) e Torino (1.653). Se prendiamo in considerazione però i trasferimenti degli italiani all’estero, in rapporto al totale dei residenti italiani under 40, si parte di più da Bolzano, Imperia,Trieste, Pavia e Como. Città, a parte l’universitaria Pavia, di confine, dove l’emigrazione di ‘corto raggio’ è più immediata.
Foggia, Taranto e Caserta le province dove il rapporto è più basso: meno di 2 ogni mille under 40 hanno trasferito la propria residenza all’estero. Elevate le differenze a Roma (863 trasferimenti in più rispetto al 2012), Palermo (829), Napoli(757) e Milano (451). Diminuiscono invece i trasferimenti in due anni a Belluno, Rimini, Vibo Valentia, Vercelli, Potenza, Novara e Verbano-Cusio-Ossola.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/04/italiani-allestero-in-90mila-trasferiti-nel-2014-la-meta-e-under-40/2348384/

http://altrarealta.blogspot.it/

la finta donazione del cardinale Tarcisio Bertone

 Cardinal Bertone
Sig. cardinale Tarcisio Pietro Evasio Bertone,
che lei sia inadeguato ai ruoli e compiti che ha svolto è davanti agli occhi di tutti: a Genova dove non lasciò alcuna traccia significativa, ma scelse come plenipotenziario del Galliera, il prof. Giuseppe Profiti, al centro di ogni ben di Dio; da segretario di Stato dove ha distrutto la credibilità della Chiesa universale con la sua incapacità di governo, privo di qualsiasi discernimento, ma dedito a costruire una rete di fedelissimi per perpetuare il suo potere anche da pensionato e da morto; infine da cardinale in pensione con il miserevole attico di 296 mq dove vive con tre suore e magari si rilassa, giocando a golf negli appropriati corridoi.
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Leggo sui giornali che lei ha deciso «ex abundantia cordis» di donare all’ospedale Bambin Gesù un contributo di 150mila euro, attinti come da lei dichiarato, dai «miei risparmi e dai vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni per finalità caritative». Mi faccia capire perché c’è qualcosa che non quadra. Non sto a questionare sul fatto che la ristrutturazione è costata €300miladi cui 200mila pagati dalla fondazione Bambin Gesù. Mi lascia esterrefatto la notizia che lei ha preso questi soldi «dai vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni per finalità caritative», cioè non per lei, ma perché lei li desse per gli scopi per cui li ha ricevuti o, genericamente, per opere di carità. Invece lei dice che attinge da questi «vari contributi di beneficenza ricevuti negli anni» per pagare il suo appartamento. Non solo, ma lei parla di «vari anni», lasciando intendere un solo senso: lei ha trattenuto per anni contributi ricevuti per beneficenza. Mi perdoni, quando pensava di darli in beneficenza, alla sua morte per testamento?
Il buco che lei vuol coprire risulta più grande della toppa che cerca disperatamente di metterci su senza riuscirci perché la sua maldestra difesa aggrava ancora di più la sua posizione che l’espone, per le sue stesse parole, al ludibrio della gente perbene che vede nei suoi comportamenti una miserabile attitudine alla superficialità che è colpa ancora più grande della delinquenza di persone come lei che dicono di volere rappresentare quel Dio che accusa chi veste di porpora di essere soci della casta del potere. Non solo lei ha trattenuto nel suo conto personale denari ricevuti per beneficenza, ma li ha anche trattenuti per «vari anni», lucrando magari sugli interessi che dalle parti dello Ior, gestito da suoi uomini e da lei stesso, potrebbero essere stati più che generosi.
Lei ha rubato due volte ai poveri: la prima volta trattenendo questi denari non suoi e la seconda volta facendosi bello con l’ospedale «Bambin Gesù» dando soldi non suoi, ma quelli della beneficenza che non ha donato negli anni passati. In ultima analisi, poiché è il totale che fa la somma (copyright Totò), lei non sborsa nulla di tasca sua, ma paga tutto sempre con denaro di beneficenza. Complimenti, esimio cardinale!
La rovina dei preti sono sempre i soldi. Per questo sproloquiate di celibato perché così siete più liberi di amare «mammona iniquitatis», fornicando giorno e notte senza essere visti da alcuno. Se il tempo che dedicate a difendere il celibato dei preti, che solo pochi rispettano (e lei lo sa perfettamente!) o a condannare i gay laici – visto che preti, vescovi, monsignori e cardinali lo sono ad abundantiam – o a sproloquiare di separati e divorziati, di cui non sapete nulla, lo dedicaste a proibire ai preti di gestire denaro, fareste una cosa preziosa per il mondo e per la Chiesa. Sicuramente due terzi del clero lascerebbe la Chiesa, ma con il terzo che resta e con l’aiuto dei preti ridotti allo stato laicale perché sposati, ripresi in servizio, saremmo capaci di rivoluzionare il mondo, oltre che il Vaticano, covo di malaffare e di depravazione senza misura.
Tanti anni fa, quando era potente, io la ripudiai pubblicamente insieme al suo amico e sodale Berlusconi, da cui lei – o lui da lei? – «prese lo bello stile che le ha fatto (dis)onore» e oggi sono contento di avere visto lungo e giusto. Lei mente dicendo di essere salesiano; se lo fosse veramente, avrebbe agito come il cardinale Carlo Maria Martini, il quale, date le dimissioni, si è ritirato in una casa di gesuiti abitando in una stanza 6×4 con letto, tavolo, armadio, servizi e un assistente personale perché malato, partecipando alla vita comunitaria da cui proveniva. Scegliendo di accorpare due appartamenti con i soldi della beneficenza, lei ha dimostrato non solo di non credere in Dio, ma di dare un pugno nello stomaco a Papa Francesco che sta provando a dire ai cardinali, ai vescovi e ai preti che c’è anche un piccolo libretto che si chiama Vangelo. A lei, di sicuro non interessa, perché come i fatti dimostrano, lei legge solo «Gli Attici degli Apostoli».
Con profonda disistima perché la conosco dai tempi di Genova, senza rimpianti.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/20/vaticano-a-proposito-della-finta-donazione-del-cardinal-bertone/2319715/
http://blogdieles2.altervista.org/
fonte: alfredodecclesia.blogspot.it

mercoledì 13 gennaio 2016

magia, fascismo e razza in David Bowie

Rahm Bambam, Pop Matters 11 gennaio 2016
Blackstar affronta la tensione fra attrazione dichiarata di David Bowie per le ideologie del sangue e del suolo, e l’ossessione ugualmente impegnativa con forme musicali e tropismi afroamericani.blackstar_650_400Il 20 novembre 2015, David Bowie riemergeva senza fretta o necessità, con un nuovo singolo intitolato ★, approssimata dal più pronunciabile “Blackstar“. Il lavoro (cerchiamo di sostenere la quintessenza dell’artista rocker con le etichette pretenziose a cui ha diritto) è un contorto viaggio nevrotico di quasi dieci minuti, che incorpora percussioni che fondono krautrock e jazz, poesia pagana, dissonanza, canto melismatico, stringhe zuccherate e turbinii di sax soulful passando dal sassy allo spettrale. “Blackstar” è un saluto sorprendente, tanto più provocante per il fatto che segue una rinascita di fine carriera dopo i percorsi maestosi e rispettabili favoriti dai veterani dell’avanguardia (vedasi i precedenti album post-millenari come HeathenReality e The Next Day). L’eredità di Bowie s’è già scolpita nella nostra coscienza collettiva con la fermezza di un epitaffio inciso in una lapide. Tuttavia, “Blackstar“, richiamandosi in modo convincente al mix inquietante di sperimentazione e melodismo del classico Bowie, sfida la perfettamente ragionevole aspettativa che il Bowie di “fine carriera” (il termine connota il declino con il sicuro avvicinarsi del nemico perenne della musica pop, “l’età”) può essere ignorato in quanto pallido prodotto della senescenza. Molti osservatori analiticamente favorevoli a Bowie (e come questo saggio e i commenti possono testimoniare, sono molti) sicuramente si fissano su quanto la canzone rievochi le vecchie ossessioni del Dame per l’ultraterreno, l’origine nel buio dello spazio o l’occultismo. Questi sono i temi che appaiono e riappaiono in tutta l’opera di Bowie quasi fin dall’inizio della sua discografia (vedasi “Space Oddity” e L’uomo che vendette il Mondo). Anche il simbolo del pentagramma che funge da vero titolo di Blackstar (★) tradisce la consapevolezza del potere di un simbolo al centro delle numerose tradizioni spirituali, tra cui satanismo, rosacrocianesimo, gnosticismo e wiccanismo. Inoltre, il video della canzone, oggetto circondato da una nube di commenti, è pieno di immagini che invitano a speculare. Bowie in un primo momento appare con un velo che lo rende il cieco Eli, mentre dirige un rituale cosmico, facendo sobbalzare vari organismi legati alla terra, che nel video formano cerchi magici e si agitano in estasi. Bowie si comporta quindi da medium e mago, incanalando energie astrali per fini decisamente terrestri, aggiornando quella sciamanica di Starman sbarcato sulla Terra per “fra ballare tutti i bambini” nei primi anni settanta. Tuttavia, i principali motivi lirici e le tematiche di “Blackstar” non possono essere del tutto separati dalla relazione complicata di Bowie con la razza, cioè con l’appropriazione delle tradizioni musicali afroamericane come Jazz, R&B e Soul che coabitano con il suo eurocentrismo imperioso impregnato di tradizioni esoteriche, portandolo a famosi flirt con la gestualità del fascismo, se non le relative idee.
Original_photography_for_the_Earthling_album_cover_1997__Frank_W_Ockenfels_3Bowie assume, nella seconda metà del singolo, le sembianze di un sole oscuro contrapposto nettamente all’illuminazione e alle sfere brillanti. Canta “Non sono una Whitestar/Sono una Blackstar“, e attraverso questo annuncio la ricerca trionfale e anche spavalda del confronto con il candore della Whitestar, parallela e ripudiata dalla popstar, pornostar, filmstar. Cos’è che accomuna tutte queste identità disparate? In primo luogo è evidente che ogni titolo sia al crocevia tra potere e profitto a beneficio del titolare dei nomignoli stellari, sempre in mezzo a tale empio bivio. In secondo luogo, sembra che per il suo camaleontismo cosciente o per le contingenze della carriera, Bowie stesso abbia svolto tutti questi ruoli ogni volta. Nelle interviste Bowie rinnegava il suo periodo degli anni ’80, quando era al culmine del successo come popstar internazionale, la fase con Phil Collins. Più recentemente ha scartato altre bardature del periodo di onorata popstar convenzionale, delle performance live e dei tour di concerti, il cui essenziale ed attuale produttore di Bowie, Tony Visconti, dice probabilmente non si avrà più. E verso ciò che si può ragionevolmente considerare come suo principale contributo allo sviluppo dell’iconografia della rock star, la creazione del sessualmente carismatico Ziggy Stardust, Bowie ha mostrato un’avversione simile. Nell’intervista con Russell Harty, quest’ultimo insisteva petulante a guardare a Ziggy, anche se Bowie stesso non aveva alcun interesse a rivisitare la carnalità grossolana di una figura che a lungo ne rappresentò l’intero periodo glam rock. Infatti, in “Blackstar” Bowie rifiuta lo status di Whitestar e diverse altre identità astrali sotto tale ombrello, non solo con insistenza mantrica ma anche con accanimento cercando di fugare ogni dubbio, esorcizzando il passato impegno. Bowie nei panni della Blackstar, che con orgoglio e anche con gioia, usa con potenza, ricorda il personaggio del Thin White Duke di metà-fine anni ’70, che rappresentò la diserzione di Bowie della scena rock il cui firmamento aveva già scalato con successo, ma che sempre gli sembrò comunque un’aberrazione. L’album, come la nave di Station to Station de Thin White Duke del 1976, indica dal punto di vista sonoro e tematico, l’uscita volontaria dalla cultura mainstream ben illuminata e dal consumismo contemporaneo.Station to Station indica l’allontanamento da Hollywood, i cui valori Bowie sembrava celebrare e che scimmiottava, non senza cinismo, in Young Americans dell’anno precedente. Le devastazioni psicologiche dovute al periodo di Los Angeles, la paranoia e lo sconvolgimento risultanti dallo stile di vita hollywoodiano ed attese conseguenze, lo riempirono del desiderio atavico di qualcosa di simile a una patria sacra, l’Heimat dei tedeschi. Questo desiderio non era dissimile da ciò che lo spinse nell’oscuro sogno del fascismo d’incenerire la Terra per ricrearla nel perduto cielo nordico che, naturalmente, non è mai esistito, innanzitutto. Bowie non trasse vantaggio nel chiarire se il fascino per la Germania non comprese solo l’amore per i gruppi Kosmische e krautrock, al centro delle avanguardie musicali di Berlino, ma anche per il recente passato totalitario da cui tali gruppi cercavano di forgiare un’alternativa controculturale. Ironia della sorte, Bowie radicò il suo desiderio per la Vecchia Europa, nato dalla sradicamento che sentì negli USA, nella musica fondendo gli amati ritmi krautrock con l’esuberanza rock ‘n’ roll entrambe ancorate solidamente su una base funk. “Station to Station“, il titolo-traccia in cima all’album che annunciava l’arrivo del Duca stesso, manifesta tale tensione tra queste fonti apparentemente contraddittorie. Ritmi motori lasciano il posto a una melodia celebrativa e marziale, un brindisi ai vigili soldati di guardia a un occidente immaginario. Questa sezione lascia il posto a una stompbox pianoforte-e-chitarra che, mentre segnala l’arrivo del “cannone europeo”, non può nascondere la vecchia festa del boogie rock dalla spina dorsale molto americana.
Possiamo concepire “Blackstar” come un modo di affrontare tale tensione tra attrazione dichiarata di Bowie per le ideologie del sangue e suolo e i miti esoterici marginali, e l’ossessione ugualmente densa per le forme musicali e i tropismi dei neri americani. Mentre “Blackstar“, come Station, attinge dal profondo pozzo degli arcani tradizionali, del soprannaturalismo e della magia, probabilmente Bowie tentava, attraverso il sistema di valori dualistico della canzone e il punto di vista interiore adottato da lui stesso, una presa di coscienza, attraverso la performance, della concezione della negritudine (particolare per un vecchio bianco) ma molto diverso da quella associata ad arti oscure, cappe grigie e bafometti rosso sangue. Questo è il nero che Bowie ha saccheggiato per diventare il praticante ‘plastic soul’ di Young Americans; era pienamente consapevole che mentre era impegnato a ricreare lo stile soul, ha prodotto “i resti frantumati di una musica etnica… scritta e cantata da un bianco calcareo“. Anche se questo sembra la feticizzazione di un bianco della negritudine e della musica nera, dovremmo ricordare che Bowie mise in discussione il suo rapporto con la musica e la cultura statunitensi, in generale, in termini analoghi. Parlò del suo approccio al rock ‘n’ roll come sforzo inautentico di un inglese per spiegare esteriormente come “fondamentalmente cosa americana … dal valore intrinseco americano” sia imitare gesti estremamente teatrali del genere. La logica di ‘plastic soul’ di Bowie ne permea tutti gli sforzi; sradica gli oggetti del suo entusiasmo, siano essi Kabuki, Crowley o Kabbalah, dalle tradizioni emerse, e abilmente l’integra nella sua visione, che sempre contiene prodotti culturali precedentemente assimilati. Tale logica, naturalmente, può produrre ed ha portato ad additivi instabili e inquietanti, come l’esemplarmente inquietante Station-to-station che, anche se conserva uno scheletro funk e R&B, suona come la colonna sonora di un film horror su un vampiro europeo alla ricerca di risposte in una biblioteca stregata di grimori e vangeli gnostici. “Blackstar” è un ritorno agli elementi esoterici così centrali nell’opera di Bowie, che cerca comunque di sbarazzarsidi tutto ciò reca le ultime tracce di quel fascismo che l’avrebbero ossessionato fin dal facile nietzschismo di “The Supermen“. Infatti, in “Blackstar“, la stessa gerarchia abbracciata così presto in ode al superamento della mera mortalità degli umili, è caricaturale come tante fumettistiche banalità messe da parte e rigettate da Bowie con il suo “Non sono una Marvel Star“. Questo informale licenziamento colpisce in virtù della sua stessa spensieratezza. Bowie non può essersi preso la briga di tollerare seriamente gli avatar della Whitestar; non sono altro che fastidi. Tale atteggiamento parallelo alla mancanza d’interesse che Bowie espresse per i periodi fastidiosi del suo passato, preferendo andare avanti senza, come il saluto, spesso menzionato, dato ai fan che affollavano Victoria Station per riceverlo, e che molti continuano a identificare come un saluto nazista. Quando gli intervistatori ponevano questi punti di discussione, lui di solito rispondeva ridimensionando quei momenti imbarazzanti con sarcasmo e autoironia, quindi declinandoli e non prendendoli, o prendendo se stesso, troppo sul serio.
2-414533-naziIn “Blackstar“, la litania della derisione rivolta al tipo di stella che non è, e che è anche l’auto-affermazione del titolare della Blackstar, viene cantata con piacere misto a sfacciataggine. La gioia di Bowie si esprime nell’indicare le debolezze della Whitestar contestando la solennità imperiosa della personalità del Thin White Duke e del fascismo in generale. Questo tipo di serietà è terrificante quando in realtà è dotato di potere, ma assolutamente non minacciosa e ridicola quando i satanisti col mantello se l’autoconferiscono da sé. Vi è anche un passo in cui Bowie, come laBlackstar, racconta a un potenziale convertito alla sua specie di misteriosa spiritualità, che ne prenderà passaporto, scarpe e sedativi. Tale passo evoca il concetto, emerso negli anni ’60 con il femminismo, della presa di coscienza come mezzo per rifuggire dalla miriade di oppiacei della società a favore della ricerca di una causa comune nella propria comunità oppressa. Non è irrilevante che Blackstar faccia riferimento a questo interlocutore immaginato, invitandolo vivamente ad intraprendere una nuova vita come “boo“, un termine per affetto ormai utilizzato globalmente e di origine afro-americana. C’è familiarità tra Blackstar e il boo, che mina la distanza delle divisioni tradizionali tra le sfere sacerdotali e laiche, separazioni che persistono anche in alcuni degli ultimi nuovi movimenti religiosi. Ciò è particolarmente sovversivo quando accoppiato al fatto che Blackstar prenda il sottotitolo da ciò che Dio disse incontrando Mosè sul monte Oreb, il “Grande Io Sono”. Se Freud va seguito, Mosè in origine era un devoto del culto del faraone Akhenaton dell’unico dio Sole, noto come Aten, e la fede che diede agli ebrei era un’emanazione di tale primo esempio egizio di monoteismo. Nella variante dell’atonismo che Mosè diede agli ebrei, però, la rappresentazione di Dio come disco solare scomparve e nascose l’origine di Dio come oggetto di un culto del Sole. Il Dio Sole diventa il Dio irrappresentabile e nascosto, Deus absconditus. Il sole raggiante diventa un sole scuro, la Blackstar. Tuttavia, mentre il protagonista della canzone è consapevole della propria condizione divina, e perfino respinge ogni altro aspirante a questa santità come “fuoco di paglia” irrisorio rispetto alla sua permanenza, ha facile e sicura fiducia nella vera energia trascendente. Blackstar è in netto contrasto con il potere terrestre e temporaneo del filmstar, pornostar, popstar o “gangstar”, il cui mandato proviene da minacce e violenze. Può raggirare se stesso e gli altri, perché è la “starstar”, la stella a cui queste stelle si volgono, è il sole oscuro che la Whitestar cerca di mettere in ombra per imporre un ordine sulla Terra, ma la Blackstar è solo allegra sovversione. Blackstar incarna la libertà di fronte a tutti i fascismi, grandi e piccoli, che possono nascondersi in bella vista perché non guidano sfilate di camicie brune, ma creano musica pop, Hollywood, il complesso porno-industriale e, naturalmente, lo Stato stesso, con i suoi controlli dei passaporti e i confini.
Quello che Blackstar rappresenta, confrontandosi con la musica che lo circonda, l’irrefrenabile falso-gospel che saluta la sua presenza dove fiati e ritmi volgari lo circondano mentre si erge contro i falsi idoli. Non è un caso che a metà passo, la musica di “Blackstar” passi ai vocaboli gospel e R&B manifestando il credo alla libertà dellaBlackstar. Tuttavia, Bowie non cerca di presentare una qualche essenza della cultura musicale nera, sempre che una cosa così ordinata possa anche essere concettualizzata. Dopo tutto abbiamo a che fare con un maestro dell’ironia. Invece, ricrea quella liberazione sentita da giovane bianco della classe lavoratrice inglese nato a Brixton che, insieme a molti altri come lui, fu elettrizzato e cambiato dalle forme d’arte afroamericane create ad un oceano di distanza. Ciò che il tipo di musica rappresentata dai molti musicisti inglesi della generazione di Bowie, che secondo Tony Visconti avevano tutti “l’occulto desiderio di essere neri“, era uscire dall’ossificato Vecchio Mondo e avere qualcosa di artisticamente eccitante e meno stratificato o, come diceva Bowie, “la via per uscire da Londra che mi avrebbe portato in America“. In Blackstar, Bowie ha creato un avversario dal talento soprannaturale di tutte le pratiche e le istituzioni soffocanti, l’incarnazione del sovvertimento radicale che proclama di essere “nato nel momento sbagliato” con in più un pizzico di faccia tosta. Bowie ha circondato questo perdente devoto con suoni ispirati a una musica dalla dimensione emancipatrice, per lui, che ha così profondamente tracciato la propria strada. Il nostro incontro con Blackstar così può essere interpretato come rievocazione di ‘Plastic Soul‘ quando un giovane David Jones sentì la disincarnata, inconfondibile voce di Dio mentre Little Richard cantava “Tutti Frutti“. ComeBlackstar, la voce di Little Richard significava libertà, ma era anche dotata di un potere soprannaturale, e così Jones l’ascoltò quando gli ordinò di prendere il sax per recarsi in un’America immaginaria, divenendo così David Bowie.Bowie SS ii
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2013DavidBowie_Press_300713Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
fonte: aurorasito.wordpress.com

Safet Zec


venerdì 8 gennaio 2016

il swarm attack di capodanno in Germania è terrorismo sessuale


DI BARBARA TAMPIERI
Il "contrordine, compagni!" della stampa mainstream
 
La notte di Capodanno a Colonia in Germania vi è stata un'ondata di aggressioni a sfondo sessuale a donne scese in strada a festeggiare, da parte di piccoli gruppi organizzati per un totale di almeno un migliaio di uomini dai 18 ai 35 anni dall'aspetto nordafricano o arabo che hanno agito, secondo la polizia tedesca, con evidente coordinazione. Non solo, ma pare che episodi analoghi siano avvenuti contemporaneamente in altre città tedesche come Amburgo, Francoforte e Stoccarda.


Bene, oggi questa notizia è su tutti i giornali e TV, perfino su quelli del nouveau régimema per una settimana è stata prima occultata poi negata e si è cercato di coprirla in tutti i modi con le armi dell'autocensura modello Carta di Roma. Potete immaginare perché. Per il fatto che tutte le testimonianze delle donne molestate riferivano di aggressori stranieri, provenienti probabilmente da quelle tonnellate di uomini clandestini che ci vengono vomitate ai confini dalle dame di San Vincenzo dell'ONU e che somigliano, piaccia o no ai buonisti e senzapalle nostrani, a truppe dormienti di invasione. 
I giornalisti hanno le antenne lunghe e ora che la notizia delle violenze di Capodanno ormai è tracimata nel mainstream avendo rotto gli argini della Rete, sentono l'odore dell'epic fail. Stanno cominciando quindi le reazioni esantematiche in forma di editoriali, come questo, accorato, di Madame Huffington
Fa piacere che Lucia si sia finalmente accorta delle sempre più invadenti confidenze che i "migranti" si stanno prendendo con le donne dei paesi che li ospitano. Dai sorrisetti, alle avances, agli appellativi offensivi, alle vere e proprie mani addosso in spiaggia e al mercato con la scusa di "provarti" la loro mercanzia. Una volta non era così. Forse perché erano di meno e non erano così coscienti della loro impunità?
 
Se il giornalismo reagisce con l'ipocrisia tardiva e la solita faccia come il culo, è interessante invece la permanenza della negazione psicotica nei frequentatori politicamente corretti dei social. Ancora oggi vi è chi continua a negare, ad accusare di fascismo e razzismo chi osa associare le violenze ai migranti  - nonostante lo facciano ormai le pudibonde e politicamente stracorrette autorità tedesche, dai ministri alla sindaca di Colonia, Henriette Reker, autrice di una gaffe sul codice di comportamento che le sue concittadine dovrebbero tenere nei riguardi degli ospiti stranieri. Loro, non gli ospiti. 
Nemmeno il fatto che vi sia stata a Colonia una dimostrazione di piazza di cittadini tedeschi, come riportato dai telegiornali, contro quest'episodio vergognoso a sfondo razzista - nel senso che le vittime del razzismo, aggettivate secondo le testimoni del termine di "cagne", erano le donne tedesche - sembra convincere i tanti wannabe mamma di stupratore che sono spuntati sui social. Tutti a negare, negare, negare. Dal bloggume accreditato presso i salotti della gauche all'ova di lompo, ai soliti difensori a prescindere del buon selvaggio. Quelli che hanno il simbolo dell'ONU tatuato sotto l'ascella e, per deformazione dell'istinto materno, vedono tutti i migranti come pargoli pucciosi da salvare, come il baby Mosè, dalle acque.
 
Una menzione speciale tocca alle sorellastre femministe ed al loro silenzio omertoso verso questo episodio che non merita evidentemente di rientrare nel novero del frame del femminicidio di cui hanno berciato per anni, prima di praticare l'automutilazione della lingua per non disturbare il frame successivo e preponderante dell'accoglienza. Non una corpodelledonnista o cippalipperini che si sia pronunciata finora in difesa delle donne europee molestate e stuprate, in sempre più frequenti casi, dalla Svezia alla Germania, da questi gentiluomini d'importazione con qualche problema ormonale nei riguardi di donne non coperte da capo a piedi. 
La scoperta che il maschio stupratore non è quello ormai castrato ed asessuato che si trascina al loro fianco ma arriva dal futuro dell'Eurabia multietnica deve averle scioccate. E' noto che i peggiori nemici delle donne sono le donne e gli stupratori hanno stuoli di mamme naturali, adottive e surrogate ma un'anticchia di coerenza dovrebbe risiedere perfino nei cervellini rossi fritti delle tante che ai tempi di Berlusconi avevano sempre ladignitadelledonne in bocca.
Tuttavia non mi meraviglio affatto. Il problema del femminismo è lo stesso della sinistra. Sono entrambi fenomeni elitari. La grande conquista del femminismo è stata quella di permettere ad alcune donne di fare carriera e soldi mentre altre donne povere continuavano, rimanendolo, a servirle e riverirle. Provatemi il contrario. Il femminismo e la sinistra sono finiti a fare la fila alla biglietteria della navetta per Elysium. Se non torneranno sarà solo un bene.
 
Il fatto preoccupante che deriva dall'episodio di Colonia, ma che non preoccupa affatto tali negazionisti e negazioniste deficienti, è il fatto che queste aggressioni in Germania sembrano proprio un swarm attack, un attacco a sciame. Una tecnica di cui i militanti del jihad hanno dichiarato spesso di volersi avvalere contro gli infedeli (in questo caso contro le "haggiala" = puttane) e che, cercando nella memoria recente, sembra la fotocopia delle aggressioni e molestie sessuali di massa subite dalle donne egiziane in piazza Tahrir durante la "primavera araba" e da quelle turche durante le manifestazioni di Gezi Park e che furono definite allora azioni di "terrorismo sessuale"
Le vittime sono, allora come oggi, donne emancipate che, nella mente dei retrogradi burattini dell'agenda globalista, rappresentano un invito vivente all'abuso, come prescritto dalle regole della legge religioso-comportamentale che seguono alla lettera. Se pensiamo ai collegamenti tra primavere arabe o arancioni e i flussi migratori "che non si possono arginare", che fanno capo stranamente sempre ai soliti personaggi legati all'élite reazionaria, posso riformulare a pieno titolo la solita domanda che pongo in questi casi: doveste portare un attacco terroristico alle libertà e conquiste femminili dell'Occidente, nel novero dell'agenda reazionaria e antidemocratica, a chi appaltereste la sua esecuzione?
 
Del resto una notizia del genere soddisfa anche un'altra esigenza, nell'ambito dell'applicazione della terapia dello shock. Mi sono chiesta ultimamente che senso avesse riempire le pagine dei giornali con le cronache raccapriccianti di stupri selvaggi perpetrati in India a danni di ragazze e bambine, a cominciare dal caso zero, quello del 2012. L'India è lontana, è un continente dove convivono centinaia di culture diverse.  Non vi è nemmeno un'immigrazione indiana così consistente da noi. Eppure il messaggio sembrava essere quello che l'India fosse l'unico luogo pericoloso al mondo per le donne. Perché? Forse per sviare l'attenzione dagli stupri in Congo e in Sud Africa (perpetrati da quei neri che non si possono criticare, a differenza degli indiani) o dal fatto che proprio alcuni paesi europei stavano diventando nel frattempo teatro di stupri sempre più frequenti ai danni di donne autoctone (come ci definiscono i piddini) da parte di stranieri? Come insegna la legge del frame: se tutti i giornali pubblicano la stessa cosa contemporaneamente, stanno cercando di dirci qualcosa.
 
Se la popolazione in generale si sottomette con la minaccia della povertà, per sottomettere le donne non c'è di meglio che paralizzarle terrorizzandole con lo spettro dello stupro e di quello peggiore, per giunta, quello di guerra. E' la prima cosa che verrebbe in mente agli psicologi dello shock. 
Non vi è niente di più ancestrale, soprattutto se i perpetratori vengono percepiti alla stregua di quei "soldati" del passato, di ogni guerra, di ogni invasione e di ogni passaggio del nemico o dell'alleato su un territorio da conquistare che ancora perseguitano il nostro inconscio personale e collettivo. 
Oltretutto portando con sé il loro seguito di vergogna, onta ed emarginazione delle vittime, fino alla vera e propria rimozione storica dell'accaduto. E' doveroso dire che lo stupro di guerra, pur riguardando soprattutto le donne, non risparmia gli uomini, gli anziani e i bambini. Se vi è omertà e negazione per lo stupro delle donne e dei bambini, quello ai danni degli uomini è addirittura uno dei tabù più impenetrabili della storia umana. 
Ora, per tentare di spiegare il possibile meccanismo psicologico del terrorismo sessuale: pensate che attraverso la propaganda vi presentino tutti i sintomi di una minaccia di invasione o addirittura si incominci a parlare di terza guerra mondiale, con le conseguenze di stupri che sempre accompagnano le guerre, ma che coloro che dovrebbero proteggervi continuino a negare che si tratti di invasione o guerra. Questa inevitabile dissonanza cognitiva tra percezione e interpretazione crea stress, ansia e shock, appunto. In ultima analisi: sottomissione. 
 
Recentemente una storica tedesca, Miriam Gebhardt, ha pubblicato un libro, "Als die Soldaten kamen", sugli stupri di guerra nella Germania sconfitta. Le donne tedesche (ma anche gli uomini, come abbiamo visto), subirono l'oltraggio degli alleati, occidentali e sovietici, in dimensioni simili a quello che subirono i cinesi ai tempi dell'invasione giapponese di Nanchino, nel 1937. Scempio raccontato anch'esso da una donna, Iris Chang, nel volume "The Rape of Nanking", poi suicidatasi in seguito ad una forte depressione, pare provocata proprio dall'impatto emotivo delle sue ricerche.
Anche l'Italia ebbe, durante la II Guerra Mondiale, il suo olocausto nelle oltre 60.000 donne violentate (ma il numero delle vittime fu sicuramente maggiore, tra donne, uomini, anziani e bambini), soprattutto in Ciociaria ma anche in Toscana e lungo tutto il percorso della risalita dal Sud delle truppe alleate. 
Anche se l'originale non è mai stato ritrovato, pare che ai Goumiers responsabili delle "marocchinate" in Italia fosse stato distribuito questo volantino, attribuito al loro comandante, il generale francese Juin:
 
“Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete…”.
 
Vero o falso che sia questo documento, il proclama è quello del diritto di preda che, da che mondo è mondo, vale per tutti gli eserciti di invasione. In questo senso è assolutamente autentico, soprattutto per l'accenno all'impunità futura dei colpevoli.
Questi stupri sugli italiani furono coperti, infatti, nel dopoguerra, dalla solita cappa di omertà. Non solo a causa del do ut des, dell'io non parlo dei tuoi crimini e tu non parli dei miei, caliamo un velo sulle violenze coloniali fasciste e creiamo il mito dell'italiano brava gente e della Resistenza così cassiamo anche le mascalzonate e le violenze dei partigiani, ma per una motivazione che troviamo nel sito dell'"Associazione Vittime delle Marocchinate". (Lo so, avete una voglia matta di protestare per il termine così politicamente scorretto ma datevi pace. Erano proprio nordafricani e africani reclutati ed agli ordini del Corpo di Spedizione Francese in Italia).
Dice quindi l'Associazione, che ancora oggi si batte per il pieno riconoscimento della sofferenza delle vittime, vergognosamente obliata dai libri di storia:
 
"... la tendenza “terzomondista” nella storiografia “progressista” impose una cappa di silenzio, più vergognoso delle violenze compiute, per non favorire una forma di “pregiudizio razziale”. Se è così, come temiamo, scopriamo che della storia si possono rivelare solo gli aspetti che fanno comodo e nascondere quelli che non concorrono alla “verità” che si vuol stabilire, e che non ha bisogno di essere dimostrata."
Ohibò, non sembra lo stesso tipo di tendenza terzomondista che oggi nega disperatamente qualunque violenza perpetrata da chiunque non sia bianco? E' per caso lo stesso pregiudizio razziale al contrario che ha motivato il silenzio stampa sul swarm attack sessuale di Capodanno in Germania?
E ancora. Questo swarm attack contro le donne tedesche potrebbe per caso essere interpretato come un avvertimento di Angela Merkel, talmente Islam-friendly da farsi sottotitolare in arabo il discorso di fine anno; discorso tutto incentrato sull'aprite le porte allo straniero, sdraiatevi e almeno cercate di trarne godimento? Oppure potrebbe essere segno premonitore di un prossimo cambio di programma - perché la cosa sta oggettivamente sfuggendo di mano - e di cavallo, o meglio cavalla, e quindi un avvertimento ad Angela Merkel? Forse quello di oggi non era un pacco sospetto, ma un boomerang.

Barbara Tampieri

fonte: alfredodecclesia.blogspot.it

Kennedy predisse che le banche avrebbero creato una grande crisi globale. Poi morì


Il 4 Giugno del 1963, un decreto presidenziale di John Fitgerald Kennedy, detto Ordine Esecutivo 11110, fu firmato impedendo alla Federal Reserve Bank di prestare soldi a interesse al Governo Federale degli Stati Uniti.La FRB sarebbe presto fallita e l’America sarebbe tornata l’unica vera detentrice del proprio debito.

John Fitzgerald Kennedy fu il primo presidente della storia a comprendere quanto lo strapotere delle banche private avrebbero ben presto creato un collasso dell’intero sistema economico e decise di combatterlo.

Secondo JFK, le banche private, non potevano esseri i creditori di un’intera nazione e, cosa più importante, non potevano avere il potere di stampare moneta. 

Le somiglianze fra la Federal Reserve e la BCE, nonché la nostra cara Bankitalia, sono a dir poco imbarazzanti.

JFK fu il primo ad opporsi alle banche private ma purtroppo anche l’ultimo. Il suo assassinio fece desistere qualsiasi altro presidente, americano e non, dal dichiarare guerra alle banche private ...


L’Ordine Esecutivo 11110 avrebbe messo fine all’attuale sistema bancario mangia-soldi. La FRB, come tutte le banche del resto, prestava (e presta ancora) soldi che non ha. Solo un decimo dell’intero ammontare di capitale che le banche private danno in prestito, é realmente detenuto dalla banca. L’FRB crea a piacimento ricchezza. Un potere immenso per dei privati. Immenso e rischioso. É un enorme castello di carte, basta un semplice soffio di vento per farlo crollare. L’intero sistema si basa su soldi che le banche non hanno. JFK aveva compreso a pieno quanto tutto ciò fosse sbagliato. Aveva intuito che, di quel passo, l’intera economia mondiale sarebbe finita male. Aveva anticipato la crisi economica mondiale che ci sta affliggendo.
Con il suo Ordine Esecutivo, il Dipartimento del Tesoro avrebbe avuto il potere di “emettere certificati d’argento a fronte di ogni lingotto di argento/dollari d’argento della Tesoreria.” Questo significa che la Tesoreria degli Stati Uniti poteva introdurre soldi in circolazione basandosi esclusivamente sui lingotti d’argento fisicamente presenti nelle casse dello Stato. Niente più speculazioni, niente più creazione ad hoc di falsa ricchezza.Solo una economia solida, costituita sul reale valore dell’argento realmente detenuto dal governo.

L’FRB non avrebbe più potuto prestare soldi ad interesse all’America. Gli uomini più ricchi del mondo non avrebbero più avuto in mano lo scettro del potere. Gli stavano per portare via il loro amato giochetto per fabbricare soldi.

Ma questo cacchio di Giovannino Fizgeraldo voleva proprio morire!? Si era già messo contro tutta l’ala conservatrice e militarizzata dell’America schierandosi contro la guerra in Vietnam, ci mancavano solo i banchieri privati da indispettire. La sua morte era già praticamente scritta.
4 miliardi di banconote degli Stati Uniti, stampati cioè dalla Tesoreria e non dai privati, sono stati messi in circolazione in tagli da 2 e 5 dollari. Ben presto avrebbero sostituito le banconote stampate dai privati. Furono stampate dal Dipartimento del Tesoro anche banconote da 10 e da 20 dollari, ma non vennero mai messe in circolazione in quanto Kennedy, nel frattempo, venne assassinato. La sua politica morì con lui. Tutte le banconote stampate dalla Tesoreria vennero immediatamente ritirate. Davvero JFK pensava che avrebbe potuto sopravvivere dopo aver tolto alle banche private l’incostituzionale diritto di stampare moneta?

Le “Banconote degli Stati Uniti” furono emesse come valuta senza interessi e senza debiti avvallate dalle riserve d’argento nella Tesoreria degli Stati Uniti. Nessun privato si arricchì in questa transazione. Molti privati s’ incazzarono.
L’artefice di tutto ciò venne ucciso il 22 Novembre 1963. I banchieri privati tornarono a sorridere e a speculare. Nessun altro presidente della storia degli Stati Uniti si azzardò mai più ad applicare l’Ordine Esecutivo 11110.

Quell’Ordine Esecutivo in realtà è ancora lì. Non è stato mai abrogato da nessun governo. Basterebbe che il Presidente Obama applicasse semplicemente la legge per decapitare la Federal Reserve. Evidentemente però tiene troppo alla sua vita. Non è facile andare incontro alla morte sicura per il bene del proprio popolo. JFK lo sapeva bene. La mafia delle banche pure: Kennedy é diventato il monito per tutti coloro che vogliano un giorno opporsi al potere delle banche: quei simpaticoni della FRB hanno anche avuto il coraggio di stampare l’effige di JFK su dei dollari d’argento. Mai monito fu più macabro ed efficace. Nessuno osa più pestargli i piedi.


Testo tradotto dell’ Ordine Esecutivo 11110


Emendamento all’ordine esecutivo numero 10289, relativo allo svolgimento di certe funzioni ad appannaggio del dipartimento del Tesoro. In virtù dell’autorità conferitami dalla sezione 301 del terzo articolo del Codice degli Stati Uniti, ordino quanto segue:

SEZIONE 1. Ordine esecutivo numero 10289 del 19 settembre 1951, come modificato, è qui ulteriormente modificato – (a) aggiungendo alla fine del paragrafo 1 attraverso il seguente sottoparagrafo (j): “(j) L’autorità conferita al Presidente dal paragrafo (b) della sezione 43 dell’Atto del 12 Maggio 1933, così come modificato (31 U.S.C. 821 (b)), di emettere certificati argentei in base ad ogni lingotto d’argento, argento o dollari d’argento standard nella Tesoreria momentaneamente non trattenuti per rimborso da alcun certificato d’argento in corso, di prescrivere il valore dei certificati argentei, ed emettere dollari d’argento standard e valuta d’argento sussidiaria per il loro ammortizzamento.” e (b) e eliminando i sottoparagrafi (b) e (c) del paragrafo 2.

SEZIONE 2. L’emendamento effettutato con quest’Ordine non ha effetto su nessun atto già scritto, o su nessuna istanza o procedimento che stanno venendo accolti, o già accolti, o iniziato o sull’inizio di nessuna causa civile o penale precedenti alla data di quest’Ordine ma tutte le tali disposizioni devono continuare e possono essere portate a termine come se detto emendamento non fosse stato fatto.

JOHN F. KENNEDY THE WHITE HOUSE, June 4, 1963


fonte: crepanelmuro.blogspot.it

domenica 3 gennaio 2016

mortitalia

Il 2015 si chiuderà secondo l'ISTAT con 68.000 morti in più rispetto al 2014: 666mila contro 598mila, l'11% in più. Come ai tempi delle grandi guerre. Le città italiane non sono state bombardate dalle potenze straniere, ma vivono sotto l'assedio di nemici silenziosi. Lo smog sta rendendo le città italiane sempre più simili a Pechino. A Milano (dopo che Pisapippa ha distrutto 573 alberi secolari che davano ossigeno) da domani per tre giorni la circolazione delle auto sarà vietata, poi si tornerà alla "normalità" e presto sarà vietata la circolazione delle persone, come in Cina appunto

Nel frattempo l'inquinamento ci avvelena, avvelenano i fumi dell'ILVA, avvelena la diossina che fuoriesce dagli inceneritori e che finisce dentro il nostro cibo, avvelena l'acqua che beviamo che scorre in tubature d'amianto. Giovani o vecchi, ci si ammala sempre di più e non ci sono i soldi per le cure nè per le medicine, con la crisi i soldi è meglio usarli per mangiare (alimenti probabilmente contaminati). Si stringono i denti e si tira avanti, ma per poco. Il governo impugna la lunga falce e con la legge di stabilitàtaglia altri 15 miliardi di euro alla sanità in 3 anni: per gli italiani non c'è scampo. 

Avvelenati da una politica industriale dell'800, in mutande a causa della crisi e abbandonati dal governo. Premier e ministri non si rendono conto di ciò che accade nel Paese. Litigano per mezzo punto percentuale di PIL e fanno decreti lampo di domenica per salvare le banche mentre passeggiano incuranti sui cadaveri di 68.000 italiani che non hanno saputo proteggere. Sono una sciagura per il Paese, il prezzo della loro spocchia lo stiamo pagando col sangue. Prima se ne vanno e meglio è.

Dai bilanci demografici mensili forniti dall’Istat si rileva come il totale dei morti in Italia nei primi otto mesi del 2015 - ultimo aggiornamento disponibile - sia aumentato di 45mila unità rispetto agli stessi primi otto mesi del 2014. La cosa non è affatto marginale se si pensa che ciò corrisponde ad un aumento dell’11,3% e che, se confermato su base annua, porterebbe a 666mila morti nel 2015 contro i 598mila dello scorso anno. Un incremento di ben 68mila unità che appare in gran parte concentrato nella componente femminile (+41mila) e che verosimilmente coinvolge soprattutto la fascia più anziana della popolazione residente nel nostro Paese. Il dato è impressionante.


Ma ciò che lo rende del tutto anomalo è il fatto che per trovare un’analoga impennata della mortalità, con ordini di grandezza comparabili, si deve tornare indietro sino al 1943 e, prima ancora, occorre risalire agli anni tra il 1915 e il 1918: due periodi della nostra storia segnati dalle guerre che largamente spiegano dinamiche di questo tipo. Viceversa, in un’epoca come quella attuale, in condizioni di pace e con uno stato di benessere che, nonostante tutto, è da ritenersi ancora ampio e generalizzato, come si giustifica un rialzo della mortalità di queste dimensioni? E’ solo la naturale conseguenza del progressivo marcato invecchiamento della popolazione italiana o è (anche) un segnale di allarme? Il sistema socio-sanitario, che finora ha permesso un continuo allungamento della vita anche alle età anziane, inizia forse a subire gli effetti di una congiuntura economica meno favorevole? In altre parole ci chiediamo se i tagli alla sanità pubblica, dovuti alla crisi, abbiano accresciuto nel corrente anno il rischio di mortalità nei gruppi tipicamente più fragili: i vecchi.
La presenza di 68mila morti in più, se confermata dal resoconto di fine anno, rappresenta un segnale importante che la demografia consegna alla riflessione sia del mondo scientifico sia di quello della politica, della pubblica amministrazione e del welfare. E’ un evento “straordinario” che richiama alla memoria l’aumento della mortalità nei Paesi dell’Est Europa nel passaggio dal comunismo all’economia di mercato: un “déjà vu” che non vorremmo certo rivivere. Il controllo della spesa sanitaria sempre e a qualunque costo – in un momento di recessione economica – può avere effetti molto pesanti sul già fragile sistema demografico. 

di Gian Carlo Blangiardo


fonte: freeondarevolution.blogspot.it

Vaticano: 5 cose da conoscere

Vaticano
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Vaticano: 5 cose da conoscere (ma che pochi sanno…) – Per debellare la fame nel mondo basterebbero gli interessi sui profitti annuali del vaticano. E se questi sono gli interessi, immaginateVi i profitti!


Il Vaticano è apparentemente una “città” all’interno di Roma, denominata come tale Città del Vaticano, e in genere qualificata capitale della Santa Sede, lo Stato a costituzione monarchica, con a capo il papa come sovrano assoluto, attualmente nella persona di Jorge Mario Bergoglio. E’ riconosciuta a livello internazionale come uno Stato nella sua entità territoriale, tra Congregazioni, Uffici amministrativi, Tribunali e Segretariati, che fa capo al papa, il Vicario di Cristo in terra, nelle vesti di sovrano.
Dalla Città del Vaticano la Chiesa di Roma si dirama in tutto il mondo con la sua presenza religiosa e finanziaria di vescovadi, prelature, parrocchie, chiese, conventi, università, missioni, immobili, radio-televisioni, giornali e case editrici. Si nomina il Vaticano tanto per dire il punto di riferimento della Chiesa di Roma, ovvero della Chiesa cattolica, come il centro capitale del cristianesimo di oggi.
Lo Stato della Città del Vaticano, nato formalmente l’11 febbraio 1929 per effetto dell’articolo 3 del Trattato del Laterano, è stato istituito formalmente il 7 giugno 1929, quando, con lo scambio delle ratifiche avvenuto nel Palazzo del Vaticano, gli accordi lateranensi ebbero piena efficacia giuridica. Nell’ordinamento internazionale, quindi, il Vaticano è uno Stato straniero riconosciuto in modo diretto ed esplicito dalla Repubblica italiana con gli articoli 3 e 26, comma 2, del Trattato mentre, da parte degli altri Paesi, che mantenevano i rapporti diplomatici con la Santa Sede e che, a al tempo della stipula del Trattato, furono tempestivamente informati, tale riconoscimento è indiretto ed implicito.
Ma il Vaticano giuridicamente non ha una sua sovranità, che va invece attribuita alla Santa Sede, ovvero quella persona morale di diritto pubblico che esercita appunto la sua sovranità sul Vaticano, definibile come ordinamento giuridico derivato. Ed è un fatto che nell’Assemblea Generale dell’ONU non è presente la Città del Vaticano, ma la Santa Sede con un suo “osservatore permanente”. Peraltro la Santa Sede è inscindibile dalla persona stessa del papa, costituendo così un circolo chiuso di competenze e autorità.
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La creazione dello Stato Vaticano risponde all’esigenza di assicurare al “Governo cattolico” (cioè alla stessa Santa Sede, nella sua qualità di suprema istituzione della Chiesa) l’assoluta e visibile indipendenza e garantire una sovranità indiscutibile anche nel diritto internazionale. Lo Stato Vaticano, pertanto, ha la singolare caratteristica di strumento dell’indipendenza della Santa Sede e della Chiesa Cattolica da qualsiasi altro potere costituito.
Oggi parleremo di alcuni fatti molto interessanti che riguardano la Santa Sede ed il suo sovrano assoluto: il Santo Padre. E per maggiori approfondimenti, vi consigliamo il libro di Claudio Rendina intitolato “101 misteri e segreti del Vaticano”. Buona lettura.

1. Il Vaticano e la Santa Sede – Uno Stato dai confini illegali

Il Vaticano e la Santa Sede-Uno Stato dai confini illegali-300x180
La Città del Vaticano è nata l’11 febbraio 1929 con la firma dei Patti Lateranensi tra l’Italia e la Santa Sede, che ricostituirono, sia pure con territorio ridotto, lo Stato Pontificio in Roma, mentre un concordato stabilì le prerogative dei religiosi e dei beni ecclesiastici in Italia. Il territorio si estende su 44 ettari, ovvero 0,44 chilometri quadrati, i cui confini sono limitati dalle Mura Vaticane e dalle strade romane via di Porta Angelica,piazza del Risorgimento, via dei Bastioni di Michelangelo, viale Vaticano, via della Stazione Vaticana, largo Porta Cavalleggeri, piazza del Sant’Uffizio e via Paolo VI, fino ad aprirsi sulla piazza San Pietro. E qui, al limite del colonnato, si protende circolare il confine aperto con l’Italia, tra i larghi Alicorni e del Colonnato, a fronte di piazza Pio XII e via della Conciliazione.
In realtà questi confini del Vaticano sono fuori legge. Nei trattati del 1929 fu stabilita una linea di confine lunga 3 chilometri e 500 metri che corresse nel tessuto urbano di Roma, per il 70% genericamente costituito dalle Mura Vaticane e per il 30% stabilito ex novo nel tessuto urbano italiano. Era una definizione non chiara, nonostante una piantina allegata ai trattati. Il problema fu pertanto riesaminato da una Commissione Tecnica italo-vaticana e si definì una nuova linea di confine con relativi mappe, ma la documentazione di tali confini non è stata mai ratificata né dal governo italiano né da quello vaticano, e solo per un tacito accordo si sono mantenuti i confini stabiliti nel 1929, con le ambiguità relative al tracciato del 30%, che si dovette creare ex novo. Con tutte le illegalità conseguenti.
Così nella zona adiacente all’attuale palazzo della Congregazione per la Dottrina della Fede, tra altri edifici e a fronte delle proprietà vaticane sul Gianicolo, si ebbe una tortuosità della linea di confine, alla quale si pensò di ovviare con l’erezione di un cancello, che in linea retta collega la fine del colonnato con il Collegio Teutonico, ma che non corrisponde al confine effettivo, risultante più arretrato. La situazione peggiorò quando nel 1966 fu abbattuto ilMuseo Petriano e venne costruita l’Aula Paolo VI, che ha finito per essere collocata per tre quarti in territorio italiano, restando in quello vaticano la parte finale dove è il trono papale.
Piazza San Pietro è territorio vaticano aperto al pubblico, ma fino alla scalinata è sotto la giurisdizione delle autorità italiane, ovvero ne è affidato l’ordine pubblico alla Polizia italiana). Il colonnato è del Vaticano ma il confine con l’Italia corre lungo la linea esterna, per cui le due colonne degli avancorpi rivolti alla piazza Pio XII si trovano in territorio italiano. In ogni caso il Vaticano non è circoscrivibile a «quel tanto di territorio», come definì Pio XI i 44 ettari, ma è anche fuori del Vaticano: dentro Roma, in Italia e in tutte le nazioni del mondo, relativamente a diocesi, chiese, conventi, santuari, monasteri, seminari, oratori, case di cura, alberghi di proprietà della Santa Sede e con un incalcolabile numero di persone ecclesiastiche e laiche.

2. Le insegne e il vestiario del papa

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Il papa regnante, come sovrano, ha uno stemma per il quale utilizza l’arma del suo casato, se è nobile, come è accaduto per Paolo VI con lo stemma della famiglia Montini; altrimenti ne adotta uno di sua invenzione. Le due chiavi hanno un significato simbolico; quella d’oro vale come la potenza e quella d’argento come la scienza. In ogni caso è lo stemma nel suo complesso che resta l’emblema del potere papale e in una forma aristocratica non troppo in linea con lo spirito evangelico, se solo si pensa alla povertà del primo papa, il pescatore di Galilea. Peraltro il riferimento a Pietro è incancellabile in quella gemma simbolica che reca scolpita l’immagine del primo papa nell’atto di pescare dalla sua navicella; l’anello del pescatore”, appunto, usato dal pontefice per ricordare che la supremazia della Chiesa fu assegnata al pescatore Simone, di cui i papi sono i legittimi successori.
Questo anello, custodito dal Prelato Maestro di Camera, viene spezzato alla morte di ogni papa e rinnovato; sempre d’oro, è indossato dal  pontefice al dito anulare destro e utilizzato per sigillare tutta la corrispondenza privata, facendo pressione sulla ceralacca riscaldata e fusa sulla carta. L’anello piscatorio d’oro massiccio diBenedetto XVI, ad esempio, è stato creato appositamente da un noto orafo romano, Claudio Franchi, esponente dell’Associazione Regionale Romana Orafi; riporta un sigillo a forma ovale, sul quale è incisa la tradizionale barca con Pietro che getta le reti per pescare. Intorno all’anello è inciso il nome del papa, “Benedictus XVI”.
Il vestiario del papa è piuttosto sobrio, all’insegna del colore bianco. L’indumento principale era una zimarra, caratterizzata da una mozzetta a finte maniche, larghe fino ai gomiti, sostituita nelle funzioni religiose da un camice in pizzo lungo fino ai piedi, con maniche attillate, cinta sui fianchi dal cingolo; era portata direttamente sopra una camicia a collo romano con polsini alla moschettiera fermati dai gemelli. Come soprabito si usa la mozzetta, una mantellina di velluto corta abbottonata sul davanti, che è di colore rosso o bianco, o il piviale, ampio mantello con cappuccio. Rosso è anche il camauro, un copricapo di velluto bordato di pelliccia d’ermellino bianca; copricapo alternativo è il saturno, un cappello a tesa larga, anche questo rosso.
Una curiosità, infine, sulle scarpe color rosso ciliegia, diventate un’icona da quando il mensile americano «Esquire» nel 2009 ha definito il papa «the accessorizer of the year», ovvero «l’uomo più elegante dell’anno» per quelle calzature. E si è discusso a lungo su chi le fornisca, così che è stato fatto il nome di Prada. Ma «L’Osservatore Romano» ha smentito quella voce dichiarando che «il colore rosso ha un significato religioso», ovvero il “sacrificio”, e pertanto «il papa non veste Prada, veste Cristo». In realtà quelle scarpe sono opera diAdriano Stefanelli, un artigiano di Novara, e quando si consumano le rimette a nuovo Antonio Arellano, un peruviano che ha il negozio di calzolaio a Borgo Pio. Ma è difficile pensare che il papa faccia riparare le scarpe, come un comune mortale; più probabile che arrivino nuove da Novara.

3. I soldi del papa

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Il papa come re, ovvero sovrano assoluto dello Stato della Città del Vaticano, non avrebbe bisogno di denaro perché, a norma del Diritto Canonico, come sovrano assoluto della Chiesa ha poteri e attribuzioni illimitati; secondo quanto peraltro recita il canone 1518 del Codice di diritto canonico del 1917: «Il romano pontefice è amministratore e gestore di tutti i beni ecclesiastici». In ogni caso ha a sua disposizione un “fondo spese”, con il quale si provvede alle necessità quotidiane di vita, ai viaggi e a qualsiasi esigenza automaticamente appagata, senza dover render conto a chicchessia.
Ma in realtà il papa ha uno stipendio, che potremmo chiamare più propriamente una indennità. Lo ha rivelato in una conferenza stampa del 2001 il cardinale Sergio Sebastiani, all’epoca Presidente dell’APSA, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, definendo «una cosa normale», così come «prende uno stipendio anche il capo dello Stato italiano». Non è stata indicata la cifra, ma proprio quel riferimento al Presidente della Repubblica italiana suggerisce l’entità dello stipendio del papa, che possiamo stimare nell’ordine di 17.000 euro mensili per un totale di 218.407 euro annuali, calcolando anche la tredicesima! Inoltre presso lo IOR, la banca della Città del Vaticano, il papa ha il suo conto corrente, il numero 1, con tanto di libretto di assegni, anche se per la firma c’è una delega.
Considerando che il papa non usa il denaro per il mantenimento di vitto, alloggio, vestiario e viaggi, il conto è alimentato mensilmente dall’intero stipendio, ma non solo. Vanno considerate anche le entrate di cui dispone dalla sua Elemosineria Apostolica e i contributi che le diocesi di tutto il mondo sono tenute a versare a Sua Santità, a norma del canone 1271 del Codice di diritto canonico, oltre a quanto inviano le congregazioni religiose e le fondazioni. L’ultimo dato acquisito risale al 2007, secondo un rapporto riservato trasmesso dal Vaticano alle diocesi, in base al quale questi contributi sono ammontati a 29,5 milioni di dollari.
Il più sostanzioso introito sul conto del papa è costituito dal Vicarius Christi Fund, che è un fondo assicurativo, frutto dell’investimento dei Cavalieri di Colombo. Stando così le cose è veramente impossibile quantificare il denaro che affluisce mensilmente sul conto corrente del papa, nel quale vanno anche considerati gli interessi, che sono del 12%, a fronte dell’1,30% di spese. Ma c’è un di più. In una conferenza di diplomatici di vari paesi del Medio Oriente e del Nordafrica, tenuta a Roma alla Pontificia Università Gregoriana nel maggio del 2007, il Presidente dello IORAngelo Caloia ha accennato a un ulteriore interesse a vantaggio del conto corrente del papa, costituito dai profitti generali dello IOR; a marzo di ogni anno la banca mette a disposizione del papa la differenza fra le proprie entrate e uscite dell’anno precedente.
L’ammontare di questa somma è segreto. Ma per Giovanni Paolo II sono trapelate le cifre in lire: il 1992 con 60,7 miliardi, il 1993 con 72,5 miliardi, il 1994 con 75 miliardi e il 1995 con 78,3 miliardi. E ci sono anche i guadagni derivanti dai diritti d’autore, relativi principalmente a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI di cui è impossibile sapere a quanto sia ammontato negli anni il fatturato.

4. L’automobile del papa

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È subentrata alla carrozza a cavalli, che a sua volta aveva mandato in pensione il semplice cavallo; mezzi di trasporto perlopiù usati per la presa di possesso della basilica di San Giovanni in Laterano e per andare in vacanza aCastel Gandolfo. La prima automobile entrata in Vaticano è una Itala 20/30, regalata a Pio X dal vescovo di New York, monsignor Farlen, nel 1909; ma papa Sarto non la usa. In pratica resta in uso la carrozza, alla quale rimane fedele anche Benedetto XV, finché con Pio XI l’automobile è promossa a tutti gli effetti come mezzo di locomozione. Ma la sua grande affermazione l’ha conGiovanni XXIII, protagonista originale di numerose uscite per visite alle parrocchie romane, alle carceri e all’ospedale.
papa Roncalli cambia spesso automobile; usa una FIAT 2100 o una Chrysler Imperial carrozzata Ghia o unaMercedes 300, e a bordo di quest’ultima, che è la preferita, va a ricevere il Premio Balzan al Quirinale. Con Paolo VIe i viaggi internazionali le vetture targate SCV servono solo ad accompagnare il papa all’aeroporto e riprenderlo, perché nei vari paesi c’è sempre l’automobile del premier dello Stato ad accoglierlo; per le visite dentro Roma e a Castel Gandolfo usa una Mercedes Benz 600 (nella foto sopra una Lincoln Continental Limousine del 1964, realizzata da Ford appositamente per papa Paolo VI nel corso del suo viaggio a New York).
Finché nel 1980 arriva la FIAT Campagnola, che è famosa perché su di essa Giovanni Paolo II viene colpito da Alì Agca il 13 maggio 1981. E da quel giorno il problema è stato quello di mettere a disposizione del papa vetture di massima sicurezza, a cominciare dal rivestimento della Campagnola con una bolla di plexiglas antiproiettile, finché è arrivata la papamobile. È una vettura speciale che garantisce sicurezza al pontefice, con una cabina blindata antiproiettile, ma anche massima visibilità ai fedeli; la prima automobile di questo tipo peraltro è stata realizzata ancor prima dell’attentato sul furgone polacco Star, utilizzato quando Giovanni Paolo II è andato in visita in Polonia nel 1979.
Tutte le automobili del papa, finché sono in uso, stazionano nell’Autoparco Vaticano, che si trova nella zona residenziale della Città del Vaticano, a ridosso delle mura sul fianco di piazza Risorgimento, dove peraltro sono parcheggiate anche quelle di rappresentanza di cardinali e prelati, e di servizio, ma ben distinte da quelle dei Vigili del Fuoco, della Gendarmeria e del servizio sanitario, nonché da autocarri e motocicli del personale vaticano, che sono disposti in settori separati.
Le automobili pontificie, tutte targate SCV, stazionano nell’autoparco finché vengono utilizzate, altrimenti finiscono come cimeli storici nel Padiglione delle Carrozze dei Musei Vaticani. Questo è stato creato da Paolo VI nel 1973 in un ambiente sottostante il Giardino Quadrato, come sezione staccata del Museo Storico che è allestito nelpalazzo Apostolico del Laterano, e oltre alle automobili datate questo locale conserva selle, carrozze e portantine. Tra le automobili non c’è la Campagnola sulla quale Giovanni Paolo II subì l’attentato, probabilmente non esposta perché considerata anche una sorta di reliquia.
Ma tra le carrozze ce n’è una che è stata usata ai giorni nostri da un papa in sostituzione dell’automobile e pertanto va segnalata: è un landau dell’Ottocento, scoperto e senza particolari addobbi damascati. L’usò Paolo VI per andare in piazza di Spagna a rendere il tradizionale omaggio alla colonna dell’Immacolata l’8 dicembre del 1973, anno in cui vigeva l’austerità ed era proibito l’uso di veicoli a motore nei giorni festivi.

5. La morte del papa

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A meno che non sia colpito da un improvviso malore nel suo letto durante la notte, il papa non muore mai solo; seppure muore sul proprio letto, gli è vicino il Segretario. E a lui morente rendono omaggio i cardinali presenti a Roma, mentre riceve l’estrema unzione dal cardinal vicario. Una volta che il papa ha emesso l’ultimo respiro e il medico ne ha constatata la morte, il cardinale camerlengo ne riconosce ufficialmente per la Chiesa la morte, battendo per tre volte con un martelletto rituale la fronte del papa, chiamandolo con il nome di battesimo. Dopo di che il camerlengo rompe l’anello piscatorio e, nelle ventiquattro ore seguenti l’ultimo respiro, il corpo viene imbalsamato; questo perché il pontefice sarà esposto per alcuni giorni alla venerazione dei fedeli a San Pietro su uncatafalco.
Il papa, sul catafalco, per l’ultima solenne presenza nella basilica di San Pietro indossa gli abiti liturgici propri della sua dignità: un lungo camice bianco, una dalmatica rossa e oro, una pianeta rossa. Le spalle sono coperte dalpiviale di seta bianca, mentre attorno al corpo si avvolgono le bende di lana del pallio; sopra il tutto, il fanone in seta bianca con fili rosso e oro. La mitra dorata in testa completa la vestizione. Dal giorno della sua esposizione iniziano i Novendiali, ovvero le esequie in suffragio dell’anima del papa con celebrazioni continue di messe fino alla Missa poenitentialis, cioè il funerale, che viene sempre tenuto in San Pietro. Le spoglie mortali del papa vengono chiuse in una triplice cassa (una di cipresso, una di piombo e una di noce) e tumulate nelle Grotte Vaticane.
Uno dei fatti più sconvolgenti e inquietanti del XX° secolo fu senz’altro la morte improvvisa di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, ex arcivescovo di Venezia, presumibilmente avvenuta tra le ore 23 del 28 Settembre 1978 e le ore 5 del giorno sucessivo nel suo appartamento privato «per infarto acuto del miocardio», secondo il certificato di morte del dottor Renato Buzzonetti, direttore dei Servizi Sanitari del Vaticano. Contemporaneamente all’annuncio del Vaticano, arriva all’agenzia ANSA e ad alcuni quotidiani una soffiata: non è certa la causa della morte di papa Luciani, tanto che probabilmente verrà eseguita un’autopsia per vedere se è stato avvelenato.
Fu morte naturale o si trattò di un complotto sanguinoso per togliere di mezzo un uomo moralmente e intellettualmente assai distante dalla mentalità della gerarchia curiale che l’attorniava? Padre Romeo Panciroli, direttore della Sala Stampa del Vaticano, conferma la morte per infarto. Peraltro padre John Magee, che ha scoperto il cadavere, suor Vincenza e le altre suore addette al servizio del pontefice, nonché il Segretario privato del papa, Diego Lorenzi, sono irreperibili. Nel frattempo si registra una riunione dei cardinali presenti a Roma che decidono di far esaminare il cadavere del papa a una commissione di tre medici per vagliare «l’opportunità dell’autopsia da un punto di vista medico».
Il rapporto, pervenuto al cardinale Villot lunedì 2 ottobre, ritiene valida la diagnosi del dottor Buzzonetti; i cardinali di nuovo riuniti scartano a maggioranza la necroscopia e archiviano in sostanza il caso, autorizzando i funerali. E Giovanni Paolo I viene sepolto nelle Grotte Vaticane il 4 ottobre. Per alcuni il dossier scottante riguarda l’Ordine dei Gesuiti. Poi escono due libri: La vraie mort de Jean Paul I di Jean-Jacques Thierry, che in 17 lettere accreditate a un fantomatico cardinale Wolkonsky espone i suoi sospetti sulla fine del papa, e soprattutto In nome di Dio di David Yallop.
In quest’ultimo si raffigura un assassinio del papa, frutto di un complotto condotto dal cardinale Villot e monsignor Marcinkus, con la complicità di Roberto Calvi e i responsabili della loggia P2. Era intenzione del papa sostituire Villot con il cardinale Giovanni Benelli e allontanare dalle finanze vaticane Marcinkus e la sua cricca, ritenendoli individui corrotti; per questo certe persone avrebbero ucciso, prevenendo così la loro stessa eliminazione o l’allontanamento dai posti di potere. Avrebbero fatto uso della digitale con effetti tossici sul cuore del papa che, già debole, non avrebbe resistito.
fonte: http://best5.it/post/vaticano-5-cose-dovreste-conoscere-pochi-sanno/
http://blogdieles2.altervista.org/vaticano-5-cose-da-conoscere-ma-che-pochi-sanno-per-debellare-la-fame-nel-mondo-basterebbero-gli-interessi-sui-profitti-annuali-del-vaticano-e-se-questi-sono-gli-interessi-immaginatevi/
fonte: alfredodecclesia.blogspot.it