venerdì 25 settembre 2015

Constitutio Antoniniana



è un editto emanato dall'imperatore Antonino Caracalla del 212 d.C. che stabiliva la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Impero, ad eccezione dei dediticii. Il testo greco della costituzione ci è giunto tramite un papiro lacunoso conservato nel Museo di Giessen in Germania (Papiro di Giessen, 40,1): resta quindi aperto il dibattito sulla reale applicazione del provvedimento, in particolare riguardo al problema della identificazione dei dediticii.

Storia

Fin dall'antichità appare fondamentale la capacità di assimilazione politica dei romani, infatti Roma sin dalle sue prime conquiste concedeva ai vinti la cittadinanza romana, totale o parziale, o li lasciava nelle loro vecchie civitates, divenute foederate, con obblighi speciali verso il conquistatore ma con autonomia locale. Nella fase finale delle conquiste Roma non si affrettava più a stabilire lo statuto dei nuovi sudditi e così rimanevano nella situazione precaria di dediticii. La Constitutio Antoniniana non venne avvertita dai contemporanei come un atto rivoluzionario in quanto confermava una situazione giuridica già in parte esistente. Infatti nei documenti la cittadinanza è attestata tramite i tria nomina romani che i cittadini della province in un modo o nell'altro ottenevano.

Interpretazioni

Se da un lato, molti studiosi moderni hanno posto l'accento sull'azione “civilizzatrice” garantita dal processo di romanizzazione dell'Impero romano (Fritz Schulz sviluppò l'idea che sulla base di questa generalizzazione della cittadinanza, l'impero possa o debba essere considerato una nazione richiamandosi ai passi giuridici della communis patria); dall'altro lato, l'estensione generalizzata a tutti gli abitanti dell'Impero della cittadinanza romana disposta dalla Constitutio Antoniniana è stata considerata (in particolare da Rostovzev) come un provvedimento demagogico e una sorta di sanzione formale del dispotismo. In queste condizioni, infatti, il livellamento dei cives sarebbe stato un mero strumento di esaltazione dell'unico potere effettivo del despota. Già Dione Cassio vi aveva rintracciato una semplice misura fiscale: tutti gli abitanti dell'Impero sarebbero stati tenuti a pagare la tassa di successione che già gravava sui cittadini romani. Tuttavia, di fatto, il provvedimento di Caracalla, al di là delle varie speculazioni sulle sue reali intenzioni, realizzava l'unificazione politica di tutti gli abitanti liberi dell'impero traducendo concretamente sul piano del diritto positivo il principio dell'uguaglianza degli uomini. Ulpiano testimonia che:

« coloro che abitano nel mondo romano, in base alla costituzione dell'Imperatore Antonino sono stati resi cittadini romani. »

(Ulpiano, Digesto, 1,5,17.)

Il testo della costituzione di Caracalla, così come si rileva dal papiro in cui è conservato, sembra accennare a due principali motivi, uno di carattere politico-amministrativo, quello di evitare numerosi ricorsi al sovrano per questioni riguardanti il possesso del diritto di cittadinanza, l'altro di carattere religioso: ovvero assimilare nel culto e nella venerazione dei popoli dell'impero, le tradizionali e le nuove divinità introdotte nel Pantheon romano da ogni provincia (in particolare quelle dell'Oriente, dell'Egitto e dell'Africa punica) in nome del sincretismo religioso. La lode del provvedimento di Caracalla proviene, infatti, sia da autori pagani che cristiani. Rutilio Namaziano, ad esempio, esaltava quello che circa due secoli prima era stato l'ultimo atto (la Constitutio) della progressiva estensione del dritto romano a tutti gli abitanti dell'impero:

« Delle diverse genti unica patria hai fatto; un bene è stato, pei popoli senza legge, il tuo dominio. E, offrendo ai vinti d'unirsi nel tuo diritto, tu del mondo hai fatto l'Urbe. »

(Namaziano, De reditu suo, 1,63-66.)

La complessa questione dei dediticii

« Accordo a tutti gli abitanti dell'Impero la cittadinanza romana e nessuno rimanga fuori da una civitas, ad eccezione dei dediticii. »

(Papiro di Giessen, 40,7-9.)

La nozione di dediticius si è formata nel corso delle conquiste romane. Quest'ultima indicava coloro che si arrendevano al vincitore consegnando tutti i loro beni. Inoltre si aggiungevano i liberti condannati per un delitto secondo la legge Aelia Sentia e i liberti iuniani, liberati secondo le previsioni della legge Iunia. I dediticii erano privi di qualsiasi diritto come ad esempio il diritto di fare testamento: quonam nullius certae civitatis. L'analisi filologica del testo papiraceo condotta finora in merito alla definizione dei dediticii mette in evidenza la difficoltà d'interpretazione di questa categoria. Infatti emergono due posizioni diametralmente opposte: la prima, rappresentata da P. M. Meyer, P. Jouguet, U. Wilcken, secondo la quale i dediticii esclusi dalla cittadinanza romana erano abbastanza numerosi e in Egitto si confondevano con i capite censi; la seconda invece fa di essi un numero ristretto di persone di origine barbara recente, oppure piccole tribù non organizzate in una città. Per quanto riguarda l'applicazione del decreto sulle diverse città ci sono ulteriori posizioni distinte: secondo alcuni (P. M. Meyer, Ranovici) la costituzione delle singole città non sarebbe stata affatto alterata dall'applicazione della Constitutio; secondo altri invece (Segré, Capocci) essa prevede l'esclusione sia dei civitates dediticiae, sia l'implicita decisione di iscrivere tutti gli uomini liberi nei registri di cittadini di quelle città. Tra le varie definizioni fornite dagli studiosi, emerge quella di Gabriella Poma secondo la quale i dediticii del papiro di Giessen erano sia i barbari, tra i quali si reclutava l'armata romana, sia quei limitati gruppi di popolazione, che non appartenevano a nessuna città. Il diritto romano conosce due categorie di dediticii: i peregrini - cioè i popoli sconfitti che si erano arresi a discrezione - e gli schiavi manomessi che si erano macchiati di crimini infamanti durante la schiavitù. Entrambi erano di condizione libera, ma inferiori giuridicamente, in quanto non avrebbero mai potuto diventare cittadini romani o latini. L'esclusione avrebbe, quindi, potuto interessare sia i peregrini sia gli ex schiavi. Per quanto riguarda il controverso problema dell'applicazione del diritto romano nelle province alcuni studiosi, tra cui A. Segrè, ritengono che esso abbia subito un cambiamento radicale perché almeno teoricamente le leggi romane si erano estese a tutti i peregrini (l'uso obbligatorio del testamento romano per tutti gli Aurelii, la patria potestas, lo ius liberorum, la stipulatio). Prima dell'editto di Caracalla i peregrini che avevano conseguito la cittadinanza romana a titolo personale secondo il diritto romano, non acquistavano la patria potestas sulle persone che altrimenti vi sarebbero state soggette. Gaio dimostra come gli imperatori di regola non accordassero la patria potestas ai peregrini che chiedevano la cittadinanza romana. Per concludere, è necessario supporre che, per l'Egitto come per le altre province, un editto del governatore - in Egitto del prefetto - presentasse la Constitutio con norme applicative suggerite dalle peculiari condizioni della provincia.

fonte: Wikipedia

così fan tutte



« È la fede delle femmine come l'Araba fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa! »

(Don Alfonso)

Così fan tutte, ossia La scuola degli amanti (K 588) è un'opera buffa in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart.

È la terza ed ultima delle tre opere italiane “buffe” scritte dal compositore salisburghese su libretto di Lorenzo da Ponte (da Le metamorfosi di Ovidio e da La grotta di Trofonio di Giovanni Battista Casti). Fu commissionata dall’imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena in seguito alle felici riprese viennesi (1788-1789) di Le nozze di Figaro e Don Giovanni.

La prima rappresentazione ebbe luogo al Burgtheater di Vienna il 26 gennaio 1790 con Adriana Ferraresi Del Bene e Francesco Benucci diretta dal compositore.

Del 1º maggio 1791 è la prima al Mainzer Nationaltheater di Francoforte di Liebe und Versuchung, nella traduzione tedesca di Karl David Stegmann e Heinrich Gottlieb Schmieder e dell'11 maggio la ripresa al Nationaltheater di Magonza.

Al Teatro alla Scala di Milano la prima fu il 19 settembre 1807, diretta da Alessandro Rolla e con Teresa Belloc-Giorgi.

Nel Regno Unito la prima fu a Londra, il 19 maggio 1811 all'Her Majesty's Theatre in Haymarket, con Teresa Bertinotti-Radicati.

Nel 1816 avviene la prima nel Teatro Carignano di Torino.

Al Wiener Staatsoper la première è stata il 18 ottobre 1872 e fino al 2014 ha avuto 379 recite.

Negli Stati Uniti la première è stata al Metropolitan Opera House di New York il 24 marzo 1922 con Giuseppe De Luca e Lucrezia Bori e fino al 2010 è stata rappresentata 178 volte.

Al Teatro La Fenice di Venezia la prima è stata nel 1934 nella trasferta dell'Opera di Stato di Vienna diretta da Clemens Krauss.

Al Glyndebourne Festival Opera va in scena nel 1934 diretto da Fritz Busch e fino al 2010 è stata in cartellone per 32 stagioni risultando l'opera maggiormente eseguita.

Al Grand Théâtre di Ginevra va in scena nel 1945 con Giulietta Simionato.

Al Teatro Regio di Torino va in scena nel 1946 diretta da Otto Ackermann con la Simionato, Emilio Renzi ed Enrico Molinari; allestimenti successivi vanno in scena negli anni: 1966, 1975, 1984, 2003 e 2012 con Carmela Remigio e Carlo Lepore.

Al Royal Opera House, Covent Garden di Londra la première è stata nel 1947 nella trasferta dell'Opera di Stato di Vienna.

Al Festival di Salisburgo va in scena nel 1947 con i Wiener Philharmoniker, Sena Jurinac, Hilde Güden, Anton Dermota ed Erich Kunz diretti da Josef Krips.

Al King's Theatre di Edimburgo va in scena nel 1948 con Kunz, Mariano Stabile (cantante) e la Güden diretti da Vittorio Gui per la Glyndebourne Festival Opera.

Al Teatro Verdi (Trieste) va in scena nel 1950.

Alla San Francisco Opera va in scena nel 1956 con Elisabeth Schwarzkopf.

All'Opera di Santa Fe (Nuovo Messico) va in scena negli anni 1957, 1958, 1962, 1969, 1975, 1977, 1988, 1990, 1997, 2003 e 2007.

Nel 1968 avviene la prima nel Teatro Comunale di Firenze diretta da Thomas Schippers con Mariella Adani, Renato Capecchi e Nicola Rossi-Lemeni.

A Bilbao va in scena nel 1997 con Barbara Frittoli e Natale De Carolis.

La trama

Atto primo

In una bottega di caffè a Napoli, siedono i due ufficiali militari Ferrando e Guglielmo, che vantano la fedeltà delle loro fidanzate, Dorabella e Fiordiligi, sorelle.
Il loro amico Don Alfonso, anch'egli presente, li contraddice affermando, dandosi come sempre arie da filosofo cinico, che la fedeltà femminile non esiste (tutti sanno che c'è ma nessuno sa dov'è) e che, se si presentasse l'occasione, le due innamorate dimenticherebbero subito i loro fidanzati e passerebbero a nuovi amori.
A seguito di questa dichiarazione, i due intendono sfidarlo a duello per difendere l’onore delle future spose.
Don Alfonso scommette cento zecchini per provare ai due amici che le fidanzate non sono diverse dalle altre donne: per un giorno, Ferrando e Guglielmo dovranno attenersi ai suoi ordini.
Intanto nel giardino della loro casa sul golfo Fiordiligi e Dorabella contemplano sognanti i ritratti dei fidanzati, ma poi si preoccupano perché sono già le sei del pomeriggio e i due amanti non sono ancora venuti a trovarle, come fanno di solito tutti i giorni.
Ad arrivare è invece Don Alfonso, che reca loro una notizia terribile: i fidanzati sono stati convocati al fronte e devono partire all’istante. Arrivano Ferrando e Guglielmo e fingono anche loro di dover partire.
La cameriera Despina, complice di Don Alfonso, espone alle sorelle le proprie idee circa la fedeltà maschile ed esorta Fiordiligi e Dorabella a "far all’amor come assassine": i fidanzati al fronte faranno altrettanto. Don Alfonso cerca l’aiuto di Despina, promettendole venti scudi se insieme riusciranno a far entrare nelle grazie delle sorelle due nuovi pretendenti.
Gli stessi Ferrando e Guglielmo si presentano allora travestiti da ufficiali albanesi.
Le padrone irrompono furenti per la presenza degli sconosciuti e i finti albanesi si dichiarano spasimanti delle sorelle. Don Alfonso presenta gli ufficiali come Tizio e Sempronio, suoi cari amici.
Alle loro rinnovate e caricaturali offerte d’amore, Fiordiligi risponde che serberanno fedeltà agli amanti fino alla morte. Fiordiligi e Dorabella si ritirano.
Don Alfonso si allontana con gli albanesi, che poco lontano fingono di suicidarsi per il dolore bevendo del veleno.
Don Alfonso finge di andare in cerca di un medico e lascia i due agonizzanti davanti alle esterrefatte sorelle, che iniziano a provare compassione.
Arriva Despina travestita da medico, declamando frasi in un latino maccheronico, e fa rinvenire gli albanesi toccandoli con una calamita. I finti albanesi rinnovano le dichiarazioni di amore e abbracciano le donne.
Despina e Don Alfonso guidano il gioco esortando le donne ad assecondare le richieste dei nuovi spasimanti resuscitati, i quali si comportano in modo molto passionale.
Quando i due pretendono un bacio, Fiordiligi e Dorabella si infiammano indignate e rifiutano.

Atto secondo

Nella loro camera Fiordiligi e Dorabella vengono convinte da Despina a "divertirsi un poco, e non morire dalla malinconia", senza mancare di fede agli amanti, s’intende. Giocheranno, nessuno saprà niente, la gente penserà che gli albanesi che girano per casa siano spasimanti della cameriera. Resta solo da scegliere: Dorabella, che decide per prima, vuole Guglielmo, e Fiordiligi apprezza il fatto che le spetti il biondo Ferrando.

Nel giardino sul mare i due albanesi hanno organizzato una serenata alle dame, i suonatori e i cantanti arrivano in barca. Don Alfonso e Despina incoraggiano gli amanti e le donne a parlarsi e li lasciano soli. Fiordiligi e Ferrando si allontanano, suscitando la gelosia di Guglielmo, che offre un regalo a Dorabella e riesce a conquistarla. Fiordiligi è sconvolta, capisce che il gioco si è mutato in realtà. Quando Ferrando si accomiata ella ha un attimo di debolezza e vorrebbe richiamarlo, poi rivolge il pensiero al promesso sposo Guglielmo e si proclama a lui fedele. Questi è impacciato nel comunicare a Ferrando che Dorabella ha ceduto facilmente, ma è felice del fatto che Fiordiligi si sia dimostrata "la modestia in carne", commentando l’infedeltà di Dorabella.

In casa, Dorabella esorta Fiordiligi a divertirsi. Fiordiligi decide di travestirsi da ufficiale e raggiungere il promesso sposo sul campo di battaglia: si fa portare delle vesti maschili, si guarda allo specchio, constata il fatto che cambiare abito significa perdere la propria identità; immagina di trovarsi già sul posto e che Guglielmo la riconosca, ma Ferrando la interrompe, e chiede la sua mano, rivolgendosi a lei con parole che probabilmente Guglielmo non le ha mai detto. Guglielmo ha assistito al dialogo, è furente, e anche Ferrando odia la sua ex fidanzata, ma Don Alfonso, che ha dimostrato quanto voleva, li esorta a finire la commedia con doppie nozze: una donna vale l’altra, meglio tenersi queste "cornacchie spennacchiate". Don Alfonso spiega di non voler accusare le donne, anzi le scusa, è colpa della natura se "così fan tutte".

Nella sala illuminata, con la tavola imbandita per gli sposi, Despina organizza i preparativi e il coro di servi e suonatori inneggia alle nuove coppie. Al momento del brindisi Fiordiligi, Dorabella e Ferrando cantano un canone, su un tema affettuoso, da musica da camera, mentre Guglielmo si mostra incapace di unirsi a loro e commenta: "Ah, bevessero del tossico / queste volpi senza onor!".
Il notaio (che è ancora Despina travestita) fa firmare il finto contratto nuziale. Ma un coro interno intona "Bella vita militar!" e le sorelle rimangono impietrite: tornano i fidanzati. Nascosti gli albanesi in una stanza, esse si preparano ad accogliere Ferrando e Guglielmo, che fingono di insospettirsi quando scoprono il notaio e il contratto. Don Alfonso si giustifica: ha agito a fin di bene, per rendere più saggi gli sposi. Le coppie si ricompongono come in origine e tutti cantano la morale: "Fortunato l’uom che prende / ogni cosa pel buon verso, / e tra i casi e le vicende / da ragion guidar si fa".

Analisi dell'opera

L'architettura di questo dramma giocoso è edificata su un divertente gioco di simmetrie. Le due coppie originarie (Fiordiligi e Guglielmo, Dorabella e Ferrando) sono perfettamente speculari: al binomio soprano-baritono si oppone quello di mezzosoprano-tenore. A questo incrocio, lo scambio di coppie insito nella scommessa sembra portare ordine (al soprano si abbina perfettamente il tenore, mentre al mezzosoprano il baritono). A queste geometrie non sono estranei nemmeno i rimanenti personaggi (Don Alfonso e Despina) i quali, seppure non partecipino ai giochi amorosi, sono attivi spettatori e incitano i protagonisti alle nuove unioni, nonché ad una filosofia di vita meno rigorosa. Da notare come molti allestimenti registici abbiano altrettanto giocato sulle simmetrie e sulle specularità dell'opera. Un'ulteriore osservazione va fatta in merito al rapporto tra musica e libretto: sulle geometriche simmetrie del libretto di Lorenzo Da Ponte, attratto dal carattere giocoso dell'aneddoto, la musica mozartiana si ammanta di caratteri elegiaci, quasi tragici, e l'ironia del tardo-Mozart si trasforma in rassegnazione. Il personaggio di Fiordiligi è un vero esempio: già dall'aria "Come scoglio" si evince il suo carattere spigoloso, la sua virtù superiore a quella della spensierata sorella, e perfino il cedimento alla corte del travestito Ferrando si ammanta di toni disperati. Non da meno è l'aria "Un'aura amorosa" di Ferrando, il quale si presta alla scommessa del cinico amico nella speranza di celebrare, alla fine, la sua vittoria nella dolce compagnia della sua amata. Da non dimenticare sono anche i toni mesti e i violini appena pizzicati del saluto "Soave sia il vento", nonché l'addio che lo precede: le due dame sono convinte di non rivedere tanto presto i due fidanzati, crogiolandosi nel proprio dolore. Sembra, insomma, che la musica assuma un tono "agrodolce".
Sul versante letterario, difficile è rinvenire nelle fonti anteriori il tema qui dominante dello "scambio di coppia". Si ritiene unico antecedente di Così fan tutte (e della filosofia di Don Alfonso) l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto: nel canto XXVIII si legge di due amici che, appresa l'infedeltà delle loro donne, decidono di partire per sfogarsi in nuove esperienze amorose. Il viaggio-studio però rivela l'amara verità: anche le altre donne non sono più caste. Insomma: così fan tutte! Quivi si rinvengono inoltre i nomi di Fiordiligi, Doralice, Fiordispina, Guglielmo e Don Alfonso. Evidente è l'analogia tra la nostra Fiordiligi (che minaccia di morire sul campo di battaglia insieme al suo amato, per non compromettersi) e quella ariostesca, che muore come simbolo di estrema fedeltà. Una situazione analoga allo scambio di coppie di Così fan tutte si rinviene nell'opera di Antonio Salieri La grotta di Trofonio. Le protagoniste, Ofelia e Dori, scelgono i propri futuri mariti sulla base di profili caratteriali che sono opposti alle rispettive attitudini di vita: una scelta dettata dalla ragione e non dal cuore. Solo alla fine, si rivedranno delle proprie scelte e si ricomporranno con i rispettivi mariti sulla base delle giuste affinità caratteriali. Anche se qui lo scambio non riguarda i fidanzati ma i rispettivi caratteri, è evidente che il tema aveva solleticato la fantasia di Mozart e di Lorenzo da Ponte.

Organico orchestrale

La partitura di Mozart prevede l'impiego di

2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti (II. anche clarinetto di bassetto), 2 fagotti
2 corni, 2 clarini (trombe)
Timpani
archi.

Per i recitativi:

clavicembalo e violoncello

Struttura musicale

Ouverture

Atto I

Le prime battute del terzetto n.1

N. 1 Terzetto La mia Dorabella capace non è (Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
N. 2 Terzetto È la fede delle femmine (Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
N. 3 Terzetto Una bella serenata (Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
N. 4 Duetto Ah guarda sorella (Fiordiligi, Dorabella)
N. 5 Aria Vorrei dir, e cor non ho (Don Alfonso)
N. 6 Quintetto Sento oddio, che questo piede (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
N. 7 Duettino Al fato dàn legge (Ferrando, Guglielmo)
N. 8 Coro Bella vita militar
[N. 8a Quintetto] Recitativo Di scrivermi ogni giorno (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
N. 9 Coro Bella vita militar
N. 10 Terzettino Soave sia il vento (Fiordiligi, Dorabella, Don Alfonso)

Recitativo accompagnato Ah scostati e

N. 11 Aria Smanie implacabili (Dorabella)
N. 12 Aria In uomini! In soldati (Despina)
N. 13 Sestetto Alla bella Despinetta (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)

Recitativo accompagnato Temerari, sortite fuori di questo loco e

N. 14 Aria Come scoglio immoto resta (Fiordiligi)
N. 15 Aria Non siate ritrosi (Guglielmo)
N. 16 Terzetto E voi ridete? (Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
N. 17 Aria Un'aura amorosa (Ferrando)
N. 18 Finale
Ah che tutta in un momento (Fiordiligi, Dorabella)
Si mora, sì si mora (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
Eccovi il medico, signore belle (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
Dove son! (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
Dammi un bacio, o mio tesoro (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)

Atto II

Solo dei corni nel n.25

N. 19 Aria Una donna a quindici anni (Despina)
N. 20 Duetto Prenderò quel brunettino (Fiordiligi, Dorabella)
N. 21 Duetto con Coro Secondate. aurette amiche (Ferrando, Guglielmo, Coro)
N. 22 La mano a me date (Despina, Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso)
N. 23 Duetto Il core vi dono (Dorabella, Guglielmo)

Recitativo accompagnato Barbara! Perché fuggi? (Ferrando, Fiordiligi) e

N. 24 Aria Ah lo veggio, quell'anima bella (Ferrando)

Recitativo accompagnato Ei parte... senti... e

N. 25 Rondò Per pietà, ben mio, perdona (Fiordiligi)

Recitativo accompagnato Il mio ritratto! (Ferrando, Guglielmo) e

N. 26 Aria Donne mie, la fate a tanti (Guglielmo)

Recitativo accompagnato In qual fiero contrasto e

N. 27 Cavatina Tradito, schernito (Ferrando)
N. 28 Aria È amore un ladroncello (Dorabella)
N. 29 Duetto Fra gli amplessi in pochi istanti (Fiordiligi, Ferrando)
N. 30 Tutti accusan le donne (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo)
N. 31 Finale
Fate presto, o cari amici (Despina, Don Alfonso, Coro)
Benedetti i doppi coniugi (Coro, Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Guglielmo)
[Canone] E nel tuo, nel mio bicchiero (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Guglielmo)
Miei signori, tutto è fatto (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
Bella vita militar (Coro, Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
Sani e salvi agli amplessi amorosi (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
Fortunato l'uom che prende ogni cosa pel buon verso (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)

Mozart aveva composto originariamente per Guglielmo l'aria Rivolgete a lui lo sguardo (K 584), poi sostituita dal N. 15 Non siate ritrosi

Bibliografia

Edward J. Dent, Il teatro di Mozart (ed. originale: Mozart's operas, Oxford University Press, London 1913), a cura di Paolo Isotta, trad. di Luigi Ferrari, Rusconi, Milano 1979, p. 265-294. ISBN 978-88-18-70086-2

Hermann Abert, Mozart - La maturità 1783-1791 (ed. originale: W. A. Mozart – Zweiter Teil 1783-1791, Breitkopf und Härtel, Lipsia 1955), trad. it. di Boris Porena e Ida Cappelli, Il Saggiatore, Milano 1985, pp. 547–587. ISBN 978-88-428-0726-1

Wolfgang Amadeus Mozart, Così fan tutte ossia La Scuola degli amanti, a cura di Diego Bertocchi, UTET, Torino 1975

(DE) Susanne Vill, Così fan tutte ossia La scuola degli amanti, in Carl Dahlhaus (a cura di), Pipers Enzyklopädie des Musiktheaters, Monaco di Baviera e Zurigo, Piper, 1991, vol.4, p. 327-334. ISBN 3-492-02414-9

Piero Mioli (a cura di), Wolfgang Amadeus Mozart. Tutti i libretti d'opera, Newton Compton, Roma, 1996, vol. 2 pp. 171–209. ISBN 978-88-541-0590-4

Elvio Giudici, L'opera in CD e video, il Saggiatore, Milano, 1ª ed. 1999 pp. 804–828 ISBN 88-428-0721-4

Andràs Batta, Opera - autori opere interpreti, Gribaudo, Milano, 2006, ISBN 3-8331-2362-1

fonte: Wikipedia

BUON ASCOLTO

sbriciolare la Siria, con missili Usa e mercenari jihadisti

«Quand’è che un cambio di regime non è un cambio di regime? Quando il regime di turno resta al potere ma perde la sua capacità di governare effettivamente. Ed è questo l’obiettivo della politica estera Usa in Siria, impedire al presidente Bashar Al Assad di governare il paese senza necessità di rimuoverlo fisicamente dall’ incarico». Lo afferma un osservatore internazionale come Mike Whitney. «L’idea è semplice: scatenare “jihadisti” appoggiati dietro le quinte per catturare e tenere in scacco vasti territori del paese, in modo che il governo centrale non sia in effettivo controllo del suo paese. E’così che l’amministrazione Obama vorrebbe chiudere l’affare Assad, rendendolo irrilevante». La strategia è spiegata nel dettaglio in uno scritto del Brookings Institute a firma Michael O’Hanlon intitolato: “Decostruire la Siria: una nuova strategia per la più complessa tra le guerre americane”. «L’unico modo realistico di procedere da qui in avanti – afferma O’Hanlon – sarebbe in effetti un piano per decostruire efficacemente la Siria».
La comunità internazionale, scrive l’analista Usa, dovrebbe «lavorare a creare sacche» fuori dal controllo di Damasco, per poi «espanderle nel tempo». Letteralmente: «Forze americane, saudite, turche, britanniche, giordane e di altri Stati arabi Obamaagirebbero da costante supporto, non soltanto via aria, ma anche mediante l’uso di forze speciali di terra quando necessario», al fianco degli “elementi moderati” sul terreno (“moderati” come quelli che fecero uso di armi chimiche per poi incolpare della strage il regime). «Questo approccio – continua O’Hanlon – consentirebbe di trarre vantaggio dagli ampi spazi aperti desertici siriani che consentirebbero la creazione di zone cuscinetto che si potrebbero tenere sotto costante controllo per riconoscere in tempo ogni possibile segno di attacco nemico». L’obiettivo intermedio, aggiunge lo stratega del Brookings Insitute, sarebbe «una Siria confederale, costituita da varie zone largamente autonome», cioè sottoposte a una forza occidentale «che addestri e equipaggi ulteriori reclute, in modo che le zone possano essere stabilizzate ed eventualmente espanse».
«Non è questa la strategia di fondo che vediamo in gioco in Siria già adesso?», si domanda Whitney in un post su “Counterpunch” tradotto da “Come Don Chisciotte”. «E’il caso di notare come O’Hanlon non considera mai neanche un attimo le implicazioni morali di cancellare una nazione sovrana, di uccidere decine di migliaia di civili e di sradicarne altrettanti dalle loro dimore. Questo genere di cose sono semplicemente indifferenti per gli esperti che concepiscono queste strategie imperiali. E’ solo altra farina da macinare». Whitney fa notare inoltre che l’autore dello studio si riferisce a “zone cuscinetto” e “zone sicure”, ovvero «i medesimi termini che sono stati usati ripetutamente nell’ambito dell’accordo Usa-Turchia sull’uso da parte degli americani della base aerea di Incirlik». La Turchia ha chiesto agli Usa di assistere nella creazione di queste “zone sicure” lungo il confine Nord della Siria, in modo che fungano da “santuari” per l’addestramento delle cosiddette forze moderate da Michael O'Hanlonimpiegare nella “guerra contro l’Isis”. Questo è il piano di O’Hanlon per frammentare lo Stato in milioni di enclaves disconnesse tra loro, «ognuna retta da un manipolo di mercenari armati, affiliati ad Al Qaeda o signori della guerra locali».
«Ecco il sogno di Obama di una “Siria liberata”, uno Stato fallito precipitato nell’anarchia con una bella spruzzata di basi americane sopra, così che si potranno arraffare ed estrarne tutte le risorse senza impedimenti», aggiunge Whitney. «Quello che Obama vuole evitare a tutti i costi è un altro imbarazzante flop come l’Iraq, dove la rimozione di Saddam ha lasciato un vuoto di potere e una sensazione di insicurezza che ha portato a violenta e protratta rivolta che è costata cara agli Usa in termini di sangue, finanze e credibilità internazionale». Ecco la strategia oggi è diversa: «Gli obiettivi non sono mai cambiati, cambiano solo i metodi». Il piano, ammette lo stesso O’Hanlon, «non sarebbe diretto soltanto contro l’Isil, ma in parte anche contro Assad, senza mirare a rovesciarlo direttamente, ma piuttosto a negargli ogni possibilità di tornare a governare i territori su cui potrebbe aspirare a riottenere il controllo». Le “zone autonome” sarebbero “liberate” «con l’esplicito intendere che non torneranno mai sotto controllo di Assad o eventuale successore». E attenzione: «Se Assad continuasse a rifiutare di accordarsi per l’esilio, prima o poi si ritroverebbe vicino a costanti minacce al suo potere, se non alla sua persona».
Tutto questo, conclude Whitney, significa che «la Siria è designata come laboratorio per la gran strategia per i cambi di regime di O’Hanlon, una strategia nella quale Assad figura come porcellino d’India da esperimenti numero uno». E’ lo stesso O’Hanlon a spiegare che questo piano «scoraggerebbe chi possa pensare che Washington si accontenti di tollerare il governo Assad in quanto male minore». In pratica, per come la vede O’Hanlon, la Casa Bianca dovrebbe «abbandonare la pretesa di stare combattendo l’Isis e ammettere esplicitamente che l’imperativo è “Assad deve sparire”», chiarisce Whitney. Secondo O’Hanlon, «questo aiuterebbe a sistemare le cose con altri membri della coalizione che hanno dubbi rispetto alle reali intenzioni di Washington». L’uomo del Brookings Institute parla chiaro: «Squadre di supporto multilaterali, divise in forze speciali di terra e unità di difesa aerea devono essere sempre pronte al dispiegamento nelle diverse parti della Siria ogni volta che le forze di opposizione riescano a conquistare e mantenere nuove postazioni sicure. Questa chiaramente sarebbe la parte Assadpiù delicata, e il dispiegare squadroni sarebbe sempre pericoloso. Non bisognerebbe mai ordinare missioni in fretta e furia, ma farlo in maniera ponderata, tuttavia è parte indispensabile dello sforzo».
Traduzione di Whitney: «Stivali americani marceranno sul suolo della Siria, possiamo scommetterci. Va benissimo fare il miglior uso della carne da cannone jihadista per condurre la carica e indebolire il nemico, poi al momento giusto basta mandare la prima squadra e si è chiuso l’affare. Questo vuol dire invio di forze speciali, “no fly zone” su tutta la Siria, basi militari sul campo e una bella campagna di propaganda per continuare a convincere la “sheeple” (sheep+people, popolazione gregge) che per difendere la sicurezza nazionale Usa occorre necessariamente distruggere la Siria». Tutto questo, aggiunge Whitney, diventerà chiaro nella “fase due” della guerra, che è sul punto di intensificarsi. Per O’Hanlon, nonostante i rischi, il livello di coinvolgimento militare diretto degli Usa «non sarebbe particolarmente più sostanziale di quello che è stato necessario in Afghanistan durante l’ultimo anno».
Per cui, «sarebbe auspicabile che il presidente Obama non guardasse alla questione come un problema da lasciare in eredità al successore, ma piuttosto come una crisi urgente che richiede tutta la sua attenzione e la definizione di una nuova strategia al più presto». Ed ecco dunque il piano per «fare a pezzi la Siria, precipitarla in una crisi umanitaria anche peggiore di quella in cui già si trova e fare crollare Assad senza dover andare in prima persona a rimuoverlo dall’ufficio», scrive Whitney. «Un bel po’ di massacro e distruzione», in un mini-saggio di appena 1.100 parole. «Complimenti all’autore per le doti di sintesi. A noi non resta che domandarci se questi cervelloni stretegici pensano mai a quanto dolore comportano le loro grandi strategie, se gliene freghi almeno qualcosa delle conseguenze». Il piano, peraltro, sembra già in marcia. Subito dopo l’accordo con l’Iran, Obama ha promosso la “no fly zone” sul Kurdistan siriano: prima mossa dell’atroce risiko di cui parla O’Hanlon.

fonte: www.libreidee.org

domenica 20 settembre 2015

ponte di Calatrava



Il ponte della Costituzione (in fase di progetto Quarto ponte sul Canal Grande e meglio noto dopo la costruzione come ponte di Calatrava) è il ponte che attraversa il Canal Grande di Venezia fra piazzale Roma e la stazione ferroviaria Venezia Santa Lucia.

Il ponte è stato aperto al traffico pedonale la notte dell'11 settembre 2008.

La struttura e i materiali

In questa foto si notano il pavimento in vetro, il corrimano in ottone e i parapetti in vetro
Il progetto mostra un ponte dalla forma arcuata con una campata di 81 metri, larghezza di 6 metri alla base e 9 al centro per un’altezza di 10 metri al culmine; la struttura è in acciaio, i pavimenti in vetro della Saint Gobain, pietra d'Istria e Trachite Grigia Classica di Montemerlo. Anche i parapetti sono in vetro, con corrimano in ottone. All'interno dei corrimano sono installate lampadine a led che dissipano il raggio di luce nei parapetti in vetro.

Il ponte è lungo dagli scalini 94 metri mentre ha una ampiezza centrale di 81 metri. La larghezza varia da 5,58 metri fino a 9,38 metri nella parte centrale. L'altezza varia da 3,20 metri sulle sponde fino a 9,28 metri nella parte centrale. L'arco centrale in acciaio, elemento strutturale del ponte ha un raggio di 180 metri.

Il giornale inglese The Independent ha così commentato il ponte:

« Un progetto squisitamente moderno […] ma stilisticamente non fa a pugni con lo scenario, aiutato dal fatto di essere costruito in vetro e marmo dell’Istria, il materiale più usato a Venezia. […] Progettato da Santiago Calatrava, l’architetto spagnolo i cui progetti da Dublino ad Atene, passando per Buenos Aires hanno cambiato la nostra idea circa l’aspetto che deve avere un ponte, quello di Venezia è molto diverso dalle opere che lo hanno reso famoso. È l’essenza della discrezione: nessuna rete di cavi, nessuna rievocazione di arpe, lire o liuti, solo una semplice campata a forma di freccia da sponda a sponda, senza nessun supporto visibile. »

(The Independent)

Il nome

Nell'agosto del 2008 il sindaco propose di chiamare l'opera dell'architetto spagnolo ponte della Costituzione e di ribattezzare piazzale Roma (toponimo assegnato in epoca fascista) con il nome dell'antifascista Silvio Trentin, notando però le difficoltà conseguenti al mutamento di un nome fortemente radicato e conosciuto. In precedenza il sindaco aveva proposto in sede di Consiglio comunale il nome di ponte de la Zirada dato che il ponte si trova in corrispondenza della curva iniziale del Canal Grande, anticamente denominata zirada in lingua veneziana (a poca distanza si trova infatti la chiesa di Sant'Andrea della Zirada, ora sconsacrata e completamente inglobata nel terminal automobilistico di piazzale Roma). La proposta ricalca quella che era la volontà dell'Amministrazione comunale negli anni trenta di chiamare il campo di fronte alla stazione di Santa Lucia campo de la Zirada, ma durante il periodo fascista si preferì dare un nome che richiamasse la centralità del potere, per cui prese il nome che tutti ormai conoscono, veneziani e turisti, di piazzale Roma. Dopo la posa in opera dei conci del ponte erano circolate altre ipotesi sul nome, tra cui ponte delle Due Sante, in riferimento al nome delle due fondamenta unite dal ponte, quella di Santa Chiara e quella di Santa Lucia; ponte Sabbadino, in onore del proto che nel XVI secolo concepì l'idea di un nuovo ponte sul Canal Grande all'incirca nella stessa collocazione).

Il 4 settembre 2008 il sindaco annunciò che, con decisione presa all'unanimità dalla giunta, il ponte si sarebbe chiamato ponte della Costituzione.

Storia

Premesse

Fino al 1850 il Canal Grande era oltrepassato solamente dal ponte di Rialto: nel giro di dieci anni gli austriaci realizzarono due ponti in ferro, uno davanti alle Gallerie dell'Accademia e uno di fronte alla stazione ferroviaria, definiti entrambi dai veneziani "orridi bislunghi" per la forma che li caratterizzava. I due ponti in ghisa, oltre ad essere notevolmente deteriorati dal salso, condizionavano eccessivamente la navigazione sul Canal Grande, così furono entrambi sostituiti tra il 1934 e il 1938, rispettivamente dal ponte provvisorio in legno all'Accademia e dal ponte degli Scalzi realizzato interamente in pietra d'Istria, entrambi su progetto dell'ingegnere Eugenio Miozzi (1889-1979), all'epoca a capo della direzione lavori e servizi pubblici del Comune di Venezia.

Nel tempo, l'eccezionale sviluppo del turismo internazionale ha condotto spesso l'attenzione sul centro lagunare da parte dei più noti e famosi progettisti: si sono così interessati alla progettazione nella città lagunare (senza che alcunché sia mai andato in porto) Le Corbusier, Louis Kahn, Frank Lloyd Wright e più recentemente Alvaro Siza.

Il progetto di Calatrava

Nel 1997 il famoso architetto scultore ed ingegnere Santiago Calatrava regalò alla città di Venezia il progetto esecutivo per un quarto ponte sul Canal Grande di collegamento tra l'area di arrivo a Venezia (piazzale Roma) e la zona della stazione di Santa Lucia. Calatrava è autore di altri ponti famosi, come ad esempio il puente de la Mujer di Buenos Aires, il puente del Alamillo sul Guadalquivir e l'Oberbaumbrücke di Berlino.

Il progetto definitivo e l'affidamento dei lavori

Nel 1999 il Comune di Venezia affidò a Santiago Calatrava la preparazione della documentazione relativa al Disegno di Ingegneria architettonica e strutturale del IV Ponte sul Canal Grande. Il progetto venne elaborato in collaborazione con tutti gli enti coinvolti (Ferrovie dello Stato, ACTV, Associazione delle Persone Disabili, Vigili del Fuoco, Polizia, ecc.) e sottoposto a revisioni da parte dell'Associazione per la Protezione della Città di Venezia e della Sovrintendenza ai Beni Artistici e Culturali di Venezia.

L'ICMQ, organismo indipendente, approvò il progetto valutando il disegno come valido e adeguato alle norme legali. Successivamente il progetto esecutivo venne approvato dal Comune.

L'incarico dell'esecuzione dei lavori fu affidato, dopo la gara d'appalto, alla rodigina Cignoni, che si è avvalsa della collaborazione di professori universitari, quali l'ingegner Francesco Colleselli (dell'Università di Brescia) e l'ingegner Renato Vitaliani (dell'Università di Padova), e l'ingegner Giorgio Romaro (dell'Università di Padova) per il completamento delle strutture di acciaio e il montaggio.

Il trasporto e la messa in opera dei conci è stato eseguito dalla ditta Fagioli. Lavori di carpenteria metallica sono stati eseguiti dalla ditta Lorenzon Techmec System, che ha aperto un aspro contenzioso con la Cignoni, come emerso anche durante i lavori di un'apposita commissione d'inchiesta istituita dal Consiglio comunale.

I lavori

I lavori cominciarono nel 2003. I tempi previsti per la realizzazione erano stati stimati nel 2002 in 456 giorni, ovvero circa 1 anno e mezzo. I lavori durarono invece quasi 6 anni.

Trasporto dei conci e loro posa in opera

Il passaggio del concio centrale sotto al ponte di Rialto alla mezzanotte dell'8 agosto 2007.
Dopo anni di rinvii, dubbi sulla stabilità del ponte e polemiche sulla lievitazione dei costi, i lavori di posa in opera del ponte iniziarono il 28 luglio 2007 con la posa dei due conci laterali e si conclusero l'11 agosto 2007 con la posa del concio centrale sui due sostegni provvisori dopo il suo trasporto lungo il Canal Grande nella notte tra il 7 e l'8 agosto.

In particolare si trattò di trasportare il ponte, diviso in tre conci, via acqua da Marghera alla sede definitiva. Furono organizzati pertanto due trasporti distinti, uno per i due conci laterali e uno per il concio centrale. Partendo da Porto Marghera, percorsero il Canal della Giudecca e imboccarono il Canal Grande a punta della Dogana, per poi risalirlo fino al punto di posa. Per limitare i disagi dovuti alla chiusura del Canal Grande, entrambi i trasporti furono effettuati di notte.

Il primo trasporto, quello dei conci laterali, avvenne la notte tra il 27 e 28 luglio 2007. I due conci, entrambi di dimensioni 15,1 x 7,9 x 1,5 m e di peso 85 t, furono collocati sul pontone "Susanna" di dimensioni 16 x 50 m, che percorse il Canal Grande in 2 ore e 10 minuti, arrivando nella zona di piazzale Roma alle 2:05 del 28 luglio 2007, in anticipo rispetto alle previsioni grazie alle ottimali condizioni meteomarine.

La mattina del 28 luglio si provvide a porre in opera il concio laterale verso piazzale Roma, mentre la mattina successiva fu posizionato quello lato ferrovia.

Nella notte tra il 7 e 8 agosto 2007 avvenne il trasporto del concio centrale, di dimensioni 55,2 x 9,05 x 3,7 m e peso 250 t, anch'esso trasportato sul pontone Susanna. Il Canal Grande fu percorso in circa 3 ore e un quarto, giungendo a destinazione intorno alle 3 dell'8 agosto 2007, con un anticipo di 3 ore e 30 minuti rispetto al previsto. Particolarmente impegnativo e spettacolare fu il passaggio del concio sotto il ponte di Rialto.

La posa del concio centrale avvenne la mattina dell'11 agosto 2007: inizialmente fu posizionata la chiatta e il concio sopra di essa fu ruotato di 90 gradi; successivamente il concio fu sollevato e calato dall'alto appoggiandolo, con notevole precisione, sui due supporti provvisori che già sostenevano i conci laterali. L'intera operazione durò circa cinque ore: la conclusione, annunciata da tre suoni di sirena, avvenne alle ore 14:32.

Fasi successive

Tra agosto e settembre fu saldato il concio centrale ai laterali, e, una volta completate le saldature, il 21 settembre si poterono allentare i tiranti e abbassare gli appoggi delle pile provvisorie, così da prendere in forza sulle spalle il ponte, controllando con martinetti l'entità del carico e con sensori eventuali cedimenti delle spalle. La prova di carico, avvenuta nel novembre del 2007, ebbe esito positivo. Furono infine posti in opera i gradini (in parte di vetro e in parte di trachite grigia classica di Montemerlo, tutti di forma trapezoidale e diversi uno dall'altro, che dovevano essere tagliati con precisione millimetrica) e i parapetti.

Battesimo e apertura

Alla fine del mese di agosto del 2008 il sindaco rinunciò all'inaugurazione ufficiale del ponte, inizialmente prevista in occasione della visita del 18 settembre 2008 del presidente della Repubblica, che presenziava ad una manifestazione per il sessantesimo anniversario della Costituzione italiana. Ciò fu conseguenza delle annunciate manifestazioni di alcune parti politiche per il forte incremento dei costi e di alcune associazioni di disabili per il sussistere delle barriere architettoniche, che ne impedivano la fruizione a persone con disabilità motorie e visive, ipotizzando la violazione delle vigenti normative in materia che prevedono la possibilità di approvare e finanziare esclusivamente di progetti privi di barriere architettoniche.

L'apertura del ponte avvenne in sordina alle ore 23:44 di giovedì 11 settembre 2008. Nella serata si svolse un piccolo rinfresco con le maestranze del cantiere iniziato verso le ore 21:00, al quale parteciparono membri della giunta, il sindaco stesso ed alcuni giornalisti.

Accessibilità ai portatori di handicap e ovovia

L'ovovia è il dispositivo traslante che dalle 8.00 alle 22.00 (dalle 9.30 alle 20.00 nei giorni festivi) permette di trasportare i disabili (anche con accompagnatore), gli anziani con problemi di mobilità e le donne in avanzato stato di gravidanza o con passeggini, senza dover attraversare il ponte.

Il tempo minimo di percorrenza è previsto in circa 7 minuti.

Il costo previsto inizialmente era pari a € 1.043.603,04 poi aumentato a 1,8 milioni.

L'infrastruttura è formata da due elevatori denominati piloni di attacco e da due guide posizionate sotto il ponte nel lato che si affaccia verso il ponte della Libertà.

La cabina di trasporto (la cosiddetta ovovia) invece è il mezzo che utilizza l'infrastruttura.

Ad esempio, se la cabina si trova nella riva desiderata, dopo essere entrati a bordo, la cabina si alza per mezzo dell'elevatore fino alle rotaie, utilizza le rotaie fino all'altro elevatore e poi scende per mezzo dell'altro elevatore.

Chi deve utilizzare il dispositivo di trasporto agevolato deve spingere il bottone di un videocitofono collegato con il personale di Avm, che, verificato al video che il richiedente sia effettivamente impossibilitato a oltrepassare il ponte in altro modo, azionerà l’ovovia.

L’ovovia, che può portare al massimo due passeggeri per viaggio, è dotata di una scocca su cui prendono posto i passeggeri, di una parte trasparente per la visione esterna e di una cupola resistente in fibra di carbonio. Saliti a bordo, dopo aver azionato il tasto start, le porte si chiudono, la cabina viene sollevata da suolo da un elevatore e depositata sulla slitta traslante che si avvia verso l’altro capo del ponte. Quando arriva a fine corsa, si ripete la manovra di scambio in senso inverso e i passeggeri possono scendere attraverso una rampa che raccorda l’ascensore alla pavimentazione.

Costi e controversie

Il costo di tale opera si aggira intorno agli 11,3 milioni di euro, a cui vanno aggiunti 1,8 milioni di euro per l'ovovia. La cifra finale supera nettamente i 6,7 milioni di euro previsti nella gara d'appalto. Inoltre, altri costi sono previsti per la manutenzione ed il controllo del ponte.

Per tutti questi motivi, dopo che anche la Corte dei Conti si era interessata della vicenda, nel febbraio 2008 il procuratore aggiunto Carlo Mastelloni ha disposto l'acquisizione della documentazione sulla gara d'appalto e dei progetti tecnici del ponte. L'inchiesta conoscitiva, durata due anni e curata anche da un altro procuratore aggiunto (Carlo Nordio), è stata archiviata perché non sono stati rilevati reati. Tuttavia il procuratore aggiunto Carlo Nordio ha comunque sottolineato:

« [...] i gravissimi errori caratterizzanti sia la fase progettuale sia quella esecutiva, sia quella relativa allo stesso bando di gara, errori rappresentativi di una radicale incapacità [...] di comprendere la complessità tecnica di un’opera così ambiziosa, errori ripetutisi in una sorta di clonazione esponenziale hanno dilatato i tempi di realizzazione e i costi dell’opera. [...] »

(Procuratore aggiunto)
Il ponte della Costituzione è stato fatto oggetto di accertamenti tecnici da parte ministeriale, per presunte omissioni da parte del progettista in merito alla reale esecutività del progetto a suo tempo presentato. In particolare, il ponte della Costituzione pareva essere interessato da problemi statici. Tuttavia il collaudatore, con una nota inviata al Comune di Venezia il 9 settembre 2009, ha confermato la completa agibilità del ponte.

Nel febbraio 2013 un dossier messo a punto dalla Procura Generale della Corte dei Conti cita lo "scivoloso" ponte di Venezia dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava, per il quale la Corte dei Conti ha riscontrato "comportamenti colpevoli del progettista e del direttore dei lavori". "Tanti scivoloni per i turisti" e un danno all’erario di 3,467 milioni di euro..

Il processo inizierà il 13 novembre 2013, con una citazione in giudizio all'architetto valenzano per 3,886 milioni di euro che sarebbero, secondo il Procuratore della Corte dei Conti del Veneto, i danni erariali imputabili a carenze progettuali.

fonte: Wikipedia

IL FATTO QUOTIDIANO

Nitro



Nicola Albera, meglio conosciuto come Nitro o Nitro Wilson, è un rapper italiano.

Si è avvicinato alla cultura hip hop grazie al freestyle. Ha iniziato militando nel collettivo Gioventù Bruciata, insieme all'MC Moova e al produttore CeCe DuB e con i quali ha pubblicato nel 2010 il mixtape Born2Burn. Nel 2007 ha partecipato al suo primo Tecniche Perfette, arrivando alla semifinale della selezione regionale. Da lì ha continuato a partecipare alle battaglie di freestyle, vincendo nei due anni seguenti la fase regionale del Tecniche Perfette due volte di seguito, conquistando la finale nazionale per due volte e arrivando sempre tra i primi quattro.

Dopo l'esperienza del Tecniche Perfette, Nitro ha partecipato al contest organizzato da Radio Sherwood a Padova, vincendolo. L'esperienza dal vivo lo porta a far parte, sotto lo pseudonimo di Wilson Kemper, dei The Villains gruppo composto anche da Moova, Venom e Zethone. Questo progetto, ispirato al lato oscuro della fumettistica e del cinema, unisce diversi generi quali rap, dubstep, elettronica ed hardcore.

Nel 2012 ha partecipato al talent show MTV Spit, piazzandosi in seconda posizione, battuto solo da Ensi. Nello stesso anno è entrato a far parte del collettivo Machete, di cui fanno parte Salmo, El Raton, Enigma e DJ Slait. Il 30 ottobre dello stesso anno è stato pubblicato Casus belli, EP di Fabri Fibra nel quale è presente la prima collaborazione ufficiale di Nitro, precisamente nel brano Felice per me.

Nel 2013 ha partecipato nuovamente ad MTV Spit, arrivando nuovamente al secondo posto, battuto da Shade. Nello stesso anno ha partecipato alla produzione del mixtape Machete Mixtape Vol II, distribuito dalla Machete Empire Records, la quale ha prodotto e distribuito insieme a Sony Music il suo album di debutto, intitolato Danger.

Nel corso del 2014 ha preso parte alla realizzazione del mixtape Machete Mixtape III, cantando in dieci dei 24 brani presenti nello stesso.

Il 21 aprile 2015 ha pubblicato per il download digitale il singolo Rotten, il quale ha anticipato l'uscita del secondo album in studio Suicidol, pubblicato il 26 maggio. Il 15 maggio è entrato in rotazione radiofonica il secondo singolo Sassi e diamanti.

Discografia

Album in studio

2013 – Danger
2015 – Suicidol

Singoli

2013 – Back Again
2015 – Rotten
2015 – Sassi e diamanti

fonte: Wikipedia


lunedì 14 settembre 2015

fame e cannibalismo: così divoriamo i figli dei poveri

Nel mese di luglio 2008 si è svolto a Coney Island il campionato del mondo dei divoratori di hot dog. Il giovane statunitense Joey Chestnut ha battuto in finale il giapponese Takeru Kobayashi e ha superato tutti i precedenti record mondiali inghiottendo 66 hot dog in 12 minuti, mandando in delirio i più di 50.000 spettatori presenti in diretta all’impresa. Come premio, il campione ha ricevuto un buono di 250 dollari di acquisti in un centro commerciale e un anno intero di hot dog gratis presso la catena Nathan’s. Oggi, mentre scrivo queste righe, si celebra il campionato mondiale dei perditori di peso. Ogni secondo cinque persone si disputano la finale – un haitiano, un somalo, un ruandese, un congolese, un afgano – e i cinque ottengono la vittoria. Il premio è la morte. L’appetito di Joey Chestnut non è niente paragonato a quello che ha divorato – chiamiamoli così – René, Sohad, Randia, Sevére e Samia.
Ogni 12 minuti la povertà uccide tramite la fame 3.600 tra uomini, donne e bambini in tutto il mondo. O, il che è lo stesso: per ogni 5 hot dog a Coney Island 300 essere umani muoiono di inedia in Africa. Nel 1876 il vicere dell’India, lord Lytton, Joey Chestnutorganizzò a Delhi il banchetto più costoso e sontuoso della storia per festeggiare l’assunzione della regina Vittoria a Imperatrice coloniale. Per una settimana 68.000 invitati non smisero di mangiare e bere; in quella settimana, secondo i calcoli di un giornalista dell’epoca, morirono di fame 100.000 sudditi indiani nel quadro di una carestia senza precedenti che falciò almeno 30 milioni di vite e che fu provocata e aggravata dal “libero commercio” imposto dall’Inghilterra. Mentre i colonialisti inglesi mangiavano pernici e agnelli, i sopravvissuti indiani mangiavano i loro stessi figli.
La fame, lo sapppiamo, dissolve tutti i legami sociali e impone il cannibalismo. Bisogna avere davvero molta fame per mangiarsi con le lacrime agli occhi il cadavere di un vicino, ma bisogna avere moltissima fame per divorare allegramente 66 hot dog in 12 minuti.  Confesso che, ogni volta che penso alle carestie, non mi viene in mente il ventre gonfio di René o il seno vuoto di Samia, ma la voracità applaudita di Joey Chestnut, quale simbolo pubblicitario di un’economia che non può permettersi nemmeno di calmare gli appetiti di chi è sazio. Chestnut non è un cannibale, no, ma in un certo senso si alimenta del dimagrimento degli etiopi, dei tailandesi e degli egiziani: la terza parte del raccolto mondiale di cereali serve ad ingrassare gli animali che noi occidentali ci mangiamo (1 chilo di carne a persona al giorno gli statunitensi, più di ½ chilo gli europei) e basterebbe a dar da mangiare alla terza parte dei 1.000 milioni di persone che, secondo la Fao, patiscono la fame nel mondo.
Esagerare è misurare l’incommensurabile, è rendere appprendibile l’irrapresentabile. Esageriamo: Chestnut è un cannibale. Davanti alle 500.000 persone che lo applaudivano si è mangiato René, Randia, Sevére e Samia e altri 3.595 uomini, donne e bambini. Neppure Bokassa dimostrò mai tanto appetito.  A Chestnut si può chiedere che mangi meno e anche che si opponga al suo governo, ma in realtà anche lui è solo un’altra vittima della fame. C’è la fame di quelli che non hanno niente e c’è la fame di quelli che non hanno mai abbastanza; la fame di quelli che vogliono qualcosa e la fame di quelli che vogliono sempre di più: Jean-Bedel Bokassapiù carne, più petrolio, più automobili, più cellulari, più immagini, più giochi e – anche una moralità superiore. La relazione tra le due insoddisfazioni è un sistema globale. Vogliamo un uomo libero e abbiamo una fame libera.
Confesso che ogni volta che penso alla fame non mi viene in mente lo scheletro di Sohad né gli immensi occhi febbricitanti di Sevère, ma l’esercito degli Usa in Iraq e l’allegria depredatoria del Carrefour. Esagerare è rimpicciolire l’illimitato, è ridurre lo smisurato a scala umana. Esageriamo: il cannibalismo è, non più obbligatorio, ma elegante. Alcune poche menti privilegiate (da governi e da multinazionali) dedicano ogni loro sforzo a trovare il modo perchè a tutto il mondo, da tutte le parti, manchi qualcosa; perchè i i bambini di Haiti e della Sierra Leone soffrano la fame e si disperino per questo e perchè i consumatori occidentali – dopo aver divorato boschi, fiumi, minerali e animali (con le loro immagini) – si ritrovino affamati e se ne rallegrino.
Il capitalismo toglie ai paesi poveri le loro risorse e, allo stesso tempo, le forze per resistere; il capitalismo dà, a noi occidentali, le merci e, allo stesso tempo, la fame necessaria per inghiottirle senza fermarci; la fame diventa così, da un lato e dall’altro, la disgrazia oggettiva di Africa, Asia e America Latina e la felicità soggettiva di un’umanità culturalmente e materialmente insostenibile e condannata alla distruzione. Sì, la carestia dissolve tutti i legami sociali e impone il cannibalismo. La povertà relativa ravviva l’ingegno, inventa soluzioni collettive, improvvisa solidarietà e crea reti sociali di resistenza. Ma, sotto una Santiago Alba Ricocerta soglia, quando la fame minaccia la sopravvivenza, le trame si disfano e rimangono solo impulsi atomizzati, solitari, animali: individui puri opposti tra loro. Solo in questo senso – biologico e quasi zoologico – si può dire che le nostre società occidentali sono “individualiste”.
Qualche volta ho espresso la regola della soddisfazione antropologica con la seguente formula: “Poco è abbastanza, molto è già insufficiente”. Sotto il “poco” c’è la fame e sono impossibili la coscienza, la resistenza e la solidarietà; sopra l’“abbastanza” c’è più fame e sono impossibili anche la coscienza, la resistenza e la solidarietà. “Troppo” vuole sempre “di più”. Abbiamo già superato questo punto, a partire dal quale l’unica cosa che abbiamo – non auto, non carne, non case, non immagini – è fame; e la nostra voracità, come quella di Joey Chestnut, si sta mangiando – mentre scrivo queste righe – non solo Sania e Sohadi e Sevère, tanto annebbiati e lontani, ma anche i suoi stessi figli.
(Santiago Alba Rico, “Fame e cannibalismo”, estratto dal libro “Il naufragio dell’uomo”, ripreso da “Come Don Chisciotte” il 27 agosto 2015. Alba Rico è uno scrittore, saggista e filosofo spagnolo).

fonte: www.libreidee.org