giovedì 31 dicembre 2015

Madama Butterfly


LITOGRAFIA DI ADOLFO HOHENSTEIN

è un'opera in tre atti (in origine due) di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, definita nello spartito e nel libretto "tragedia giapponese" e dedicata alla regina d'Italia Elena di Montenegro.

La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano, il 17 febbraio 1904, della stagione di Carnevale e Quaresima.

Genesi dell'opera

Puccini scelse il soggetto della sua sesta opera dopo aver assistito al Duke of York's Theatre di Londra, nel luglio 1900, all'omonima tragedia (Madame Butterfly) in un atto di David Belasco, a sua volta tratta da un racconto dell'americano John Luther Long dal titolo Madam Butterfly, apparso nel 1898.

Iniziata nel 1901, la composizione procedette con numerose interruzioni: l'orchestrazione venne avviata nel novembre del 1902 e portata a termine nel settembre dell'anno seguente e soltanto nel dicembre 1903 l'opera poté dirsi completa in ogni sua parte.

Per la realizzazione del dramma Puccini si documentò senza sosta e minuziosamente sui vari elementi orientali che ritenne necessario inserirvi. Lo aiutarono particolarmente una nota attrice giapponese, Sada Yacco, e la moglie dell'ambasciatore nipponico con la quale parlò in Italia facendosi descrivere usi e costumi dell'affascinante popolo orientale. I costumi al debutto alla Scala di Milano furono disegnati da Giuseppe Palanti.

Il debutto scaligero

La sera del 17 febbraio 1904, nonostante l'attesa e la grande fiducia dei suoi artefici in Rosina Storchio, all'apice della sua carriera, Giovanni Zenatello e Giuseppe De Luca oltre che nella direzione di Cleofonte Campanini, grande talento che aveva preparato l'opera con molta cura, la Madama Butterfly cadde clamorosamente al Teatro alla Scala di Milano.

Il tragico clima di questo storico fiasco è efficacemente descritto da una delle sorelle di Puccini, Ramelde, in una lettera al marito:

« Alle due siamo andati a letto e non posso chiudere occhio; e dire che tutti eravamo tanto sicuri! Giacomo, poverino, non l'abbiamo mai veduto perché non si poteva andare sul palcoscenico. Siamo arrivati in fondo non so come. Il secondo atto non l'ho sentito affatto e, prima che l'opera finisse, siamo scappati dal teatro. »

Considerato che la versione di Milano era poco differente rispetto a quella che sarà presentata poco dopo a Brescia, accolta trionfalmente e poi passata in repertorio, è difficile dar ragione del fiasco milanese. Molti studiosi, tra cui il direttore d'orchestra Pinchas Steinberg, oltre che Giulio Ricordi e Puccini stesso, ritengono che attorno all'autore e all'opera fosse stato costruito ad arte un clima d'ostilità, poi sconfitto dal palese valore dell'opera. L'ipotesi del complotto è confermata anche dalle sensazioni di Puccini, che scrivendo all'amico Camillo Bondi riferì d'una ubriacatura d'odio nell'ambito della quale si dovette tenere la prima scaligera:

« con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio. Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio. Ma la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e suggestiva ch’io abbia mai concepito. E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni »
così come dalla cronaca di Giulio Ricordi, stilata poche settimane dopo:

« Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate, i soliti gridi solitari di bis fatti apposta per eccitare ancor di più gli spettatori, ecco, sinteticamente, qual è l’accoglienza che il pubblico della Scala fa al nuovo lavoro del maestro Giacomo Puccini. Dopo questo pandemonio, durante il quale pressoché nulla fu potuto udire, il pubblico lascia il teatro contento come una pasqua! »

Versioni successive

Il fiasco spinse autore e editore a ritirare immediatamente lo spartito, per sottoporre l'opera ad un'accurata revisione che, attraverso l'eliminazione di alcuni dettagli e la modifica di alcune scene e situazioni, la rese più agile e proporzionata. Puccini inserì anche una nuova aria per Pinkerton, «Addio, fiorito asil». Una delle più importanti modifiche è tuttavia puramente musicale e riguarda la linea vocale dell'aria del suicidio di Butterfly.

Nella nuova veste, Madama Butterfly, interpretata da Solomiya Krushelnytska e Zenatello diretta da Campanini, venne accolta entusiasticamente al Teatro Grande di Brescia appena tre mesi dopo, il 28 maggio, e da quel giorno iniziò la sua seconda, fortunata esistenza.

Al Teatro Regio di Torino, avviene la prima rappresentazione nella terza versione, il 2 gennaio 1906 con la Krushelnytska diretta da Arturo Toscanini.

La partitura e gli effetti scenici vengono ulteriormente ritoccati da Puccini fino al 1907, prima per la rappresentazione dell'opera al Royal Opera House, Covent Garden di Londra il 10 luglio 1905, poi per quella del 1906 al Théâtre National de l'Opéra-Comique di Parigi.

Al Metropolitan Opera House di New York la première è stata l'11 febbraio 1907 con Geraldine Farrar, Enrico Caruso, Louise Homer ed Antonio Scotti con la supervisione del compositore. Al Metropolitan fino al 2014 ha avuto 855 recite risultando la settima opera maggiormente eseguita.

Nel 1920 Puccini tornò nuovamente sulla partitura, ripristinando nel primo atto un assolo di Yakusidé, lo zio ubriacone della protagonista. È possibile che il cambiamento fosse anche mirato a combattere la prassi di tagliare un breve episodio in concertato, che nella versione del 1907 era rimasto l'unico brano a cui prendeva parte lo zio Yakusidé. Tagliandolo, i teatri evitavano di scritturare un cantante.

L'editore Ricordi non pubblicò mai la nuova versione, col risultato che oggi l'arietta non viene eseguita e, soprattutto, il concertato continua ad essere quasi sempre tagliato.

Trama

Sbarcato a Nagasaki,all'inizio del XX secolo, Pinkerton (tenore), ufficiale della marina degli Stati Uniti, per vanità e spirito d'avventura si unisce in matrimonio, secondo le usanze locali, con una geisha quindicenne di nome Ciò Ciò San, (giapponese: Chōchō-san), termine giapponese che significa Madama (San) Farfalla (蝶 Chō?), in inglese Butterfly (soprano), acquisendo così il diritto di ripudiare la moglie anche dopo un mese; così infatti avviene, e Pinkerton ritorna in patria abbandonando la giovanissima sposa. Ma questa, forte di un amore ardente e tenace, pur struggendosi nella lunga attesa accanto al bimbo nato da quelle nozze, continua a ripetere a tutti la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell'amato.

Pinkerton infatti ritorna dopo tre anni, ma non da solo: accompagnato da una giovane donna, da lui sposata regolarmente negli Stati Uniti, è venuto a prendersi il bambino, della cui esistenza è stato messo al corrente dal console Sharpless (baritono), per portarlo con sé in patria ed educarlo secondo gli usi occidentali. Soltanto di fronte all'evidenza dei fatti Butterfly comprende: la sua grande illusione, la felicità sognata accanto all'uomo amato, è svanita del tutto. Decide quindi di scomparire dalla scena del mondo, in silenzio, senza clamore; dopo aver abbracciato disperatamente il figlio, si uccide (secondo l'usanza giapponese denominata jigai) con un coltello tantō pervenutole in eredità dal padre e con il quale lo stesso aveva commesso seppuku.

Organico orchestrale

La partitura di Puccini prevede l'utilizzo di:

3 flauti (III. anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti
4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, trombone basso
timpani, tamburo, triangolo, piatti, tam-tam, grancassa, campanelli a tastiera, tam-tam giapponesi (ad libitum)
arpa
archi

Da suonare sul palco:

campanella, campane tubolari, campanelli giapponesi, viola d'amore, fischi d'uccelli, tam-tam, tam-tam grave
Da notare che la campanella sul palco viene suonata da Suzuki durante la preghiera "E Izaghi ed Izanami", all'inizio del secondo atto.
La viola d'amore serve a sostenere discretamente l'intonazione del coro (che in quest'opera esclude le voci gravi maschili) durante il celebre "coro a bocca chiusa".
I fischi d'uccelli vengono eseguiti di solito su appositi strumenti simili a soffietti muniti di fischietti.

Curiosità

Il primo soprano giapponese al mondo ad interpretare il personaggio di Cio-Cio-San fu Tamaki Miura che si esibì in vari teatri europei nel 1920 ed italiani negli anni 1930 e 1931.

Pur avendo fatto molte ricerche sul mondo del Giappone, Puccini ha completamente sconvolto, per necessità drammaturgiche, le usanze tipiche delle geisha, iniziando dal dare questo ruolo alla protagonista, in realtà troppo giovane per essere già arrivata alla cerimonia di "erikae", al massimo era una maiko che aveva passato la cerimonia di "mizuage".

Nel 1974 il regista e commediografo Ruggero Rimini scrisse il dramma "La Storia di Madama Butterfly - Un bel di' vedremo", messo in scena l'anno successivo con la Compagnia Il Centro di Lucca, diretta dall'impresario e presidente della Versiliana, Franco Martini; scene di Lele Luzzati, costumi di Santuzza Cali'. Nel ruolo di Puccini, l'attore romano Gabriele Antonini. Oltre ventanni dopo, nel 1998, la Compagnia stabile del Dramma Italiano di Fiume (Croazia) riporterà in scena il dramma con la regia di Peter Selem, le scene di Raffaele Del Savio, i costumi di Dora Argento, le luci di Deni Šesnić e le coreografie di Antun Marinić. Giacomo Puccini era Claudio Trionfi.

L'inno nazionale degli Stati Uniti d'America che compare svariate volte all'interno dell'opera, in realtà, ai tempi di Puccini era l'inno della Marina degli Stati Uniti d'America. Bisognerà attendere il 1931 affinché tale inno, con una risoluzione del congresso, diventi l'inno nazionale statunitense.

Arie famose

Dovunque al mondo, aria di Pinkerton (atto primo)

Quanto cielo! Quanto mar!, entrata di Butterfly con coro femminile (atto primo)

Viene la sera … Bimba dagli occhi pieni di malìa … Vogliatemi bene, un ben piccolino, duetto tra Butterfly e Pinkerton (atto primo)

Un bel dì vedremo, romanza di Butterfly (atto secondo)

Coro a bocca chiusa (atto secondo)

Addio fiorito asil, romanza di Pinkerton (atto terzo - assente nella prima versione)

O a me sceso dal trono, aria di Butterfly (atto terzo).

fonte: Wikipedia

CORO A BOCCA CHIUSA

venerdì 25 dicembre 2015

così fan tutte



« È la fede delle femmine come l'Araba fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa! »

(Don Alfonso)

ossia La scuola degli amanti (K 588) è un'opera buffa in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart.

È la terza ed ultima delle tre opere italiane “buffe” scritte dal compositore salisburghese su libretto di Lorenzo da Ponte (da Le metamorfosi di Ovidio e da La grotta di Trofonio di Giovanni Battista Casti). Fu commissionata dall’imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena in seguito alle felici riprese viennesi (1788-1789) di Le nozze di Figaro e Don Giovanni.

La prima rappresentazione ebbe luogo al Burgtheater di Vienna il 26 gennaio 1790 con Adriana Ferraresi Del Bene e Francesco Benucci diretta dal compositore.

Del 1º maggio 1791 è la prima al Mainzer Nationaltheater di Francoforte di Liebe und Versuchung, nella traduzione tedesca di Karl David Stegmann e Heinrich Gottlieb Schmieder e dell'11 maggio la ripresa al Nationaltheater di Magonza.

Al Teatro alla Scala di Milano la prima fu il 19 settembre 1807, diretta da Alessandro Rolla e con Teresa Belloc-Giorgi.

Nel Regno Unito la prima fu a Londra, il 19 maggio 1811 all'Her Majesty's Theatre in Haymarket, con Teresa Bertinotti-Radicati.

Nel 1816 avviene la prima nel Teatro Carignano di Torino.

Al Wiener Staatsoper la première è stata il 18 ottobre 1872 e fino al 2014 ha avuto 379 recite.

Negli Stati Uniti la première è stata al Metropolitan Opera House di New York il 24 marzo 1922 con Giuseppe De Luca e Lucrezia Bori e fino al 2010 è stata rappresentata 178 volte.

Al Teatro La Fenice di Venezia la prima è stata nel 1934 nella trasferta dell'Opera di Stato di Vienna diretta da Clemens Krauss.

Al Glyndebourne Festival Opera va in scena nel 1934 diretto da Fritz Busch e fino al 2010 è stata in cartellone per 32 stagioni risultando l'opera maggiormente eseguita.

Al Grand Théâtre di Ginevra va in scena nel 1945 con Giulietta Simionato.

Al Teatro Regio di Torino va in scena nel 1946 diretta da Otto Ackermann con la Simionato, Emilio Renzi ed Enrico Molinari; allestimenti successivi vanno in scena negli anni: 1966, 1975, 1984, 2003 e 2012 con Carmela Remigio e Carlo Lepore.

Al Royal Opera House, Covent Garden di Londra la première è stata nel 1947 nella trasferta dell'Opera di Stato di Vienna.

Al Festival di Salisburgo va in scena nel 1947 con i Wiener Philharmoniker, Sena Jurinac, Hilde Güden, Anton Dermota ed Erich Kunz diretti da Josef Krips.

Al King's Theatre di Edimburgo va in scena nel 1948 con Kunz, Mariano Stabile (cantante) e la Güden diretti da Vittorio Gui per la Glyndebourne Festival Opera.

Al Teatro Verdi (Trieste) va in scena nel 1950.

Alla San Francisco Opera va in scena nel 1956 con Elisabeth Schwarzkopf.

All'Opera di Santa Fe (Nuovo Messico) va in scena negli anni 1957, 1958, 1962, 1969, 1975, 1977, 1988, 1990, 1997, 2003 e 2007.

Nel 1968 avviene la prima nel Teatro Comunale di Firenze diretta da Thomas Schippers con Mariella Adani, Renato Capecchi e Nicola Rossi-Lemeni.

A Bilbao va in scena nel 1997 con Barbara Frittoli e Natale De Carolis.

La trama

Atto primo

In una bottega di caffè a Napoli, siedono i due ufficiali Ferrando e Guglielmo, che vantano la fedeltà delle loro fidanzate, Dorabella e Fiordiligi, sorelle.
Il loro amico Don Alfonso, anch'egli presente, li contraddice affermando, dandosi come sempre arie da filosofo cinico, che la fedeltà femminile non esiste (tutti sanno che c'è ma nessuno sa dov'è) e che, se si presentasse l'occasione, le due innamorate dimenticherebbero subito i loro fidanzati e passerebbero a nuovi amori.
A seguito di questa dichiarazione, i due intendono sfidarlo a duello per difendere l’onore delle future spose.
Don Alfonso scommette cento zecchini per provare ai due amici che le fidanzate non sono diverse dalle altre donne: per un giorno, Ferrando e Guglielmo dovranno attenersi ai suoi ordini.
Intanto nel giardino della loro casa sul golfo Fiordiligi e Dorabella contemplano sognanti i ritratti dei fidanzati, ma poi si preoccupano perché sono già le sei del pomeriggio e i due amanti non sono ancora venuti a trovarle, come fanno di solito tutti i giorni.
Ad arrivare è invece Don Alfonso, che reca loro una notizia terribile: i fidanzati sono stati convocati al fronte e devono partire all’istante. Arrivano Ferrando e Guglielmo e fingono anche loro di dover partire.
La cameriera Despina, complice di Don Alfonso, espone alle sorelle le proprie idee circa la fedeltà maschile ed esorta Fiordiligi e Dorabella a "far all’amor come assassine": i fidanzati al fronte faranno altrettanto. Don Alfonso cerca l’aiuto di Despina, promettendole venti scudi se insieme riusciranno a far entrare nelle grazie delle sorelle due nuovi pretendenti.
Gli stessi Ferrando e Guglielmo si presentano allora travestiti da ufficiali albanesi.
Le padrone irrompono furenti per la presenza degli sconosciuti e i finti albanesi si dichiarano spasimanti delle sorelle. Don Alfonso presenta gli ufficiali come Tizio e Sempronio, suoi cari amici.
Alle loro rinnovate e caricaturali offerte d’amore, Fiordiligi risponde che serberanno fedeltà agli amanti fino alla morte. Fiordiligi e Dorabella si ritirano.
Don Alfonso si allontana con gli albanesi, che poco lontano fingono di suicidarsi per il dolore bevendo del veleno.
Don Alfonso finge di andare in cerca di un medico e lascia i due agonizzanti davanti alle esterrefatte sorelle, che iniziano a provare compassione.
Arriva Despina travestita da medico, declamando frasi in un latino maccheronico, e fa rinvenire gli albanesi toccandoli con una calamita. I finti albanesi rinnovano le dichiarazioni di amore e abbracciano le donne.
Despina e Don Alfonso guidano il gioco esortando le donne ad assecondare le richieste dei nuovi spasimanti resuscitati, i quali si comportano in modo molto passionale.
Quando i due pretendono un bacio, Fiordiligi e Dorabella si infiammano indignate e rifiutano.

Atto secondo

Nella loro camera Fiordiligi e Dorabella vengono convinte da Despina a "divertirsi un poco, e non morire dalla malinconia", senza mancare di fede agli amanti, s’intende. Giocheranno, nessuno saprà niente, la gente penserà che gli albanesi che girano per casa siano spasimanti della cameriera. Resta solo da scegliere: Dorabella, che decide per prima, vuole Guglielmo, e Fiordiligi apprezza il fatto che le spetti il biondo Ferrando.

Nel giardino sul mare i due albanesi hanno organizzato una serenata alle dame, i suonatori e i cantanti arrivano in barca. Don Alfonso e Despina incoraggiano gli amanti e le donne a parlarsi e li lasciano soli. Fiordiligi e Ferrando si allontanano, suscitando la gelosia di Guglielmo, che offre un regalo a Dorabella e riesce a conquistarla. Fiordiligi è sconvolta, capisce che il gioco si è mutato in realtà. Quando Ferrando si accomiata ella ha un attimo di debolezza e vorrebbe richiamarlo, poi rivolge il pensiero al promesso sposo Guglielmo e si proclama a lui fedele. Questi è impacciato nel comunicare a Ferrando che Dorabella ha ceduto facilmente, ma è felice del fatto che Fiordiligi si sia dimostrata "la modestia in carne", commentando l’infedeltà di Dorabella.

In casa, Dorabella esorta Fiordiligi a divertirsi. Fiordiligi decide di travestirsi da ufficiale e raggiungere il promesso sposo sul campo di battaglia: si fa portare delle vesti maschili, si guarda allo specchio, constata il fatto che cambiare abito significa perdere la propria identità; immagina di trovarsi già sul posto e che Guglielmo la riconosca, ma Ferrando la interrompe, e chiede la sua mano, rivolgendosi a lei con parole che probabilmente Guglielmo non le ha mai detto. Guglielmo ha assistito al dialogo, è furente, e anche Ferrando odia la sua ex fidanzata, ma Don Alfonso, che ha dimostrato quanto voleva, li esorta a finire la commedia con doppie nozze: una donna vale l’altra, meglio tenersi queste "cornacchie spennacchiate". Don Alfonso spiega di non voler accusare le donne, anzi le scusa, è colpa della natura se "così fan tutte".

Nella sala illuminata, con la tavola imbandita per gli sposi, Despina organizza i preparativi e il coro di servi e suonatori inneggia alle nuove coppie. Al momento del brindisi Fiordiligi, Dorabella e Ferrando cantano un canone, su un tema affettuoso, da musica da camera, mentre Guglielmo si mostra incapace di unirsi a loro e commenta: "Ah, bevessero del tossico / queste volpi senza onor!".
Il notaio (che è ancora Despina travestita) fa firmare il finto contratto nuziale. Ma un coro interno intona "Bella vita militar!" e le sorelle rimangono impietrite: tornano i fidanzati. Nascosti gli albanesi in una stanza, esse si preparano ad accogliere Ferrando e Guglielmo, che fingono di insospettirsi quando scoprono il notaio e il contratto. Don Alfonso si giustifica: ha agito a fin di bene, per rendere più saggi gli sposi. Le coppie si ricompongono come in origine e tutti cantano la morale: "Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende / da ragion guidar si fa".

Analisi dell'opera

L'architettura di questo dramma giocoso è edificata su un divertente gioco di simmetrie. Le due coppie originarie (Fiordiligi e Guglielmo, Dorabella e Ferrando) sono perfettamente speculari: al binomio soprano-baritono si oppone quello di mezzosoprano-tenore. A questo incrocio, lo scambio di coppie insito nella scommessa sembra portare ordine (al soprano si abbina perfettamente il tenore, mentre al mezzosoprano il baritono). A queste geometrie non sono estranei nemmeno i rimanenti personaggi (Don Alfonso e Despina) i quali, seppure non partecipino ai giochi amorosi, sono attivi spettatori e incitano i protagonisti alle nuove unioni, nonché ad una filosofia di vita meno rigorosa. Da notare come molti allestimenti registici abbiano altrettanto giocato sulle simmetrie e sulle specularità dell'opera. Un'ulteriore osservazione va fatta in merito al rapporto tra musica e libretto: sulle geometriche simmetrie del libretto di Lorenzo Da Ponte, attratto dal carattere giocoso dell'aneddoto, la musica mozartiana si ammanta di caratteri elegiaci, quasi tragici, e l'ironia del tardo-Mozart si trasforma in rassegnazione. Il personaggio di Fiordiligi è un vero esempio: già dall'aria "Come scoglio" si evince il suo carattere spigoloso, la sua virtù superiore a quella della spensierata sorella, e perfino il cedimento alla corte del travestito Ferrando si ammanta di toni disperati. Non da meno è l'aria "Un'aura amorosa" di Ferrando, il quale si presta alla scommessa del cinico amico nella speranza di celebrare, alla fine, la sua vittoria nella dolce compagnia della sua amata. Da non dimenticare sono anche i toni mesti e i violini appena pizzicati del saluto "Soave sia il vento", nonché l'addio che lo precede: le due dame sono convinte di non rivedere tanto presto i due fidanzati, crogiolandosi nel proprio dolore. Sembra, insomma, che la musica assuma un tono "agrodolce".
Sul versante letterario, difficile è rinvenire nelle fonti anteriori il tema qui dominante dello "scambio di coppia". Si ritiene unico antecedente di Così fan tutte (e della filosofia di Don Alfonso) l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto: nel canto XXVIII si legge di due amici che, appresa l'infedeltà delle loro donne, decidono di partire per sfogarsi in nuove esperienze amorose. Il viaggio-studio però rivela l'amara verità: anche le altre donne non sono più caste. Insomma: così fan tutte! Quivi si rinvengono inoltre i nomi di Fiordiligi, Doralice, Fiordispina, Guglielmo e Don Alfonso. Evidente è l'analogia tra la nostra Fiordiligi (che minaccia di morire sul campo di battaglia insieme al suo amato, per non compromettersi) e quella ariostesca, che muore come simbolo di estrema fedeltà. Una situazione analoga allo scambio di coppie di Così fan tutte si rinviene nell'opera di Antonio Salieri La grotta di Trofonio. Le protagoniste, Ofelia e Dori, scelgono i propri futuri mariti sulla base di profili caratteriali che sono opposti alle rispettive attitudini di vita: una scelta dettata dalla ragione e non dal cuore. Solo alla fine, si rivedranno delle proprie scelte e si ricomporranno con i rispettivi mariti sulla base delle giuste affinità caratteriali. Anche se qui lo scambio non riguarda i fidanzati ma i rispettivi caratteri, è evidente che il tema aveva solleticato la fantasia di Mozart e di Lorenzo da Ponte.

fonte: Wikipedia

UN'AURA AMOROSA

OVERTURE

mercoledì 23 dicembre 2015

l'incoronazione di Poppea

è un'opera lirica di Claudio Monteverdi, anche se, probabilmente, fu aiutato da alcuni collaboratori più giovani a comporre la musica dell'opera. Il libretto è di Gian Francesco Busenello.

Andò in scena nel 1642 al Teatro Santi Giovanni e Paolo di Venezia, con Anna Renzi e Baldassarre Ferri.

Trama

Prologo

Nel Prologo, Amore afferma la sua autorità su Virtù e Fortuna, affermando che egli stesso muove il mondo e i suoi sconvolgimenti politici. L'opera stessa ne è un esempio.

Atto I

Ottone, sotto la finestra di Poppea, spera di rivedere l'amata (E pur io torno qui), ma, scorgendo due guardie di Nerone addormentate, scopre che Poppea è amante dell'imperatore, e fugge disperato. Le due guardie si svegliano e maledicono l'amore tra Poppea e Nerone. Anche i due amanti si svegliano, e Nerone promette a Poppea che troverà un pretesto per divorziare da Ottavia.
Ottavia è afflitta dal tradimento di Nerone (Disprezzata regina), marito fedifrago e uccisore di metà della sua famiglia, e invano viene consolata da Seneca e dalla sua nutrice. Pallade Atena appare al filosofo, e gli predice la prossima fine. Nerone confida a Seneca di voler ripudiare Ottavia per sposare Poppea, e Seneca lo rimprovera per la sua relazione extraconiugale. Uscito il filosofo, Poppea chiede all'amato la morte di Seneca. Ottone rimprovera l'ormai ex amante di infedeltà, e cerca consolazione con Drusilla, una donna innamorata di lui.

Atto II

Dopo Pallade, anche Mercurio appare a Seneca predicendogli la prossima fine: e, infatti,sopraggiunge un liberto che gli ordina di suicidarsi, su comando dell'imperatore Nerone. Seneca si congeda dalla sua famiglia (Amici, è giunta l'ora), che si dispera per la sua morte, e si taglia le vene.
Dopo l'uccisione di Seneca, nella reggia Nerone festeggia con il poeta Lucano (Or che Seneca è morto), ma Ottavia dapprima chiede ad Ottone di uccidere Poppea, e di fronte ai suoi rifiuti arriva a minacciarlo. Ottone obbedisce, e chiede a Drusilla i suoi vestiti per introdursi più facilmente negli appartamenti di Poppea.
Negli appartamenti di Poppea, la donna esulta per la morte del vecchio filosofo e per la sua prossima ascesa al trono, e si addormenta, vegliata dalla fida nutrice Arnalta (Oblivion soave). Entra Ottone, pronto a uccidere la traditrice, ma interviene Amore in persona, che risveglia Poppea e Arnalta: la nutrice ordina ai servi di inseguire quella che sembra Drusilla, mentre Amore esulta per aver salvato la sua protetta

Atto III

Drusilla attende il ritorno di Ottone, prefigurando la morte della rivale (O felice Drusilla), ma viene raggiunta dai littori, guidati da Arnalta, che la conducono al cospetto dell'imperatore, con l'accusa di aver attentato alla vita di Poppea. Drusilla si assume tutte le responsabilità, per difendere l'amato, ma anche Ottone, di fronte a Nerone, afferma di aver agito senza l'aiuto di Drusilla, per ordine di Ottavia. Nerone, che finalmente ha trovato un pretesto per ripudiare la moglie, manda in esilio i due amanti e rassicura Poppea sulle sorti dell'ormai ex moglie.
Ottavia viene imbarcata su una nave durante un naufragio, e dà il suo addio a Roma (Addio, Roma), mentre la nutrice Arnalta esulta per l'incoronazione della pupilla. Il popolo acclama alla nuova imperatrice, e l'opera si chiude con un duetto tra i due novelli sposi (Pur ti miro - Pur ti godo).

fonte: Wikipedia

PUR TI MIRO PUR TI GODO

tutti contro tutti, ecco perché non nasce l’Euro-intelligence

Gli attentati parigini hanno riproposto una polemica ricorrente: ma perché non si fa l’Eurointelligence e, cioè, se non proprio una agenzia di intelligence della Ue, almeno uno stretto coordinamento delle agenzie nazionali? In effetti, se l’Europa fosse un unico Stato con un unico sistema di intelligence, ci sarebbe un apparato di vastissime proporzioni, secondo solo all’intelligence degli Usa. Sommando i soli dati dei primi 4 paesi dell’Unione (Uk, FranciaGermania e Italia) ci sarebbe un apparato forte di 28.841 uomini e di 8.265 milioni di euro annui (dati “Sole 24 Ore” del 25 novembre 2015). E invece, proprio la vicenda di Parigi ha dimostrato l’assenza o la scarsità anche del semplice scambio di dati fra due paesi vicini geograficamente come Belgio e Francia. Non si riesce neppure a mettere insieme una semplice banca dati, alimentata da contributi volontari delle singole intelligence. Come mai? In effetti, la cosa sembra piuttosto irrazionale e in molti reclamano, del tutto sterilmente, la nascita di una Eurointelligence. Che però non verrà fuori. Perché?
Su un piano astratto, possiamo cavarcela con una frase: l’intelligence è una delle funzioni della sovranità più gelosamente custodita da ogni Stato, per cui esige un rapporto esclusivo fra apparato informativo e autorità politica. Un coordinamento eurointelligencesovranazionale avrebbe invece l’effetto inevitabile di autonomizzare i servizi dai rispettivi governi. E già questo spiega il perché i governi non vedano mai di buon occhio questo genere di coordinamenti, consentendone il funzionamento quando proprio non se ne può fare a meno, come nel caso della Nato, e solo limitatamente all’intelligence militare o con mille restrizioni. Per cui, basterebbe chiedere un potenziamento della cooperazione in sede Nato, visto che gli americani sono nostri alleati (o no?!).
In concreto, la cosa si presenta di difficile attuazione per i contrasti di interesse fra i diversi paesi europei in particolare nell’area Medio Oriente-Nord Africa (Me-na): la Francia ha interessi forti in Africa occidentale e mal sopporta la concorrenza italiana in Algeria, per non dire della Libia; ha mire sulla Siria e, quindi, è da sempre ostile alla Turchia e si oppone al suo ingresso nella Ue; ha una posizione problematica sul conflitto israelo-palestinese, ha una posizione favorevole ai progetti di gasdotti russi nella zona. L’Inghilterra è ostile all’Italia per le questioni libiche, mentre ha posizioni opposte alla Francia sia per la Turchia sia per la questione dei gasdotti russi. Ha una posizione più sfumata sulla questione arabo-israeliana; ha forti interessi in Egitto, ma non per questo è disposta a rompere i legami con il Qatar che finanzia i Fratelli Musulmani; essendo contraria alla spartizione dell’Iraq, ha una politica prevalentemente filo-sunnita, per cui non vede di buon occhio le rivendicazioni indipendentiste sciite e curde.
La Germania è da sempre (con l’Olanda) il paese più filoisraeliano della Ue (per la nota questione del “debito morale” seguito alla Shoah); è molto perplessa sulla questione dell’ingresso della Turchia nella Ue, temendo una valanga di immigrati (sono già 5 milioni i turchi presenti in quel paese); sin qui non ha avuto una presenza significativa nelle questioni mediorientali, ma è interessata alla politica dei gasdotti russi (anche se momentaneamente sospesi per la questione ucraina). L’Italia ha interessi prevalenti in Libia (ora seriamente messi in pericolo) e ha buoni rapporti con gli algerini; ha speranze di consolidare la presenza petrolifera in Iraq oltre che di espandersi commercialmente in Turchia (di cui ha sempre caldeggiato l’ingresso nella Ue); è il paese tradizionalmente più filo-arabo della Ue e, di conseguenza il meno vicino ad Israele; attualmente è il paese più filo-russo dell’Unione, essendo da sempre favorevole ai progetti di gasdotti russi.
E potremmo aggiungere altro, ma già questo ci sembra sufficiente a dimostrare quale guazzabuglio di interesse orienti le politiche di ciascun paese e gran parte di queste politiche passano per i canali coperti dell’intelligence. Questo si riflette anche sulla partita del terrorismo, sia perché le questioni petrolifere o di strategia generale non sono così nettamente separabili da quelle del terrorismo, sia perché nella stessa gestione del problema della Jihad ci sono orientamenti opposti: gli italiani hanno sempre trattato per la liberazione degli ostaggi (sempre smentendolo), mentre inglesi e americani no (anche perché gli jihadisti Giannulinon hanno mai accettato alcun dialogo con loro); i francesi sono molto più intransigenti verso gli integralisti algerini (quello che era il Fis), mentre meno intransigenti sono stati gli italiani; così come è il caso di chiederci come mai Italia e Germania siano state, sinora, risparmiate dai grandi attentati che hanno colpito invece Inghilterra, Spagna, Francia, Danimarca.
E allora cosa si può pretendere, che gli italiani dicano agli altri con chi hanno trattato per Mastrogiacomo o la Sgrena? O che gli inglesi ci dicano cosa sanno dei traffici fra Isis e Turchia a costo di rompere con con Ankara? O che i tedeschi ci parlino degli eventuali compromessi per essere risparmiati? O che italiani e tedeschi riferiscano sulle attività delle rispettive industrie produttrici di armi e dei loro giochi proibiti? Se nascesse Eurointelligence, i vari servizi nazionali spenderebbero la maggior parte del loro tempo a spiarsi fra di loro o ad organizzare trappole recioproche. Lo fanno i servizi di uno stesso paese fra di loro, immaginiamoci di paesi diversi come quelli europei. Chi insiste a proporre l’Eurointelligence o non capisce assolutamente nulla del mondo dei servizi o è solo un ipocrita.
(Aldo Giannuli, “Perché non si fa l’Euro-intelligence?”, dal blog di Giannuli del 1° dicembre 2015).

fonte: www.libreidee.org

domenica 13 dicembre 2015

guerra contro la vita




di Gianni Lannes

 Ma quale democrazia se in nome di una presunta sicurezza collettiva, dopo attentati ad hoc, si restringono sempre più le libertà civili e aumenta il controllo totalitario? Le multinazionali che dominano il mondo e comandano a bacchetta i governi usano impunemente diverse armi di distruzione di massa che affamano, avvelenano ed uccidono milioni di persone in tempo di pace. Si va dalle tecnologie di produzione invasive, alla ristrutturazione delle economie di interi continenti a partire dall'Europa, con trattati coercitivi e manipolazioni dell'opinione pubblica a più livelli. E quando non  basta a dominare i popoli con il consenso veicolato dal consumo di merci, mandano in onda la guerra convenzionale nel terzo e quarto mondo, nonché quella ambientale in occidente. La finanza speculativa e predatoria non rispetta i limiti ecologici e morali. L'unica salvezza per il genere umano è passare dall'economia all'etica. La prima rivoluzione è interiore.

fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

dal Telegraph...

UNA ÉLITE SEGRETA HA CREATO LA UE PER COSTRUIRE UN GOVERNO MONDIALE

Dal Telegraph, un articolo dello storico Alan Sked ricostruisce la spinta all’adesione della Gran Bretagna al progetto della Ue come parte di un più grande disegno, portato avanti con l’inganno da una élite,   volto al superamento delle democrazie nazionali e alla costruzione di un super stato mondiale, con l’appoggio degli Stati Uniti e della Cia.
di Alan Sked *,  27 Novembre 2015
Gli elettori del referendum in Gran Bretagna devono capire che l’Unione europea sin dal primo giorno ha avuto lo scopo di costruire un superstato federale
Mentre cresce il dibattito intorno al prossimo referendum sulla UE, forse sarebbe saggio in primo luogo ricordare come la Gran Bretagna è stata portata all’adesione. Mi sembra che la maggior parte delle persone non abbia idea del perché uno dei vincitori della seconda guerra mondiale avrebbe dovuto non veder l’ora di far parte di questo “club”. Ed è un peccato, perché la risposta a questa domanda è la chiave per capire il motivo per cui l’Unione europea è andata così male.
La maggior parte degli studenti sembra avere l’idea che la Gran Bretagna fosse in difficoltà economica, e che la Comunità economica europea – come si diceva allora – sia stata il motore economico in grado di rilanciare la nostra economia. Altri sembrano credere che dopo la seconda guerra mondiale la Gran Bretagna avesse bisogno di riformulare la sua posizione geopolitica, dall’impero a una posizione più  realistica al centro dell’Europa. Nessuno di questi argomenti, tuttavia, ha realmente un senso.
Quando è arrivata la crescita, questa non è arrivata dalla UE. Dalle riforme dal lato dell’offerta di Ludwig Erhard nella Germania Ovest del 1948 alla privatizzazione dell’industria pubblica della Thatcher degli anni Ottanta, la crescita europea è il risultato delle riforme introdotte da singoli paesi, che poi sono state copiate anche nel resto dell’Europa. La politica dell’Unione europea è sempre stata irrilevante, o dannosa (come è avvenuto con l’euro).
Né la crescita britannica è mai veramente rimasta indietro rispetto a quella dell’Europa. A volte ha fatto un balzo in avanti. Negli anni ’50 l’Europa occidentale aveva un tasso di crescita del 3,5 per cento; negli anni ’60, era del 4.5 per cento. Ma nel 1959, quando entrò in carica Harold Macmillan, il tasso reale di crescita annuo del PIL britannico, secondo l’Ufficio nazionale di statistica, era quasi al 6 per cento. Ed era ancora quasi al 6 per cento quando de Gaulle pose il veto alla nostra prima domanda di adesione alla CEE, nel 1963.
Nel 1973, quando siamo entrati nella CEE, il nostro tasso di crescita nazionale annuo in termini reali toccava un record del 7,4 per cento. L’attuale cancelliere darebbe la vita per cifre simili. Quindi l’argomento economico non funziona affatto.
Che dire di quello geopolitico? Quale argomento, alla fredda luce del senno di poi, avrebbe potuto essere così convincente da indurci a dare un calcio ai nostri alleati del Commonwealth della seconda guerra mondiale per partecipare a una combinazione di Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Germania e Italia?
Quattro di questi paesi non avevano nessun peso internazionale. La Germania era occupata e divisa. La Francia, nel frattempo, aveva perso una guerra coloniale in Vietnam e un’altra in Algeria. De Gaulle era giunto al potere per salvare il paese dalla guerra civile. I più realisti certamente devono aver considerato questi stati come un gruppo di perdenti. De Gaulle, che era un grande realista, sottolineava come la Gran Bretagna aveva istituzioni politiche democratiche, rapporti commerciali globali, cibo a buon mercato dal Commonwealth, ed era una potenza mondiale. Perché avrebbe dovuto voler entrare nella CEE?
La risposta è che Harold Macmillan e i suoi consiglieri più stretti erano parte di una tradizione intellettuale che vedeva la salvezza del mondo in una qualche forma di governo mondiale basato su federazioni regionali. Era anche molto vicino a Jean Monnet, che credeva nella stessa idea. Fu quindi Macmillan che diventò il rappresentante del movimento federalista europeo nel governo britannico.
In un discorso alla Camera dei Comuni si fece fautore anche di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), prima che la cosa venisse effettivamente annunciata. In seguito si adoperò perché venisse firmato un trattato di associazione tra il Regno Unito e la CECA, e fu lui a garantire che un rappresentante britannico fosse inviato ai negoziati di Bruxelles che seguirono la Conferenza di Messina, che diedero vita alla CEE.
Alla fine degli anni ’50 portò avanti dei negoziati per un Associazione europea di libero che portasse all’adesione alla CEE. Poi, quando il generale de Gaulle cominciò a trasformare la CEE in un organismo meno federalista, si assunse il rischio di presentare una domanda di adesione piena della Gran Bretagna nella speranza di frustrare le ambizioni dei Gollisti.
Il suo scopo, in alleanza con gli Stati Uniti e i sostenitori europei di un ordine mondiale federalista, era quello di vanificare l’emergente alleanza franco-tedesca, che era vista come una alleanza tra nazionalismi,  francese e tedesco.
Monnet si incontrò segretamente con Heath e Macmillan in innumerevoli occasioni, allo scopo di facilitare l’ingresso britannico. Egli, infatti, era stato informato prima del Parlamento britannico dei termini in cui sarebbe stato inquadrato l’approccio britannico all’Europa.
Malgrado il parere espresso dal Lord Cancelliere, Lord Kilmuir, secondo il quale quell’adesione avrebbe significato la fine della sovranità parlamentare britannica, Macmillan trasse deliberatamente in inganno la Camera dei Comuni – e praticamente tutti gli altri, dagli statisti del Commonwealth ai colleghi di governo, e all’opinione pubblica – affermando che si trattava solo di negoziati commerciali di minore importanza. Cercò anche di ingannare de Gaulle, dandogli ad intendere di essere un anti-federalista a lui vicino, che avrebbe fatto in modo che la Francia, come la Gran Bretagna, ricevesse i missili Polaris dagli americani. De Gaulle comprese perfettamente chi aveva davanti,  e pose il veto al tentativo britannico di adesione.
Macmillan lasciò che Edward Heath portasse avanti il progetto, e Heath, insieme a Douglas Hurd, fece in modo – secondo i documenti di Monnet – che il Partito Tory diventasse un membro (segreto) del Comitato d’azione di Monnet per gli Stati Uniti d’Europa.
Secondo l’assistente e biografo di Monnet, Francois Duchene, più tardi sia i Laburisti che i Liberali fecero lo stesso. Nel frattempo il conte di Gosford, uno dei ministri di politica estera di Macmillan nella Camera dei Lord, in effetti comunicò alla Camera che l’obiettivo della politica estera del governo era il governo mondiale.
Il Comitato d’azione di Monnet ottenne anche sostegno finanziario da parte della CIA e del Dipartimento di Stato americano. L’istituzione anglo-americana era coinvolta nella creazione degli Stati Uniti d’Europa di tipo federale.
Oggi, è ancora così. Potenti lobby internazionali sono già al lavoro per cercar di dimostrare che il ritorno all’autogoverno democratico da parte della Gran Bretagna significherebbe la morte. I funzionari americani sono stati già istruiti per affermare che la Gran Bretagna sarebbe esclusa da qualsiasi accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e che il mondo ha bisogno del trattato TTIP sul commercio, su cui si basa la sopravvivenza della UE.
Fortunatamente, i candidati repubblicani negli Stati Uniti stanno diventando euroscettici e riviste come The National Interest pubblicano argomenti a favore del Brexit. La coalizione internazionale che sta dietro a Macmillan e Heath questa volta si troverà davanti a una situazione molto più difficile – soprattutto in considerazione delle evidenti difficoltà della zona euro, del fallimento della politica migratoria dell’UE e della mancanza di qualsiasi politica di sicurezza coerente.
Ancora più importante, essendo già stato ingannato una volta, sarà molto più difficile ingannare di nuovo il pubblico britannico.
Alan Sked è il primo fondatore di Ukip e docente di Storia internazionale presso la London School of Economics. Attualmente sta raccogliendo materiale per un libro di prossima pubblicazione sull’esperienza della Gran Bretagna all’interno della Ue.
http://vocidallestero.it/2015/12/01/telegraph-una-elite-segreta-ha-creato-la-ue-per-costruire-un-governo-mondiale/
fonte: alfredodecclesia.blogspot.it

venerdì 11 dicembre 2015

quando il motore s'ingolfa riparte la solfa (3)

oh pifferaio tragico,
tu che hai il potere di lasciare di stucco,
se desideri che risalga il picco,
svelaci il trucco.
Noi persone normali che leggiamo poco i giornali
non ci arriviamo, causa l'acciacco.
Usa un pretesto, che so,
la multinazionale del tabacco,
sferrerai l'attacco a chi ha aperto il pacco.

Egregio pifferaio comico,
le tue palline sono più piccole di quelle del flipper,
non hai la stoffa del leader,
come tanti scrivi sul computer,
sarà il mancato sviluppo
o forse la sindrome di super Pippo,
dove sta l'inghippo?
Ti isoli dal gruppo...
per risolvere i problemi rivolgiti al Gabibbo
o all'esperto Mariello Prapapappo,
gli escrementi hai scoperto, hai colto?
Mistero risolto!!!

La gente fa come le pare, comprendi?
Non è obbligata ad apporre commenti,
ogni volta lo pretendi! Minacci e offendi.
Cambia argomenti! Riceverai i complimenti!

E poi se non è sotto né sopra, che cos'é?
Una roba strana tipo corso di cucina tibetana?
Il blog non è una dimora,
è un servizio offerto dalla piattaforma,
se non sei a norma, tutto ritorna.

Perciò resta nel recinto testa di minchia,
sei stronzo o fai finta?
Sbrocchi e parti con gli insulti,
sei più volgare di un film per adulti.
Non hai fantasia,
piazzi la didascalia non tua...
non forzare il cervello altrimenti ti farai la bua.

Il comico Fubelli nel ruolo del secchione,
famosa la battuta da stallone:
"non ho mai schiacciato!"
Hai imparato?
Se schiacci, sarà una merda,
perché il tuo alito sa di quella


mercoledì 9 dicembre 2015

Paura del diverso

La conosco molto bene quella paura.
Per averla sentita sulla pelle.
Certo. L'ho sentita sempre meno di Soo. Ma l'ho sentita.
Lui non è musulmano. Non ha la pelle scura. Non ha la barba.
Però è "giallo". Ha gli occhi a mandorla, e la tipica faccia un po' schiacciata degli orientali, con un piccolo nasino da far invidia alle parigine.
Lui è un diverso.
Cinese lo hanno chiamato. In senso dispregiativo ovviamente. In fondo, a chi cavolo stanno simpatici quelli? (A me non tanto, sono sincera. Troppo ruvidi e incarogniti.).
Ma quello è stato il meno.
Potrei raccontare cose molto più pesanti vissute insieme a lui e che lui ha sempre affrontato con una calma olimpica.
Quante volte mi sono vergognata per "loro".
Un loro che, con la macro area dei cinesi, fa di tutti una razza. Pure un po' bastarda.
Eppure Soo non ha nulla del cinese, perché è coreano ovviamente.
È alto. Avete mai visto un cinese alto?
Io no, se non al cinema.
Poi ha i lineamenti più marcati dei cinesi. Come se la struttura ossea fosse più forte.
Poi certo. Hanno tutti il culo basso, ne convengo. Ma più che il culo basso è il torace lungo, e tutta quella pelle liscia senza peli tipica degli orientali.
Che palle. A me un po' di pelo piace e li sopra. Niente.
Però questa ve la racconto.
Quando decidemmo di andare a vivere insieme, la casa che avevamo scelto, non ci fu affittata perché il padrone di casa aveva il terrore che quel cinese (lui) e quel l'italiana lí (io), gli avremmo messo dentro nella migliore delle ipotesi un giro di prostitute italo cinesi, nella peggiore il più grosso laboratorio di cocaina, anfetamine, sanguinacci e alici sotto sale di tutto il nord Italia.
Io lo avrei denunciato, Soo...beh...calma olimpionica.
Certo. Se in questo momento storico di isteria bombereccia, Soo si fosse chiamato Mustafà, tutto quanto sopra apparirebbe ridicolo, ma a parte gli estremismi.
Soo è un diverso.
Non ci accomuna nulla.
Non abbiamo le stesse radici.
Non abbiamo gli stessi percorsi mentali.
Non vediamo le cose allo stesso modo.
Lui mangia alghe, tofu, e altre robe che non riconosco, io delle belle bistecche.
Le sue radici sono molto forti, perché è stato fortunato nonostante sia un coreano del nord.
Ma lui è nato dalle parte giusta, grazie a...no, questa non la racconto.
È stato fortunato perché non è fuggito da guerre. Carestie. Ninja tagliatori di teste. No. Molto piú tranquillamente, il padre per lavoro girava l' Europa e lui, Soo, ha deciso di fermarsi e cominciare l' università qui.
E parla l'italiano meglio di me, anche se con la erre ha qualche problema.
Eppure...
Lui è un cinese.
Anzi, un cinesaccio.
Pure con il cazzo piccolo secondo l'iconografia ufficiale.
Sia come sia.
Stamattina sul quotidiano il Mattino di Napoli ho letto questo titolo.
Più o meno.
Rapina in centro, ferito un ragazzo e un cingalese.

...

Attenzione. Ripeto.
Ferito un ragazzo e un cingalese.
Ma cosa vuol dire?
Il cingalese non è un ragazzo?
Cioè, che cos'è?
Un topo? Un vampiro? Putin sotto mentite spoglie?
Ma perché cingalese?

Io voglio tornare nel mio castello di ghiaccio.
Non ce la faccio più fra voi umani.
Presto, datemi un arcolaio che mi pungo.
Voglio essere svegliata fra 100 anni dal Divino.



lunedì 7 dicembre 2015

Impazzimento

Ma cosa diavolo sta succedendo in giro?
Veramente non  me ne capacito.
In Francia sta vincendo la destra, quella fissata, quella xenofoba global  universo e oltre, quella che della paura ne fa un cavallo di battaglia che non capisco come possa fare davvero presa.
Poi quella cranio lesa,  perché solo così mi viene da chiamarla, della deputata Usa, tal Michele Fiore (fonte Ansa.it), che più che una deputata sembra un attrice soft porno,  che si fa fotografare in tenuta natalizia con marito, figli, cane, gatto, avvoltoio e nonni, tutti armati fino ai denti.
Armi che pure Terminator prima versione, avrebbe giudicato eccessive, a meno che non sei faccia a faccia con uno dell'is, allora li vale tutto.
Quegli altri due fuori di testa che uccidono disabili, grazie al fatto che negli usa, cani e porci possono comprare una pistola.
E le cose si commentano da sé,  leggendo fuggevolmente le cronache degli stati uniti, dove chiunque può alzarsi al mattino e decidere di fare una strage, senza troppi sbattimenti  nel procurarsi un  arsenale adatto allo scopo.
Poi vedo Assad  sempre più  "ripulito", fra poco gli spunterà pure l'aurora sulla testa (si,l'aurora) e quegli altri due testosteronici  della minchia,  e scusate il francesismo, di Putin ed Erdogan, che si minacciano come ai bei tempi della cortina di ferro (anche se la controparte del killer russo non era certo la Turchia con le pezze al culo), scambiandosi accuse davvero pesanti (e anche credibili, purtroppo, nonostante gli strali di guerra del russo dopo l'attentato di Sharm).
E intanto Erdogan, distruggendo tutta la cultura e le riforme di Mustafa Kemal Ataturk di cui qualcuno dovrebbe regalargli la  biografia, e fargliela studiare pure a memoria, continua ad arrestare giornalisti, chiudere giornali e televisioni, di fatto istituendo una dittatura, nel silenzio di tutti.
E già. La vogliamo in Europa. Ottimo cuscinetto.
Poi mica è imbarazzante come Assad, che pure se gli ripuliscono  l'immagine comunque resta un assassino del suo popolo e un dittatore, quindi si dimetterà per forza, immagino anche che i metodi del suo amico fraterno Vladimir siano molto convincenti, e questo mi riporta all'isterismo collettivo che sta prendendo tutti.
Bombe di qui, bombe di là...
Ma basta isteria!
Basta!
Peggiora solo le cose.
Io tiro una bomba a te e tu ne tiri quattro a me.
che tra l'altro come osi, barbaro che non sei altro, vengo a portarti la democrazia, non sei contento?
Vedete?
Pure io salto da una cosa all'altra senza curarmi della logica, perché dopo gli attentati di Parigi vedo intorno non più sicurezza, ma più chiusura. Isolamento. Muri.
Non funziona così.  Non va bene così.
Sapete che vi dico?
Da non cattolica pure sbattezata...
Io sto con Francesco.

Cattiva, ti do il permesso di mettere una foto di Putin ( su cui giuro di non toccare più una canna in vita mia), di Erdogan (su cui giuro di non fare più pompini con il morso) e anche della deputata Usa, su cui non giuro niente perché la natura è già stata beffarda con lei e non voglio infierire.
Insomma, metti le foto che vuoi.
Ah...e se trovi errori correggi anche, grazie.
Sto scrivendo come al solito da smartphone e non rileggo.
Troppa fatica.
:)

domenica 6 dicembre 2015

il flauto magico



(K 620), titolo originale Die Zauberflöte, è un Singspiel in due atti musicato da Wolfgang Amadeus Mozart, su libretto di Emanuel Schikaneder e con il contributo di Karl Ludwig Giesecke.

La prima rappresentazione avvenne al Theater auf der Wieden di Vienna il 30 settembre 1791 con lo stesso Schikaneder (Papageno) e Josepha Hofer (Regina della notte) diretti dal compositore.

Il brano ebbe molto successo ma purtroppo Mozart morì nello stesso anno in cui venne interpretato la prima volta.

Trama

Atto I

L'azione si svolge in una zona che per alcuni aggettivi sembra l'Egitto, trasfigurato in una dimensione fantastica e fiabesca.

Il principe Tamino sta fuggendo da un serpente e gli vengono incontro le tre dame della Regina della notte per aiutarlo. Le dame lo presentano alla Regina della notte, Astrifiammante, che lamenta il dolore per la scomparsa della figlia Pamina, rapita dal malvagio Sarastro.

Tamino, affascinato da un ritratto della giovane, decide di andare con l'uccellatore Papageno a salvare la principessa. Le Dame consegnano a Tamino un flauto magico e un glockenspiel fatato a Papageno. Tamino e Papageno si incamminano verso il tempio di Sarastro, sotto la guida di tre fanciulli. Papageno giunge per primo al tempio e penetra persino nella stanza dove il perfido moro Monostatos tiene imprigionata Pamina.

Papageno e Pamina, scacciando Monostatos, tentano la fuga. Tamino frattanto giunge di fronte a tre templi (Natura, Ragione e Saggezza) e si confronta con un sacerdote che, oltre a smontare l'immagine di un Sarastro cattivo, pone domande a Tamino sul suo essere uomo. Tamino, sconcertato e disorientato, suona il flauto magico nella speranza di far comparire Pamina, invano. Trascinato da Monostatos, viene successivamente condotto al cospetto di Sarastro (alla presenza anche di Pamina) che lo libera e gli dice che, se vorrà entrare nel suo regno con Papageno, dovrà purificarsi superando tre prove. Tamino e Pamina si riconoscono e subito si amano.

Atto II

Sarastro invoca Iside ed Osiride affinché aiutino spiritualmente Papageno e Tamino, che quindi iniziano la prima prova: dovranno stare in silenzio, qualunque cosa accada. Monostatos si avvicina furtivamente a Pamina addormentata: vorrebbe baciarla, ma è cacciato da Astrifiammante che, porgendo un pugnale alla figlia, le ordina di vendicarla uccidendo Sarastro. Monostatos, non visto, ha ascoltato tutto e minaccia di rivelare l’intrigo se Pamina non l’amerà. Sopraggiunge Sarastro; dopo aver scacciato Monostatos, si rivolge paternamente a Pamina e le spiega che solo l’amore, non la vendetta, conduce alla felicità.

Pamina cerca di parlare a Tamino, ma il giovane - essendo ancora sottoposto alla prova del silenzio - non può. Lei crede che non l'ami più, e, colta dal dolore, medita il suicidio, ma viene fermata da tre ragazzi che le confidano che Tamino è ancora innamorato di lei. Durante questa prova, Papageno parla con una vecchina che, poco più tardi, si rivelerà essere Papagena, una donna simile a lui e di cui subito si innamora. Tamino e Pamina superano le due successive prove: l'attraversamento dell'acqua e del fuoco. Ma subito dopo arrivano Astrifiammante, Monostatos e le tre dame per sconfiggere Sarastro. Un terremoto li fa inabissare e così si celebra la vittoria del bene sul male. Pamina e Tamino vengono accolti nel regno solare di Sarastro.

Forme musicali

Nella partitura del Flauto magico, un Singspiel tedesco come Il ratto dal serraglio, si possono identificare rimandi a varie forme e generi musicali, fino a vere e proprie citazioni:

L'Ouverture, ad esempio, riprende il tema principale della sonata in Si bemolle Maggiore di Muzio Clementi. Si può anche notare l'utilizzo di alcune caratteristiche tipiche dell'Ouverture francese, costituita da un'introduzione lenta, in un marcato ritmo puntato, seguita da un vivace movimento in stile fugato.

Lied viennese, bipartito in luogo della tripartizione tipica dell’aria italiana (ad es. "Ein Mädchen oder Weibchen" di Papageno);

Corale luterano, fuga e contrappunto con particolare riferimento all'arte di Bach e Handel che Mozart aveva potuto approfondire tramite il Barone Gottfried van Swieten (ad es. Ouverture);

Corale luterano variato, sul modello specificamente bachiano (Melodia originale Ach Gott vom Himmel sieh darein) scena degli armigeri;

Aria italiana, sia dell'opera buffa sia dell'opera seria (aria di Pamina e arie della Regina della notte);
Recitativo accompagnato secondo il modello di Gluck (scena dell'Oratore).

Struttura dell'opera

Ouverture

Atto primo

Quadro I Prologo in terra

N. 1 Introduzione Zu Hilfe! Zu Hilfe! Sonst bin ich verloren (Tamino, le tre dame)
N. 2 Aria Der Vogelfänger bin ich ja (Papageno)
N. 3 Aria di Tamino Dies Bildnis ist bezaubernd schön (Tamino)
N. 4 Recitativo e Aria O zittre nicht, mein lieber Sohn! - Zum Leiden bin ich auserkoren (Regina della notte)
N. 5 Quintetto Hm Hm Hm (Tamino, Papageno, le tre dame)

Quadro II Viaggio verso la saggezza

N. 6 Terzetto Du feines Täubchen, nur herein! (Monostatos, Pamina, Papageno)
N. 7 Duetto Bei Männern, welche Liebe fühlen (Pamina, Papageno)
N. 8 Finale primo Zum Ziele führt dich diese Bahn (i tre fanciulli, Tamino)

Atto secondo

Quadro I Tempio di Sarastro

N. 9 Marcia dei Sacerdoti
N. 10 Aria con coro O Isis und Osiris (Sacerdoti, Sarastro)

Quadro II Intermezzo ambiguo

N. 11 Duetto Bewahret euch vor Weibertücken (Secondo sacerdote e Sarastro)
N. 12 Quintetto Wie? Ihr an diesem Schreckensort? (Le tre dame, Tamino, Papageno)

Quadro III Intermezzo notturno

N. 13 Aria Alles fühlt der Liebe Freuden (Monostatos)
N. 14 Aria Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen (Regina della notte)
N. 15 Aria di Sarastro In diesen heil'gen Hallen (Sarastro)

Quadro IV Prove dell'aria e del silenzio

N. 16 Terzetto Seid uns zum zweitenmal willkommen (I tre fanciulli)
N. 17 Aria Ach, ich fühl's, es ist verschwunden (Pamina)

Quadro V Saggezza di Sarastro e saggezza di Papageno

N. 18 Coro O Isis und Osiris, welche Wonne! (Sacerdoti)
N. 19 Terzetto Soll ich dich, Teurer, nicht mehr seh'n? (Pamina, Tamino, Sarastro)
N. 20 Aria Ein Mädchen oder Weibchen wünscht Papageno sich! (Papageno)
N. 21 Duetto Pa pa pa pa (Papageno, Papagena)

Quadro VI Prove dell'acqua e del fuoco. Vittoria del bene

N. 22 Finale secondo Bald prangt, den Morgen zu verkünden (i tre fanciulli, Pamina, Tamino)
N. 23 Stretta del finale Nur stille, stille, stille (Monostatos, Regina, Sarastro, coro)

Personaggi

Tamino

Tamino (tenore lirico) appare nell'opera sin dal primo momento, quando le tre Dame della Regina della notte lo salvano da un mostro. È un personaggio pacato, controllato e innamorato di Pamina.

Tamino appare anche nei due film ispirati alla grande opera mozartiana: Il flauto magico di Ingmar Bergman e Il flauto magico di Kenneth Branagh. In quest'ultimo veste i panni di un coraggioso soldato che viene salvato dalle tre Dame dal gas velenoso sparso tra le trincee, invece che dal mostro della versione tradizionale.

Pamina

Pamina (soprano) è una giovane principessa, figlia della Regina della Notte, è innamorata di Tamino. Quest'ultimo la salva dalle forze del male e la rende felice.

Tamino e Pamina sono nomi di origine egiziana, derivano da Ta-Min e Pa-Min, cioè servo e serva del dio Min, antica divinità dell'Alto Egitto, protettore della fecondità e della fertilità.

Papageno

È un giovane uccellatore, al servizio della Regina della notte, che suona il flauto di Pan a cinque canne ed è alla ricerca di una donna da amare, una Papagena che appare solo alla fine dell'opera. Funge da aiutante nei confronti del principe Tamino, al quale dice, mentendo, di averlo salvato da un serpente (ucciso invece dalle Tre dame che, per punizione, gli chiudono la bocca con un lucchetto). All'inizio dell'opera appare come un bugiardo e un codardo, ma in seguito si rivelerà di buon cuore e piuttosto saggio.

La sua parte è sostenuta da un baritono lirico - brillante, il primo dei quali fu lo stesso librettista Schikaneder.

Papagena

È una giovane uccellatrice, interpretata da un soprano. Questa ragazza ha un obiettivo: conquistare il cuore di Papageno, lo spavaldo uccellatore. Si presenta a lui per la prima volta camuffata in una vecchietta che gli offre un bicchere di vino dicendogli che lei sarebbe diventata la sua compagna. Papageno, che non crede alle storie che racconta la vecchia signora, continua il suo cammino spensierato, ma più tardi scoprirà chi è veramente quell'anziana donna...

Sarastro

Sarastro (basso profondo) all'inizio viene dipinto come un crudele tiranno poiché ha rapito Pamina, ma egli lo ha fatto per proteggerla dalla crudele madre, l'astrifiammante Regina della Notte. Quest'ultima minaccia Pamina, tramite la famosa aria Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen, ordinandole di uccidere Sarastro e di consegnarle il prodigioso Cerchio Settemplice solare, il quale protegge Sarastro e i suoi discepoli, gli Iniziati.

Intona due arie: O Isis und Osiris e In diesen heil'gen Hallen.

La Regina della Notte

L'astrifiammante Regina della Notte (Soprano di coloratura), è la madre della principessa Pamina, rapita da Sarastro, per proteggerla dalla madre stessa.

È una donna crudele che governa i suoi sudditi in un modo spietato facendoli spiare dalle tre Dame che ha al suo servizio.

Il suo unico scopo è la conquista del mondo. Per realizzare il suo sogno però ha bisogno del Settemplice Cerchio Solare, custodito da Sarastro. Per questo chiede a sua figlia, la principessa Pamina, di uccidere Sarastro. Come tono di voce è un soprano leggero. Morirà con Monostatos e le tre Dame in un terremoto al palazzo di Sarastro.

Nel primo atto la Regina usa le tre Dame per esortare Tamino e Papageno a partire per il salvataggio della figlia.

La regina della notte intona la famosissima aria Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen (La vendetta dell'inferno ribolle nel mio cuore), in cui intima alla figlia di uccidere Sarastro.

Monostatos

Monostatos è il (tenore) moro che insidia Pamina per costringerla ad amarlo. Dapprima alleato di Sarastro, lo tradisce aiutando la Regina della Notte in cambio della mano della figlia di quest'ultima. Morirà nel castello di Sarastro a causa di un terremoto con la regina e le tre Dame.

Le tre Dame

Sono le tre donne al servizio della Regina della Notte. Sono incaricate di spiare i poveri sudditi della crudele monarca e di consegnare all'uccellatore Papageno birra, pane e fichi, a patto che egli catturi uccelli per la sovrana. All'inizio dell'opera le tre dame appaiono tre brave donne che salvano il principe Tamino perché innamoratesi di lui, però continuando nell'opera si capisce che sono tre tentatrici, il cui unico scopo è quello di aiutare la loro regina nella distruzione di Sarastro. Moriranno con la regina e Monostatos nel castello di Sarastro a causa di un terremoto.

Le prime due dame sono rispettivamente due ruoli da soprano mentre la terza dama è un ruolo da contralto.

Elementi culturali

Vari elementi culturali sono confluiti nel Flauto magico:

Il fiabesco-meraviglioso settecentesco (flauto e Glockenspiel dalle proprietà magiche, apparizioni di animali e di genietti, montagne che si aprono svelando meravigliose sale);

L’illuminismo e il giusnaturalismo (aspirazione dell'uomo alla saggezza, alla ragione e al rapporto armonico con la natura);

La massoneria (riti d’iniziazione per accedere ai misteri e alla luce, invocazioni delle divinità egizie Iside e Osiride, comunità dei seguaci di Sarastro, ricca simbologia con particolare riferimento ai numeri e alla misteriosofia);

L’Hanswurst e il Kasperl popolar-viennese (l’umile, il popolaresco, il comico, il semplice, il naturale e il bonario che sono racchiusi nella figura di Papageno).

Il flauto magico è stato interpretato utilizzando varie chiavi di lettura: oltre che come fiaba per bambini, è stato letto anche come racconto massonico o come storia a contenuto illuminista.

La vicenda racconta però anche lo sviluppo di un individuo che, da giovane, ignorante e debole che era, diventa saggio, sapiente e uomo attraverso la scoperta dell’amore e il superamento di varie prove iniziatiche.

Durante questo percorso formativo, il giudizio di Tamino sui due Regni nemici si capovolge: il bene, inizialmente identificato con il Regno lunare della Regina della notte in quanto vittima del rapimento della figlia condotto da Sarastro, finirà per essere identificato nel Regno solare di quest’ultimo, inizialmente giudicato come malvagio. Nel Regno di Sarastro, Tamino troverà ragione e saggezza. Si scoprono così le buone intenzioni di Sarastro nel portare a sé Pamina, non togliendole libertà ma sottraendola con intento protettivo alla malvagia madre onde poterla destinare al giovane predestinato ed eroe della vicenda, ovvero lo stesso Tamino.

Oltre ad un’interpretazione incentrata sulla contrapposizione orizzontale fra i due Regni, si può interpretare in un’ottica verticale dove la contrapposizione è fra il potere, l'autorità, i Regni e il sotto-mondo popolare, semplice e genuino rappresentato da Papageno. L’antitesi è allora fra il concreto uomo-animale allo stato naturale e l’eletto, aristocratico ed astratto Tamino. Il Regno della luna e quello del sole sono nemici ma, allora, sostanzialmente uguali.

Entrambi rappresentano l’autorità e l’ordine, mentre Papageno - che non ha superato le prove iniziatiche ma che di ciò s'infischia beatamente - è l’uomo di tutti i giorni capace di servire allo stesso modo la Regina della notte come Sarastro, consapevole che la bontà e la felicità, seppur materiale, stanno dalla sua parte.

La Rivoluzione Francese porterà a "politicizzare" i personaggi: la perfida Regina della Notte sarà associata all'odiato Ancien Régime, Sarastro all'Illuminismo.

Oltre al filone razionalista della cultura massonica del '700, l’opera documenta un filone caratterizzato dal misticismo e dall’attrazione per i misteriosi scenari dell’Oriente. Mozart vi affronta tematiche tipiche della cultura massonica, e a lui care: morte e rinascita, rapporto tra terreno e ultraterreno, iniziazione e prova come cammino per giungere all'amore universale.

Alcune caratteristiche di questo viaggio iniziatico hanno suggerito anche, alla dantista Maria Soresina, la possibilità di un parallelo con il percorso di Dante Alighieri nella Divina Commedia, che viene proposta come una diversa chiave di lettura dell'opera.

fonte: Wikipedia

LA REGINA DELLA NOTTE

PAPAGENO E PAPAGENA

dominare il desiderio per non dominare l'altro


Intervista di Philippe Roger
Roland Barthes, lei ha appena pubblicato un libro intitolato Frammenti di un discorso amoroso. Quando si è professori al Collège de France, questo suona serio?

No, è vero. Se avessi detto o scritto: “il sentimento amoroso”, questo sarebbe già suonato più serio, perché avrebbe fatto appello a qualcosa di importante nella psicologia del XIX secolo. Ma la parola “amore” è maneggiata da tutti, è in tutte le canzoni, e amour può far rima con toujours come tutti sanno. Allora, evidentemente, parlare dell’“amore”, così, non sembra serio.

È un libro molto personale, ma vi domina tuttavia un riferimento: il Werther di Goethe. Questo romanzo, che scatenò la famosa ondata di suicidi “alla Werther” è del 1774. Non ci sono dunque più, oggi, grandi romanzieri dell’amore.

Ci sono, certo, delle descrizioni di sentimenti amorosi, ma è molto raro che il romanzo contemporaneo descriva una passione. Almeno non ne ho il ricordo.

L’amore è fuori moda?

Sì, senza alcun dubbio. L’amore è fuori moda negli ambienti intellettuali. Dal punto di vista dell’“intellighenzia”, di quell’ambiente intellettuale che è il mio, in cui io vivo, di cui mi nutro… e che amo, ho avuto la sensazione di fare un atto di scrittura abbastanza fuori moda.

Ma al di fuori di questo ambiente intellettuale?

C’è anche un sentimento popolare che si esprime nelle osservazioni, negli scherzi, nelle battute salaci. Questi svalutano il soggetto innamorato che viene assimilato a un lunare, a un folle. Bisogna però dire che le svalutazioni enormi di cui soffre l’amore sono quelle imposte dai linguaggi teorici. O non ne parlano affatto, come il linguaggio politico, il linguaggio marxista, o ne parlano con sottigliezza, ma in maniera riduttiva, come la psicoanalisi. Che cos’è questa “svalutazione” di cui oggi soffre l’amore? L’amore-passione (quello di cui ho parlato) non è “ben visto”; lo si considera come una malattia di cui bisogna guarire; non gli si attribuisce, come una volta, un potere di arricchimento.

Jane Birkin e Serge Gainsbourg

Questo innamorato “svalutato” chi è, ora che non lo si riconosce più dal “costume di Werther”?

Sì, l’abito blu e il gilet giallo…

Come fare? Da che cosa lo riconosce lei?

Perfidamente, dirò che ho scritto il libro per poterlo riconoscere. Per ricevere delle lettere e delle confidenze che mi permettano di pensare, ora, che ci sono molti più soggetti amorosi di quanti non pensassi…

E se non le scrive?

Non si riconosce esteriormente. Perché nella vita urbana attuale non c’è più nessuna delle pose dell’innamorato patetico.

Per “pose” intende la scena del balcone, per esempio? “Giulietta abita al venticinquesimo piano, non c’è più un Romeo…” Era in un’anti-canzone d’amore, poco tempo fa.

È questo. Non c’è più la scena del balcone. Ma non si ha neppure più la morfologia dei tratti dell’innamorato, le sue espressioni, la sua mimica; laddove nel XIX secolo c’erano certe litografie, certe pitture, incisioni, che lo rappresentavano. Quindi non si può riconoscere un innamorato per la strada. Siamo circondati da esseri di cui non possiamo sapere se sono innamorati, perché se lo sono si controllano enormemente.

Di fronte al suo innamorato c’è l’“oggetto amato”. Perché questa curiosa espressione di “oggetto amato”?

Prima di tutto per una ragione di principio: il sentimento amoroso è un sentimento unisex, come i jeans e i capelli, adesso. Ai miei occhi è molto importante.

Per lei l’innamorato eterosessuale e l’innamorato omosessuale amano allo stesso modo?

Penso che si ritroverà esattamente la stessa tonalità nell’uomo che ama una donna, nella donna che ama un uomo, nell’uomo che ama un uomo e nella donna che ama una donna. E quindi ho avuto cura di sottolineare il meno possibile la differenza dei sessi. Purtroppo la lingua francese non facilità questo genere di esercizio. L’“oggetto amato” ha il vantaggio di essere un espressione che non prende posizione sul sesso di chi ama.

Ma “oggetto” si oppone così a “soggetto”?

Sì. È inevitabilmente un oggetto. Non lo si vede affatto come soggetto. “Oggetto” è la parola giusta, perché indica la spersonalizzazione dell’oggetto amato.

Per lei, non è la “persona” dell’altro che si ama?

Credo che questo sia il grande enigma del sentimento amoroso. Perché questo oggetto privato di ogni personalizzazione diventa al tempo stesso la persona per eccellenza, che non si può paragonare a nessun’altra. È quello che la psicoanalisi chiama oggetto unico.

Sarebbe allora più giusto dire che si ama un’immagine?

Sicuramente. Non si è innamorati che di un’immagine. Il colpo di fulmine, quello che si chiama “invaghimento”, si compie attraverso un’immagine.

Al limite, attraverso una “vera” immagine? Una fotografia di «Playboy».

C’è da domandarselo. Ma direi di no comunque. Perché l’immagine che ci rapisce è un’immagine viva, un’immagine in azione.

Come quella di Carlotta che taglia le tartine per i fratelli, nel Werther…

Sì. Aggiungerei, prudentemente, che la passione non conosce limiti. Un essere può innamorarsi perdutamente di una fotografia. Ma in generale il meccanismo del colpo di fulmine non scatta su un’immagine priva di qualunque contesto: bisogna che sia “in situazione”.

Ecco il suo innamorato “rapito”… è quello che un sondaggio dell’anno scorso chiamava il “grande amore”. E una maggioranza impressionante di francesi interrogati diceva di “crederci” e che durava tutta la vita. Che ne pensa il suo innamorato?

Risponderebbe “sì”, certo, alla domanda del “grande amore”. Ma “tutta la vita”? Esito. Implica un ottimismo che non è nel soggetto innamorato come io l’ho simulato. Per lui l’espressione “tutta la vita” non ha senso. È in una sorta di assoluto del tempo. Non fraziona il tempo lungo tutta una vita da prevedere…

Nella vita amorosa di questo soggetto, fra le “figure” che descrive, la sofferenza ha una parte importante. È così presente che si ha l’impressione che l’innamorato quasi non ne rifugga granché.

Infatti, la sofferenza è assunta da lui come una sorta di valore. Ma nient’affatto nel senso cristiano. Al contrario: come una sofferenza pura da ogni colpa.

Come reagisce a questa sofferenza?

Tenderebbe ad accettare questa sofferenza, senza accettare la colpevolezza.

Il dispiacere d’amore sembra dunque inevitabile?

Sì, credo che sia inevitabile. O meglio, direi che il sentimento amoroso si definisce appunto così: perché la sofferenza è inevitabile. Ma si può sempre immaginare che il sentimento possa trasformarsi…

E cessi di essere amoroso?

È il più grosso problema, su cui il libro si ferma. Il buon senso dice che c’è un momento in cui bisogna staccare “essere innamorati” e “amare”. Si lascia da parte “essere innamorati”, con il suo corteggio di lusinghe, illusioni, imprese tiranniche, scenate, difficoltà, addirittura suicidi… per accedere a un sentimento più pacificato, più dialettico, meno geloso, meno possessivo.

Lei ha evocato la gelosia. Nei romanzi come indubbiamente nella vita, la sofferenza più spettacolare è legata alla gelosia. Non nel suo libro.

Sì, se ne è accorto, nel mio libro questa figura cardinale della passione è molto breve. Ho persino pensato di sopprimerla…

Perché le è estranea?

No, non mi è estranea, al contrario. Ma è un sentimento che, benché vissuto atrocemente, non si radica nella mia esistenza. In realtà non ho idee sulla gelosia. Sì, ho le idee di tutti. Ed è la sola figura per cui non ho dato una definizione personale. Mi sono contentato di riprodurre quella del Littré, perché è perfetta. Gelosia: “sentimento che nasce nell’amore e che è prodotto dal timore che la persona amata preferisca qualcun altro”. È, tra tutte le figure, quella che mi dà la maggior impressione di banalità.

Tutti sono gelosi?

Direi – mi cimenterò con delle parole grosse – che è un movimento di ampiezza antropologica. Nessun individuo al mondo è privo di certe ondate di gelosia. E non mi sembra possibile essere innamorati, neppure nella maniera lassista e rilassata come oggi si può immaginare lo siano i giovani, senza che alla fine, in certi momenti, la gelosia non attraversi il sentimento amoroso.

Lei è scettico su questi tentativi di “rilassamento”?

Sì. Vivo tra amici più giovani di me, molto spesso sono stupefatto per quella che, a prima vista, è un’assenza di gelosia nei loro rapporto, e mi dico che io stesso, in una data situazione, sarei terribilmente geloso. Mi stupisco, li ammiro molto per come condividono i beni sensuali, i beni sessuali, i beni di coabitazione, sembra, senza grossi problemi. Se li si guarda vivere con più attenzione ci si accorge però che tra loro ci sono dei moti di gelosia. In effetti, un innamorato che non fosse geloso – stavo per dire: sarebbe il mistico per eccellenza; ma no, appunto: abbiamo testi mirabili in cui il mistico testimonia di una certa gelosia, nei confronti di Dio e nei confronti degli altri. No: sarebbe, letteralmente, un “santo”.

In mancanza – se posso dire così – di essere gelosi, si può amare più di una persona per volta?

Credo che, per un certo tempo, in ogni caso, si possa. Si possa… e penso anzi che sia un sentimento – per usare un termine classico – delizioso. Sì, un sentimento delizioso immergersi in un clima di amori molteplici, di flirt generalizzato – dando a “flirt” una certa forza.

Solo un certo tempo?

Non credo che possa durare molto quella sovranità che danno investimenti multipli. Perché per l’innamorato c’è un momento in cui la cosa si cristallizza.

Madonna e Sean Penn, 1986

Ed è la fine dello “sfarfallamento”, o del volteggiamento?

Sì, dal momento in cui l’innamorato è sprofondato nella passione, il volteggiamento è escluso. Il volteggiamento dell’altro lo fa soffrire orribilmente, e lui stesso non ha più voglia di volteggiare.

È il rapporto tirannico di cui parlava poco fa…

Sì. L’innamorato si sente dominato, imprigionato, sequestrato dall’oggetto amato. Ma, in realtà colui che ama esercita anche lui un potere tirannico su colui che è amato. Non è divertente essere amato da qualcuno che è innamorato… Suppongo che non sia divertente.

Dunque niente amore senza scontro, senza rapporto di forze, lotte, vittorie, sconfitte?

L’innamorato lotta per non essere assoggettato. Ma fallisce. Constata con umiliazione, e talvolta con delizia, di essere interamente assoggettato all’immagine dell’amata. E d’altra parte, nei momenti buoni, soffre molto per non assoggettare l’altro; cerca di non farlo.

È quello che lei chiama il “non voler sequestrare”. È la soluzione?

Sì. La soluzione ideale è di porsi in uno stato di non voler sequestrare. È una nozione ripresa dai filosofi orientali. “Non sequestrare” l’oggetto amato, e lasciar circolare il desiderio. Nello stesso tempo non “sublimare”: dominare il desiderio per non dominare l’altro.

È quindi, se non un programma, almeno una proposta?

Sì è una proposta. Forse un’utopia…

Verso un nuovo mondo amoroso…

Sì, è così.

Ma questo nuovo mondo amoroso sarebbe tutt’altra cosa, suppongo, dalla “sessualità liberata” di cui si parlava tanto dieci anni fa Si ha l’impressione che oggi ci sia una reazione a quelle ideologie. Che ci sia una diffidenza nei confronti del desiderio. Lei colloca il suo libro in questa corrente o controcorrente?

Sì, in certo modo lo situo in questa corrente. Il punto comune è che l’essere innamorati permette una distanziazione dalla sessualità.

E dal desiderio?

C’è del desiderio nel sentimento amoroso. Ma questo desiderio è deviato, e si orienta verso una sessualità diffusa, verso una sorta di sensualità generalizzata.

Che cosa direbbe dell’erotismo in questo rapporto?

È complicato parlare dell’erotismo, diciamo, “riuscito”. Mettiamo delle virgolette perché la riuscita dipende da ogni soggetto. Non ci sono ricette. Un erotismo “riuscito” è un rapporto sessuale e sensuale con l’essere che si ama. Questo, comunque, succede. Ed è qualcosa di così bello, così buono, così perfetto, così sconvolgente, che a quel punto l’erotismo stesso è una sorta di accesso a una trascendenza della sessualità. La sessualità resta nella pratica, e più grande è l’erotismo più questa pratica è acuta. Ma c’è un plusvalore sentimentale a far sì che l’erotismo sia completamente staccato da ogni pornografia.

L’Impero dei sensi è un film d’amore?

Sì, direi che è un film d’amore. Forse non ne sono stato molto toccato, per ragioni mie personali. Ma è un film bellissimo. L’esempio stesso del film d’amore…

Ecco l'Impero dei sensi, regia di Nagisa Ōshima, 1976
Ecco l'Impero dei sensi, regia di Nagisa Ōshima, 1976

All’innamorato, nel suo libro, lei contrappone il dragueur

Sì, bisogna contrapporre due tipi di “discorso”, in senso lato: quello dell’innamorato e quello deldragueur. Le pratiche del "rimorchio" non coincidono affatto con le pratiche molto ascetiche del soggetto innamorato, che non si sparpaglia nel mondo, che resta imprigionato con la sua immagine.

Ma l’innamorato non è anche dragueur?

Sì, appunto. Vi sono dei dragueurs che rimorchiano per trovare di chi essere innamorati. È anzi un caso tipico. Negli ambienti omosessuali, in ogni caso, dove il rimorchio è molto diffuso, si può benissimo rimorchiare per anni interi, spesso in maniera inevitabilmente sordida, attraverso i luoghi stessi che questo obbliga a frequentare, con in realtà l’idea invincibile che si troverà di chi essere innamorati.

Contrariamente a don Juan, il cui piacere è proprio “tutto nel cambiamento” e che non cessa di correre di paese in paese, di donna in donna…

Per me, in effetti, don Juan è il tipo del draguer, con la sua famosa lista: “mille e tre”. È la stessa divida deldragueur. Sa, i dragueurs si scambiano spesso le informazioni. E le loro conversazioni si riportano sempre a delle liste…

Oltre agli innamorati e ai dragueurs, ci sono gli accasati, i sistemati

Sì. Una volta parlavo con un amico che mi diceva che in italiano “accasato” di dice sistemato. Avevo trovato molto bello che invece di dire: “un tale si è accasato”, “un tale è sposato”, si potesse immaginarlo “sistemato”, preso in un sistema…

Ma parlare di persone “accasate” non è un termine da dragueur?

Non avevo pensato a questo. Sì, forse. Perché, in realtà, il dragueur e l’innamorato sono a uguale distanza rispetto agli “accasati”. Sono entrambi in una marginalità rispetto alla coppia installata. Entrambi esclusi.

Nel suo libro, in ogni caso, è piuttosto la coppia che è esclusa…

Sì, è vero. Tuttavia ho fatto una “figura” sull’Unione, alla fine. Ma, perché non dirlo, non avevo esperienza personale di questo tipo di unione. E quindi non avevo il linguaggio per descriverla. Ma non è una presa di posizione…

L’innamorato pensa in termini di coppia?

Penso che la coppia sia sempre all’orizzonte. La scelta del libro era quella di un soggetto innamorato che non è amato. Ma certo pensa continuamente a esserlo, quindi a formare una coppia. Direi anzi che ha solo questo desiderio.

All’altro estremo della scena ci sarebbero quelli che, secondo i vocabolari, si chiamano i “devianti” o i “perversi”. Sono altrettanto assenti che la coppia istallata. Il suo innamorato, a volte, dà l’impressione di parlare in vece loro.

No. Il soggetto innamorato non parla per procura per gli altri devianti. Per una ragione essenziale: è deviante rispetto ai devianti. Nel senso che è meno rivendicativo, meno contestatario…, meno glorioso. Rispetto ai problemi dell’omosessualità c’è una conseguenza importante: se si parla di un o una omosessuale innamorato o innamorata, la parola importante non è “omosessuale” è “innamorata/o”. Mi sono rifiutato di tenere, da vicino o da lontano, un discorso omosessuale. Non per rifiutare di vedere la cosa, non per censura, o per prudenza, ma per questa ragione: che il discorso amoroso non ha più rapporto con l’omosessualità che con l’eterosessualità.

Scena dal film Il grande Gatsby, regia Laz Luhrmann, 2013

L’innamorato è dunque deviante rispetto ai “devianti”, deviante rispetto ai “desideranti”. Ma fra questi non c’è guerra?

Credo di no. Credo che siano pianeti molto diversi. Cosa forse non più allegra…

Venere ai desideranti, e gli innamorati sulla Luna! Che dà loro, forse, quell’aria stupida. È lei che scrive: “che cosa c’è di più stupido di un innamorato?” … Che cosa lo rende stupido?

È che si trova in quella che chiamo la “de-realtà”. Tutto quello che il mondo chiama la “realtà” la sente come illusione. Tutto quello che diverte gli altri, le loro conversazioni, le loro passioni, le loro indignazioni, tutto questo gli sembra dereale. Il suo “reale” è il suo rapporto con l’oggetto amato, e i mille incidenti che lo attraversano – proprio ciò che il mondo considera la sua “follia”. Con ciò stesso, a causa di questo rovesciamento, si sente prigioniero di un cocente inadattamento. E, nella pratica, ha infatti dei comportamenti, dei piccoli gesti che, agli occhi del buon senso, sono idioti…

Asociale, è anche apolitico. Lei scrive più precisamente che non “si eccita” più per la politica. Ma non è un modo per dire che non ne fa più, che per lui non conta più?

No, tengo a questa sfumatura. Perché la sento profondamente. Un soggetto umano funziona su più lunghezze d’onda. Può continuare a ricevere le onde politiche. Ma quello che non capisce più è che ce ne si possa investire passionalmente. Non è “depoliticizzato” nel senso che non è fondamentalmente indifferente a quello che avviene politicamente. Ma si è fatto una gerarchia dentro di sé. E trova del tutto straordinario che ci si possa, appunto, “eccitare” per quelle cose.

Si è tentati di contrapporre al “desiderante rivoluzionario” di ieri il suo “innamorato decontratto”, decontratto come il liberalismo… Lei assume questa contrapposizione?

Sì, l’assumo. Il soggetto innamorato è esso stesso il luogo di un investimento forsennato. Allora si sente escluso dagli altri investimenti. Il solo essere umano di cui potrebbe sentirsi complice, sarebbe, esclusivamente, un altro innamorato. Purtuttavia: è vero che gli innamorati fra loro si capiscono! Ma un militante politico è, a modo suo, innamorato di un’idea, di una causa. E la rivalità è insostenibile. Per l’uno come per l’altro. Non penso che un militante politico sopporterebbe bene un innamorato pazzo.

Vedo però un’ambiguità, il suo innamorato è veramente “intrattabile”, “irrecuperabile”, e, in questo senso, sovversivo? Oppure è, per qualunque sistema, tranquillo e inoffensivo?

È un marginale. Ma, come ho già detto, modesto, non glorioso. La sua marginalità non si vede. Non è rivendicativa. In questo senso è veramente “irrecuperabile”.

Ma, lo dice lei stesso: una sera su due, alla televisione, si dice: “ti amo”. C’è dunque una “promozione” dell’amore da parte dei media. Come può essere che la cultura di massa diffonda “dell’amore”, se è asociale e pericoloso?

È una questione più difficile. Infatti: perché la cultura di massa sviluppa tanto i problemi del soggetto amoroso? In realtà, quello che mette in scena sono dei racconti, degli episodi, non il sentimento amoroso in sé. È forse una distinzione un po’ sottile, ma ci tengo molto. Ciò significa che, se lei mette un soggetto innamorato in una “storia d’amore”, con ciò stesso lo riconcilia con la società. Perché? Perché raccontare fa parte delle grandi costrizioni sociali, delle attività codificate della società. Con la storia d’amore la società ammansisce l’innamorato.

Se la capisco bene il suo innamorato è sovversivo ma la Marchesa e gli angeli è conformista?

Esattamente. E per questo, del resto, ho preso delle precauzioni draconiane perché il mio libro non fosse una “storia d’amore”. Per lasciare l’innamorato nella sua nudità; nella sua situazione di essere inaccessibile alle forme abituali di recupero sociale: in particolare al romanzo.

Non è il lavoro di un romanziere: è il libro di un semiologo. È il libro di un innamorato. Non è un essere bizzarro, un “semiologo innamorato”?

Ma no! L’innamorato è il semiologo selvaggio allo stato puro! Passa il proprio tempo a leggere segni. Fa solo questo: segni di felicità, segni di infelicità. Sul viso dell’altro, nei suoi comportamenti. È veramente in preda ai segni.

Dunque il proverbio mente: l’amore non è cieco…

L’amore non è cieco, al contrario ha una potenza di decifrazione incredibile, che dipende dall’elemento paranoico che è in ogni innamorato. Un innamorato, come lei sa, coniuga estremi di nevrosi e psicosi: è un tormentato e un pazzo. Vede chiaramente, ma il risultato è spesso lo stesso che se fosse cieco.

Perché?

Perché non si sa né dove né come fermare i segni. Decifra perfettamente, ma non sa fermarsi su una certezza di decifrazione. Viene ripreso in un circolo perpetuo, che niente viene mai a placare.

Vengo a una domanda che ho voglia di porle sin dall’inizio: questo libro da innamorato, lei era innamorato quando lo ha scritto?

(sorriso) È una domanda a cui fino a oggi ho sempre rifiutato di rispondere. Alla fine… diciamo che il libro è fatto in gran parte sulla base di un’esperienza personale; in gran parte anche di letture, di confidenze. Per la parte che mi appartiene, l’esperienza che ho utilizzato non è presa da una storia unica. Sono degli stati, dei moti, delle contorsioni che mi sono venuti da più esperienze amorose anteriori. Detto questo – perché non dirlo? – c’è stato un episodio cristallizzatore. Diciamo che ho concepito il libro come un modo per non perdermi, per non piombare nella disperazione. L’ho scritto, le cose erano entrare da sole in una dialettica…

Due tempi necessari?

Non avrei potuto certamente scriverlo con la distanza della frase, dello stile, se non avessi io stesso dialettizzato le cose…

Non è necessariamente la fine di una storia vissuta che spinge a scrivere?

Direi che il desiderio di scrivere un libro del genere viene in due momenti. O alla fine, perché la scrittura ha un meraviglioso potere di pacificazione. O in un momento di esuberanza, all’inizio, perché si pensa che si scriverà un libro d’amore. Lo si darà, si dedicherà, all’essere amato.

Allora, quell’innamorato che parla è ben lei, Roland Barthes?

Le risponderò in un modo che può avere l’aria di una piroetta. Ma non è. Il soggetto che io sono non è unificato. È una cosa che provo profondamente. Allora dire: “sono io!”, sarebbe postulare un’unità di se stessi che io non mi riconosco.

Mi permetta allora di porla diversamente. Per ogni figura del libro, una dopo l’altra, dice forse: “Sono io questo”?

Ah!... quando ho fatto un seminario di ricerca sullo stesso soggetto, ho tenuto conto di figure che non avevo provato, che avevo preso nei libri… Ma, evidentemente, è quello che nel libro è saltato. Sì, è sicuro, ho un rapporto personale con tutte le figure del libro.

Roland Barthes, davanti a questo “ritratto strutturale” dell’innamorato, si ha spesso l’impressione che lei non solo voglia descrivere ma convincere. Si può dire che sia un libro moderatamente militante, in favore degli “Innamorati Riuniti”?

Militante? Lei mi provoca un po’. È un libro che implica una posizione di valore.

E una morale?

Sì, c’è una morale.

Che sarebbe?

Una morale di affermazione. Non bisogna lasciarsi impressionare dai deprezzamenti di cui è oggetto il sentimento amoroso. Bisogna affermare. Bisogna osare. Osare amare…

Questa intervista, a cura di Philippe Roger, è apparsa su Playboy nel settembre 1977.

Vedi anche:
Su doppiozero: Osiamo essere pigri
Roland Barthes, Riga 30, a cura di M. Consolini, G. Marrone, Marcos Y Marcos, Milano 2010.

http://www.doppiozero.com/materiali/lettura/dominare-il-desiderio-non-dominare-l-altro#.VmFhiuD4RXw.facebook


fonte: alfredodecclesia.blogspot.it