mercoledì 26 agosto 2015

rose rosse, carrozze e Rolls Royce


Nell'antica Roma era consuetudine gettare petali di rose al passaggio dell’imperatore ed era fatta di rose la corona che egli portava sul suo capo. Il poeta latino Decimo Magno Ausonio associa alla rosa la fugacità della vita; in un suo idillio egli recita: “Una sola giornata comprende la vita della rosa; essa in un solo attimo congiunge la giovinezza e la vecchiaia”.

Anche molte iscrizioni funebri riprendono questo tema; ne sono state trovate alcune, deposte soprattutto per ricordare chi era defunto in età giovanile, con scritto: “Nacque e subito morì, proprio come una rosa”. Nel romanzo “L’Asino d’oro” di Lucio Apuleio, la dea Iside promette a Lucio, trasformato da un maleficio in un asino, di farlo ridiventare uomo durante una processione dedicata alla dea, non appena costui avesse mangiato una corona di rose che il sacerdote di Iside gli avesse consegnato.

Si riteneva che la rosa fosse dotata di poteri magici e che fosse alla base di ogni processo di rigenerazione che riguardava l’essere umano. Questo è anche testimoniato dall’affinità del termine latino rosa con quello ros che sta ad indicare pioggia, rugiada, elementi indispensabili allo svilupparsi ed all’evolversi della vita sulla terra. 


E' abbastanza singolare che il nome rosa sia comune in quasi tutte le lingue europee, con piccole varianti: die rose in tedesco; rose in francese, danese, inglese; rosa in spagnolo, italiano ed ancor prima in latino; roza in ungherese; ros in svedese; royz in yiddish, solo per citarne qualcuna.

Trattandosi sia di lingue derivate dal latino che da altri ceppi, possiamo a ben ragione affermare che questo fiore abbia diritto di essere considerato un elemento unificatore del nostro continente. Nell’alchimia e nelle scienze magiche in genere, la rosa rossa è ritenuta l'elemento primordiale di cui si ritiene composta la materia esistente: sostanza “volatile” e ingrediente “in combustione”. 


L’unione tra la rosa e la croce – oltre ad essere alla base della figura del rosone – è il simbolo dei Rosacroce, setta di impronta evangelica che nacque in Germania nel XVII secolo, per diffondersi successivamente in Francia. Il loro nome deriva da un adepto della setta, il cavaliere tedesco Kristian Rosenkreuz, vissuto nel secolo XV, la cui tomba venne scoperta in Marocco. I “Rosacrociani”, che si vantavano di predire l’avvenire e di poter guarire malati incurabili, avevano per simbolo una rosa a cinque petali posta al centro di una croce.


Nel mondo della massoneria la rosa riveste un’importanza fondamentale; durante il funerale di un “fratello” è, infatti, costume gettare nella tomba tre rose di colore diverso, dette Rose di San Giovanni che significano amore, luce e vita. Il 24 Giugno, giorno della festività di San Giovanni è consuetudine decorare gli interni di ogni loggia massonica con tre rose di diverso colore. Anticamente i Germani eseguivano in onore della divinità Ziu (l’equivalente del dio Marte) la “Danza della spada”, nella quale veniva simulato un combattimento tra giovani ballerini. Costoro, al termine della danza, univano le punte delle loro spade in modo da formare una rosa, e portavano in trionfo il corifeo, ossia colui che aveva guidato il ballo propiziatorio. (1)



Nel 1700 le feste dell'ordine della Gran Loggia anglosassone erano ordinariamente accompagnate da processioni solenni. In queste occasioni i fratelli percorrevano le vie decorati di grembiali, fasce ed altri massonici distintivi: portavano le loro bandiere, le due colonne portatili J e B, le spade fiammeggianti, i quadri simbolici; in una parola tutti gli oggetti che si trovavano segretamente conservati in loggia erano portati con gran pompa ed esposti alla vista di tutti i profani; bande musicali e cantanti si facevano sentire durante tutto il tempo della processione. Le vie da essa attraversate erano gremite di gente che correva da tutti i dintorni per curiosare.

L'abate Prevot ci ha conservato nel suo giornale il Pour et Contre una minutissima descrizione di una processione di queste.



Il 9 maggio 1737, giorno stabilito per l'installazione del conte di Damley, in qualità di nuovo gran maestro della società dei liberi muratori, tutti i grandi ufficiali della confraternità, rivestiti dei collari d'ufficio, si portarono presso questo signore, onde complimentarlo per la sua carica di gran maestro. Il cammino si fece nel modo seguente:

"1. Sei carrozze occupate dai dodici fratelli intendenti della festa (stewards) rivestiti di collari e grembiali, tenendo in mano le loro bacchette bianche;
2. Cento maestri delle diverse logge della società, rivestiti dei collari i distintivi, occupavano cinquanta carrozze;
3. I sorveglianti ed i principali membri delle altre logge andavano pure due a due in altre carrozze;
4. Un naccherino, quattro trombette ed otto corni da caccia, montavano tredici cavalli bianchi;
5. Il conte di London, gran maestro uscente di ufficio ed il conte Damley, nuovo gran maestro, erano seduti in un superbo cocchio tirato da sei cavalli grigi pomellati, coperti di gualdrappe di velluto cremisi ricamate in oro;
6. Degli araldi d'armi precedevano le carrozze portando le insegne del gran maestro e molti uscieri camminavano vicino agli sportelli del cocchio;
7. La carrozza era seguita dai domestici di questi due signori in nuove livree di gran lusso; alla testa del corteggio camminava a cavallo il grand'esperto con la spada fiammeggiante in mano.

Giunti alla sala dei mercanti pescivendoli, i fratelli furono ricevuti nel primo cortile dai membri della società con grida di gioia".



Le prime volte che si fecero questo processioni, imposero alla massa del pubblico; ma le frequenti repliche dissiparono quel gran prestigio che avevano destato; lo spirito si diede a divertirsi a spese della confraternita con dei frizzi e dei scherzi, ai quali succedevano dei malumori spaventosi, particolari al popolo nei suoi cattivi momenti. I fratelli fecero da principio buon viso, ma tosto la disparità d'idee si introdusse nelle loro file. I più zelanti voleano che si attaccasse di fronte l'uragano, i più prudenti erano d'avviso di non esporsi. Alcuni degli ultimi credettero ottenere più presto una decisione conforme alle loro vedute, con questo mezzo, cioè facendo causa comune coi motteggiatori, organizzando a grande spesa delle processioni grottesche, con le quali essi divertivano gli oziosi della città. 

Questo argomento fu poco massonico, e bisogna credere che invece di convincere i più zelanti li dovette irritare; però si pubblico nel 1742 una caricatura che ebbe un successo sì grande da attirare tante satire suiprocessionisti che bisognò di buono o mal grado considerarsi battuti. (2)




Osho, assieme a Rael e Sai Baba é certamente tra i più conosciuti “profeti” della New Age, ancora oggi celebrato da milioni di ingenui che pubblicano le sue frasi ad effetto su social network e vedono in questo truffatore patentato un “maestro” di vita, nonostante siano ormai moltissime le testimonianze che raccontano qualcosa di completamente diverso, descrivendo un vero e proprio Guru, a capo di un incubo Orwelliano.


Scrive Christopher Calder in “Osho, Bhagwan Rajneesh e la Verità Perduta”


“Rajneesh modellò la comune dell’Oregon sulla sua mente. Si fece dittatore definitivo, la sua foto era collocata ovunque come in un incubo orwelliano. L’atmosfera totalitaria fu solo una delle molte ragioni per cui non mi fermai alla comune e mi limitai a brevi visite. Ero stato catturato nell’interesse per la “meditazione” ma quello che trovai era un grande campo di concentramento dove gli esseri umani venivano trattati come insetti privi di intelligenza propria. Rajneesh metteva tanta enfasi sul fatto che i discepoli dovessero eseguire senza far domande. Sheela e la sua gang, come amava definirli Rajneesh, misero su un sistema di intercettazioni ambientali e telefoniche che stupì gli agenti dell’FBI che lo esaminarono, durante le indagini effettuate dopo la fuga dalla Comune del gruppo dei venti capeggiato da Sheela. Non c’era luogo della Comune che sfuggisse alla loro occhiuta sorveglianza, gabinetti e camere da letto comprese, anche i bambini della scuola venivano sorvegliati. Inoltre i tecnici dell’FBI rimasero meravigliati dal sistema di intercettazione telefonica e della possibilità di poter non solo monitorare tutte le comunicazioni ma di registrarle contemporaneamente. Un sistema avanzatissimo che non avevano mai avuto occasione di vedere altrove”. In breve… il “NUOVO ORDINE MONDIALE”… in piccola scala.


Rajneesh aveva manifestato la sua volontà di serbare il pubblico silenzio. Quindi sostituì gli usuali incontri pubblici che si svolgevano a Poona con delle “passaggiate” in Rolls Royce. Nel 1980 acquisto la sua prima Rolls Royce, una Cornicle protetta da corazze e vetri antiproiettili. Dopo che si fu stabilito nella comune i suoi discepoli dissero che voleva una Rolls per ogni giorno dell’anno e iniziarono a comprarle, a volte, al ritmo di due al mese. (Incredibilmente questo meccanismo é IDENTICO a quello dei RAELIANI, anche il GURU RAEL oggi corre in lamborghini sui circuiti TOTALMENTE SPESATO dai suoi “fedeli”…) La Comune mise su un proprio centro di assistenza e un ingegnere della Rolls si recava periodicamente alla comune per testare le automobili. Una Rolls costa circa 173.000 dollari, dalla vendita della flotta di Rajneesh si ricavarono qualcosa come 1,4 milioni di dollari.

Questa passione smodata per le Rolls Royce fece guadagnare a Rajneesh il soprannome di “Guru delle Rolls”: “Io sono il più povero uomo sulla terra. Non ho un solo centesimo con me”. (Osho)

Quando si domandò ad Osho della sua faraonica ricchezza egli scrisse:“Quelle macchine non mi appartengono, nulla mi appartiene. Sono il più povero uomo nell’intero mondo, La mia gente mi ama; vogliono fare qualcosa per me. Tutte quelle macchine appartengono alla comune. Loro le rendono disponibili a me per un’ora ciascun giorno. Io non so che macchina essi portano, ma una cosa è certa, che io sto bene solo in una Silver Spur. E loro mi amano così tanto che stanno tentando di avere trecensosessantacinque Rolls Royce, una per ciascun giorno. E io dico, perchè no? Grande idea!” Queste parole sono una presa in giro… Il delirio totale. Ma i fedelissimi pagano… e tacciono. (3)


Tornando al funerale del boss Casamonica e al risalto mediatico di questi giorni, ritengo che si siano voluti lanciare dei messaggi; da parte non solo dei Casamonica, ma di tutto il mondo che gravita attorno (e sopra) a loro: il “Mondo di Sopra”, come lo definiva Carminati. E qui arrivo anche all’aspetto simbolico... Già giovedì stesso, leggendo la notizia, non ho potuto fare a meno di notare le rose rosse lanciate dall’elicottero: a mio parere sono una firma, a suggellare l’intera operazione. I media continuano a ripetere come un mantra: l’elicottero che lancia i petali di rosa, la musica del Padrino, la Rolls Royce, la scritta “Re di Roma”... Perché questa insistenza proprio su questi elementi? Si potrebbe pensare perché sono elementi pittoreschi e colpiscono, dunque a livello giornalistico e mediatico funzionano. Sì, è una risposta... A livello basso è così.

Ma c’è una risposta più profonda, che prende in considerazione appunto il livello simbolico. I petali di rose rosse, il Padrino nel film porta una rosa rossa sulla giacca, Rolls Royce - RR, Re di Roma - RR, Re Casamonica - RC... Sicuramente alla maggior parte delle persone questi particolari non dicono nulla, oppure penseranno che sono solo coincidenze, o peggio ancora che sono deliri; ma occorre conoscere la simbologia della Rosa Rossa per capire. Penso che nemmeno la maggior parte dei membri della famiglia Casamonica sia consapevole di ciò: non credo che i ragazzotti che sono stati intervistati in tv conoscano la simbologia esoterica. Ma chi è sopra di loro ha manovrato consapevolmente il tutto, a più livelli.


Ho ascoltato diverse interviste ad alcuni Casamonica in questi giorni. Tra i tanti strafalcioni, una cosa giusta l’hanno detta:“Abbiamo fatto un altro funerale tre anni fa, con lo stesso stile. Come mai non ne avete parlato? Come mai adesso fate tutto questo clamore?”. Eh, appunto: come mai? Perché ora le condizioni sono diverse rispetto a tre anni fa... Perché ora questo funerale è strumentale e serve non solo a manipolare l’opinione pubblica, ma soprattutto a lanciare messaggi e forse anche avvertimenti e minacce a qualcuno.

Quando qualcuno viene ucciso per mano della Rosa Rossa, compaiono le rose nella simbologia del delitto. Inizialmente volevo intitolare questo post “Rose Rosse per Vittorio Casamonica”Ma le rose rosse non sono per Vittorio Casamonica... sono per la città di Roma. A più livelli. Però mi ha colpito anche il nome: Vittorio. E i petali di rosa sembrano quasi suggellare la “Vittoria” del vero Re di Roma (che non è sicuramente lui) sulla Capitale. (4)

Il lavaggio del cervello è TOTALE.

Fonti:

(1) - La compagnia della rose
(2) - Storia della massoneria e delle società segrete di B. Clavel 
(3) - Lo Sai
(4) - Paolo Franceschetti

fonte: freeondarevolution.blogspot.it

venerdì 21 agosto 2015

obesità: la gallina dalle uova d'oro

Oggi ho ascoltato  in TV un medico fare queste dichiarazioni;

*l'obesità è una malattia non un peccato veniale.. ( gli inventori di malattie non si fermano mai)
*dall' obesità non si guarisce.. ( peggio dell'AIDS) 
*per l'obesità serve una cura farmacologica costante .. ( i farmaci li prescrive lui)
*una volta o due la settimana puoi mangiare torte e dolci a volontà ..
(ma si che vuoi che sia qualche torta ogni tanto, poi ci sono le pastigliette)
*in Italia certi farmaci purtroppo sono vietati non come in America che sono avanti ( ma che sfortuna, ma dai è solo questione di tempo, gli italiani sono sempre un po indietro, ma poi recuperano)

certo devo dire che questo medico  si impegna molto per incrementare il suo business, non certo per aiutare gli obesi a cambiare atteggiamento nel confronti del cibo, ma per ingrassare il proprio conto in banca è di sicuro bravissimo

Qui sotto un articolo sull'argomento
Antar Raja

 Il mondo ha bisogno di una dieta dimagrante, visto che ormai un terzo della sua popolazione è sovrappeso o obesa. Lo sottolinea un rapporto dell'ong britannica Overseas development institute, secondo cui tra il 1980 e il 2008 la percentuale di persone nel mondo con indice di massa corporea superiore a 25 è salita dal 23 al 34%. A determinare il boom di sovrappeso sono stati soprattutto i paesi in via di sviluppo, dove ormai sono quasi un miliardo, quattro volte di più rispetto al 1980.
Nonostante la salutare dieta mediterranea, anche in Italia i dati sull'obesità sono allarmanti già da tempo. In Abruzzo colpisce il 10% della popolazione. Un abruzzese su tre è in sovrappeso. La nostra regione è fra le più colpite in Italia da questa patologia che solo parzialmente viene riconosciuta come tale dal Sistema sanitario nazionale. Lo scorso settembre il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha ricevuto a Roma alcuni medici specialisti all’avanguardia in Italia e l’avvocato Angela Ferracci, presidente del Comitato italiano per i diritti degli obesi e affetti da disturbi alimentari (Cido). Fra i medici che ha sollecitato questo incontro l’abruzzese Camillo Ezio Di Flaviano, primario del reparto di Riabilitazione nutrizionale del Policlinico Abano Terme (Veneto) e, fino pochi mesi fa, anche nella Casa di cura Villa Pini di Chieti. Con la Ministra si è discusso degli ostacoli burocratici e normativi che impediscono il ricovero riabilitativo, sul pregiudizio socio-sanitario e sulle barriere strumentali che impediscono l’accesso alle cure per gli obesi. “L’esempio diretto è quella della Ferracci – rivela Di Flaviano – che è obesa e tempo fa, con un’emorragia celebrale, ha dovuto girare  mezza Italia per trovare una risonanza magnetica che la contenesse, senza trovarla. I cittadini non sanno che le strutture non sono a portata di obeso: al Pronto soccorso per loro non c’è il misuratore di pressione, così come lettini e sedie a rotelle. 
Vi è un atteggiamento bivalente fra Stati Uniti ed Europa: in Usa vi sono 12-13 molecole farmacologiche; in Europa una sola. Per alcuni l’obesità è una malattia per altri un peccato veniale (di gola), una responsabilità personale del paziente: sei grasso perché goloso e pigro.
Con questo atteggiamento si fa fatica a trovare il farmaco adatto perché anche il più sicuro può avere effetti collaterali imprevedibili. Si pensa che per l’obesità non valga la pena rischiare tanto è una responsabilità personale, ed è, quindi, difficile da noi accettare farmaci che in Usa sono realtà.
L’intervento riabilitativo ancora non accettato in tutto il territorio pur essendoci linee guida. C’è anche una tendenza a dire: se deve dimagrire che se lo pagasse da solo perché deve pagarlo il Ssn?”. Di Flaviano spiega perché, invece, che l’obeso va considerato sempre un malato

: le complicanze del sovrappeso eccessivo “impattano sull’8% dei costi del Ssn – rivela – Poi ci sono i costi accessori o secondari per la collettività: chi è grasso ha più difficoltà a trovare lavoro ad avere relazioni sociali, si ammala di più e quindi si assenta di più dal lavoro. A Villa Pini, dove i miei collaboratori proseguono, abbiamo dato il via al reparto di Riabilitazione nutrizionale negli 1997 con sei posti letto per arrivare ai 60 del 2001. Riabilitazione è recupero di abilità perse o ridotte a causa dell’obesità, del comportamento alimentare, motorio e psicologico: le persone devono cambiare la testa per cambiare i comportamenti. A Chieti i pazienti extraregionali erano l’80%, pure dal Nord, viaggi della speranza al contrario e tutto in convenzione. Poi è arrivato il fallimento, ci siamo fermati per un anno e mezzo per poi ripartite, grazie a Nicola Petruzzi, ad Abano terme. Dopo la Lorenzin, siamo stati convocati in Regione per definire un coordinamento della attività di obesità e disturbi alimentari e definire le nuove regole per i ricoveri, regole certe e chiare come in Veneto, pubblicate sul Bura. Curare gli obesi significa ridurre i costi della sanità, l’intervento chirurgico non è l’unica cura anche perché non è soluzione definitiva ma definita: il paziente va preparato, abilitato sennò fallisce pure l’intervento. In Veneto deospedalizzano, il ricovero solo in casi acuti. Ad Abano – conclude – i reparti sono all’aperto, il paziente fa attività interne ed esterne seguito da un equipe di medici, dietisti, infermieri e fisioterapisti”. La Lorenzin ha dimostrato sensibilità anche perché ha confidato di avere un fratello obeso.

http://www.ilmondo.tv/it/notizie-salute-benessere/22-un-terzo-dell-umanita-e-obesa-allarme-anche-in-abruzzo.html
http://altrarealta.blogspot.it/

domenica 16 agosto 2015

i crimini delle multinazionali

McDonald’s – Ristorazione

I dipendenti sono sottopagati. Gli animali che forniscono la carne degli hamburger sono costretti a continue gravidanze e vengono imbottiti di antibiotici e farmaci. L’intera “politica pubblicitaria” della multinazionale mira a coinvolgere e convincere i bambini (con regali, promozioni e gadgets). E, ovviamente, quando il bambino rompe i coglioni perché vuole andare da McDonald’s, ci va tutta la famiglia. Tre piccioni con un cheesburger.
La campagna contro questa multinazionale dura ormai da più di una decina d’anni. La McDonald’s è finita più volte sotto processo. Ha pagato diversi milioni di dollari di risarcimento danni ai consumatori.
Negli ultimi sei mesi il fatturato è sceso del 13%.

Nestlé – Alimentari

La campagna di boicottaggio della Nestlé è nata soprattutto dalla politica della società nella vendita del latte in polvere (qui l’azienda controlla più del % del mercato mondiale). La multinazionale avrebbe provocato la morte di 1,5 milioni di bambini per malnutrizione. La Nestlè incoraggia e pubblicizza l’alimentazione dal biberon fornendo informazioni distorte sull’opportunità dell’allattamento artificiale e dando campioni gratuiti di latte agli ospedali (in particolare negli ospedali del Terzo mondo), o “dimenticando” di riscuotere i pagamenti.
Oltre a questo la Nestlè è considerata una delle multinazionali più potenti e più pericolose del mondo. E’ criticata per frodi e illeciti finanziari, abusi di potere, inciuci politici, appoggio e sostegno di regimi dittatoriali. Ultimamente è stata presa di mira per l’utilizzo di organismi geneticamente modificati nella pasta (Buitoni), nei latticini, dolci e merendine.
Intere aree di foresta vengono distrutte per far posto alle sue piantagioni di cacao e di caffè, dove si utilizzano pesticidi molto pericolosi (alcuni proibiti nei paesi industrializzati).
Ecco una lista completa dei marchi di proprietà Nestlè:

Acque minerali e Bevande: Claudia, Giara, Giulia, Levissima, Limpia, Lora Recoaro, Panna, Pejo, Perrier, Pra Castello, San Bernardo, San Pellegrino, Sandalia, Tione, Ulmeta, Vera, Acqua Brillante Recoaro, Batik, Beltè, Chinò, Gingerino Recoaro, Mirage, Nestea, One-o-one, San Pellegrino, Sanbitter.
Dolci, gelati, merendine: Le ore liete, Cheerios, Chocapic, Fibre 1, Fitness, Kix, Nesquik, Trio, Kit Kat, Lion, Motta, Alemagna, Baci, Cioccoblocco, Galak, Perugina, Smarties, Antica Gelateria del Corso
Cacao, caffè e derivati: Cacao Perugina, Nescafè, Malto Kneipp, Orzoro.
Carne e pesce: Vismara, Mare fresco, Surgela,
Frutta e Verdure (anche sottolio e sottaceto): Condipasta, Condiriso, Berni, la Valle degli Orti
Latticini e yogurt: Formaggi Mio, Fruit joy, Fruttolo, Lc1.
Olio e derivati: Sasso, Sassonaise, Maggi,
Latte in polvere: Guigoz, Mio, Nidina, Nestum.
Philip Morris – Sigarette e alimentari

E’ la maggior industria del tabacco del mondo. Si stima che solo le Marlboro uccidano più di 75mila americani all’anno. In america è famosa per essere una delle maggiori finanziatrici di politici che intraprendono battaglie per l’abolizione dei limiti e divieti di fumo. Fino al 1998 finanziava gli scienziati perché effettuassero studi da cui risultava che il fumo passivo non era nocivo. Solo nel 1999 ha ammesso che il fumo fa male. Nel 1997 ha accettato, insieme ad altre multinazionale del tabacco di pagare 206 milioni di dollari (in 25 anni) per risarcire lo stato delle spese sostenute per curare i malati “di fumo”.

La Kraft è stata segnalata perché usa organismi geneticamente modificati nei suoi prodotti.
La Philip Morris controlla il marchio Kraft, Fattorie Osella, Mozary, Invernizzi, Invernizzina, Jocca, Linderberg, Lunchables, Maman Louise, Jacobs caffè e Hag, Simmenthal, Spuntì, Lila Pause, Milka Tender, Terry’s, Caramba, Faemino, Splendid, Cote d’Or, Baika, Dover, Gim, Philadelphia, Sottilette, Susanna, Leggereste, Mato-Mato.
Unilever – Alimentare e chimica

Molte associazioni animaliste come Animal Aid hanno lanciato una campagna contro la Unilever per lo sfruttamento degli animali durante gli esperimenti.
E’ boicottata anche per i salari e le condizioni di lavoro nelle sue piantagioni in India (dove possiede il 98% del mercato del tè).

La Unilever controlla i marchi: Lipton Ice Tea, Coccolino, Bio presto, Omo, Surf, Svelto,Cif, Lysoform, Vim, Algida, Carte d’Or, Eldorado, Magnum, Solero, Sorbetteria di Ranieri, Findus, Genepesca, Igloo, Mikana, Vive la vie, Calvè, Mayò, Top-down, Foglia d’oro, Gradina, Maya, Rama, Bertolli, Dante, Rocca dell’uliveto, San Giorgio, Friol, Axe, Clear, Denim, Dimension, Durban’s, Mentadent, Pepsodent, Rexona,
Chiquita – Alimentari

E’ coinvolta in tutto. Intrighi internazionali, scioperi repressi nel sangue, corruzione, scandali e colpi di stato. Utilizza massicce quantità di pesticidi, erbicidi e insetticidi. Approfitta della sua posizione di potere per imporre prezzi molto bassi delle aziende agricole da cui si rifornisce.
Nel 1994 il sindacato SITRAP ha denunciato l’esistenza di squadre armate all’interno delle piantagioni in Centro America e in Ecuador. I lavoratori sono sottopagati, senza alcuna assistenza medica. Le attività sindacali sono represse talvolta con la forza.
Per saperne di più vedi: Banane Insanguinate
Procter & Gamble – Detersivi – Cosmesi e Alimentari

Questa multinazionale statunitense (fatturato annuale 76mila miliardi di lire) ufficialmente è boicottata dalle associazioni animaliste (Buav, Peta e Uncaged) perché testa i suoi prodotti sugli animali. Ultimamente però la Procter & G è tornata alla ribalta con le patatine Pringles. Contengono organismi geneticamente modificati.
Per quanto riguarda l’ambiente, nonostante le politiche di riduzione degli imballaggi e dei componenti inquinanti, l’azienda rimane una delle maggiori fonti di rifiuti del mondo: i pannolini. In America sono il 2% della spazzatura totale del paese.
E’ nota anche per appoggiare associazioni “ambientaliste” che difendono le politiche delle aziende e delle grandi industrie.
Nel 1997 aveva messo a punto un prodotto di sintesi, battezzato Olestra, da utilizzarsi come sostituto dell’olio. Dopo lunghe pressioni sulla Food and Drug Administrator il prodotto era stato autorizzato all’impiego. E’ stato accertato che provoca diarrea e impedisce l’assorbimento di vitamine liposubili.
La P&G controla i marchi: Intervallo, Lines, Tampax, Bounty (carta assorbente), Tempo, Senz’acqua Lines, Dignity, Linidor, Pampers, Lenor, Ariel, Bolt, Dash, Tide, Nelsen, Ace, Ace Gentile, Baleno, Febreze, Mastro Lindo, Mister Verde, Spic&Span, Tuono, Viakal, Pringles, Infasil, Heald&Shoulders, Keramine H, Oil of Olaz, AZ, Topexan, Infasil, Dove, Panni Swiffer,
Novartis – Chimica e Alimentari

Leader, insieme alla Monsanto nel settore delle biotecnologie. Specializzata nella produzione di mais geneticamente modificato.
Distribuisce con i marchi: Isostad, Vigoplus (bevande dietetiche), Novo Sal, Ovomaltine, Cereal, Piz Buin (crema protettiva)

Esso (Exxon Mobil)

I Verdi del Parlamento Europeo hanno lanciato una campagna di boicottaggio perché la Exxon, l’industria più ricca del mondo, ha sostenuto fortemente l’abbandono del protocollo di Kyoto per la difesa ambientale da parte degli Stati Uniti.

Multinazionali non ufficialmente boicottare, ma da cui è meglio stare alla larga

Monsanto – Agrochimica gruppo Pharmacia

Metà del suo fatturato annuale (34mila miliardi di lire) proviene dalla produzione di erbicidi, di ormoni di sintesi e di sementi geneticamente modificate. Il resto proviene dalle attività farmaceutiche.
E’ il terzo produttore del mondo di pesticidi e controlla il 10% del mercato mondiale. E’ una delle maggiori aziende del mondo nella produzione di sementi geneticamente modificati (capaci di resistere agli stessi erbicidi prodotti dalla stessa Monsanto).
Nel 1997, negli Stati Uniti, ha pagato una multa di 50mila dollari per pubblicità ingannevole. Aveva definito l’erbicida Roundup un prodotto “biodegradabile ed ecologico”.
Ancora nel 1997, in occasione della conferenza sul clima di Kyoto, la multinazionale ha fatto pressioni affinché la conferenza non inserisse gli HFC (idro fluoro carburi, sostanze pericolose perché contribuiscono in misura notevole all’effetto serra) fra i gas da ridurre.
Nel 1999 è stata denunciata per abuso di posizione dominante nel settore delle biotecnologie.
Sempre nel 1999 è stata denunciata perché testava i suoi prodotti sugli animali.
Controlla i marchi: Mivida Misura

Burger King

In Gran Bretagna è stata al centro dell’attenzione perché stipulava contratti denominati “a zero-ore”. I dipendenti non venivano pagati quando ad esempio il negozio era vuoto e quindi non stavano facendo niente.

Kodak

Nel 1990 è stata condannata a pagare una multa di 2 milioni di dollari per essere una delle 10 maggiori produttrici di sostanze inquinanti e cancerogene (è il maggior “emettitore” di metilene cloride degli USA).

Mitsubishi

E’ coinvolta nell’importazione illegale di legname in Giappone. Sarebbe legata anche al commercio di armi e all’industria nucleare.

Coca Cola

Recentemente alcune associazioni di difesa dei lavoratori colombiani hanno deciso di intentare una causa contro la Coca cola per l’omicidio di alcuni sindacalisti. Secondo i portavoce delle associazioni la multinazionale usa vere e proprie squadre della morte per “minacciare” i dirigenti sindacali che intraprendono battaglie per i diritti dei lavoratori. Nei primi sei mesi del 2001 sarebbero stati uccisi 50 dirigenti sindacali, 128 lo scorso anno, piu’ di 1500 negli ultimi dieci anni.

Pepsi cola

Al centro della campagna contro la Pepsi il fatto che la multinazionale appoggia e sostiene paesi con regimi dittatoriali (Birmania, Messico, Filippine). La Pepsico utilizza inoltre animali nei suoi studi ed esperimenti.

Shell

E’ accusata di aver ucciso 80 persone e distrutto più di 500 abitazioni durante una manifestazione di protesta in Nigeria nel 1990.
Nel gennaio 1993 ha represso con la forza una seconda manifestazione organizzata dagli Ogoni. La repressione fu violentissima: 27 villaggi completamente distrutti, 2mila morti.
La multinazionale nega ogni coinvolgimento in queste repressioni violente.

Sun Diamond

E’ un consorzio di cooperative statunitensi. In Italia distribuisce con il marchio Noberasco. Secondo la sezione sindacale americana Teamstars Local Union usa pesticidi pericolosi. E’ stata accusata di licenziare gli scioperanti e dare salari molto bassi.
Nel 1985, in un momento di difficoltà finanziaria, la multinazionale ottenne dai lavoratori un’autoriduzione dei salari del 30-40% e un maggior sforzo lavorativo. Nel giro di poco tempo l’azienda recupero’ e i profitti aumentarono del 40%.
Nel 1991 i lavoratori chiesero di far tornare i salari ai livelli originari, ma invece di accogliere la richiesta, la Sun Diamond licenzio’ i 500 dipendenti in sciopero rimpiazzandoli con nuovi braccianti.
Controlla i marchi: Diamond, Sunsweet

Walt Disney

Ad Haiti possiede una delle maggiori industrie del mondo di abbigliamento. Migliaia di lavoratori poco più che quindicenni, pagati 450 lire all’ora. Lavorano dalle 10 alle 12 ore al giorno. Il rumore all’interno degli stabilimenti è assordante, non si può andare in bagno più di due volte al giorno e la pausa pranzo dura 10 minuti. Si calcola che per guadagnare la cifra che l’amministratore delegato della Disney guadagna in un ora, un’operaia haitiana dovrebbe lavorare 101 anni, per 10 ore tutti i giorni!

Totalfina-Elf

Appoggia il regime oppressivo in Birmania. Recentemente è stata al centro del disastro naturale causato dall’affondamento del piattaforma petrolifera Erika.

Industrie farmaceutiche

Molte sono le multinazionali farmaceutiche boicottate perché sfruttano gli animali negli esperimenti. Fra i nomi importanti: Bayer, Henkel, Johnson & Johnson, L’Oreal
Colgate-Palmolive, Reckitt Banck e Johnson Wax.
Nel caso della Bayer citiamo poi il caso Lipobay. 52 persone decedute.
Recentemente è stata inoltre aperta un’inchiesta contro la Glaxo per un farmaco antidepressivo, lo Seroxat.
Segnaliamo invece come buona notizia la concessione della Roche al governo brasiliano di ridurre del 40% il prezzo di un farmaco anti-aids.

Danone

Per aumentare gli utili dell’anno 2000 la Danone, uno dei maggiori produttori e distributori di acque minerali del mondo, decise di licenziare 1800 persone. A Calais 500 famiglie si unirono in una campagna di boicottaggio. Grazie all’intervento di alcune associazioni per la tutela dei consumatori la campagna ha superato le Alpi arrivando anche in Italia (dove la Danone distribuisce con i marchi Saiwa, Galbani e Ferrarelle).

Benetton

In Patagonia tutte le terre di Rio Negro sono di proprietà Benetton. Le molte popolazioni tribali che le abitavano sono state segregate in piccole strisce di terra e vengono utilizzati come manodopera. Sotto pagati (200 dollari al mese), ritmi di lavoro estenuanti (10-12 ore), nessuna assistenza medica, nessuna possibilità di riunirsi in sindacati. In estate, alle popolazioni locali è vietato attingere dai fiumi (in alcuni tratti per impedire l’accesso utilizzano il filo spinato e la corrente elettrica), per molti unica risorsa di vita.

Del Monte

Ufficialmente la campagna di boicottaggio della Del Monte è finita, con ottimi risultati. Il vecchio direttore delle piantagioni in Kenya è stato licenziato e la multinazionale ha firmato una serie di accordi che prevedono la regolarizzazione delle assunzioni, l’aumento dei salari minimi in modo da coprire i bisogni fondamentali per tutta la famiglia, la garanzia della libertà e delle attività sindacali, la salvaguardia della salute dei lavoratori e la difesa dell’ambiente. L’azienda si è inoltre impegnata in un progetto di monitoraggio e controllo da parte delle associazioni sindacali e del Comitato nazionale di solidarietà.

Banche

Istituti di credito italiani e esteri coinvolti nell’esportazione legale di armi (anni 1998/2000) prevalentemente destinate a paesi poveri o già in guerra. Puoi approfondire con l’articolo [4 MLD il mercato delle armi italiano nel 2011]

Istituto di credito

Banca Carige
BancaCommercialeItaliana
Banca d’Americae d’Italia
Banca di Roma
Banca Nazionale Agricoltura
Banca Nazionale Lavoro
Banca Pop.Bg-Cr. Varesino
Banca Popolare di Brescia
Banca Popolare di Intra
Banca Popolare Lodi

ELABORAZIONE DATI: OS.C.AR. Report (Osservatorio sul Commercio delle Armi) di IRES Toscana (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali della Toscana) Aziende di credito

Ubae Arab Italian Bank
Credito Italiano
Istituto San Paolo di Torino
Banca Commerciale Italiana
Banca Nazionale del Lavoro
Banco di Napoli
Banca di Roma
Cassa di Risparmio di La Spezia
Monte dei Paschi di Siena
Banca Nazionale dell’Agricoltura
Banco Abrosiano Veneto
Banca Toscana
Banca Popolare di Brescia
Banco do Brasil
Cariplo
Credit Agricole Indosuez
Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino
Banca Popolare di Novara
Banca San Paolo di Brescia
Cassa di Risparmio di Firenze
Banca Carige
Barclays Bank
Unione Banche Svizzere
Banco di Chiavari e della Riviera Ligure
Banca Popolare di Intra
Credito Agrario Bresciano
Banca Popolare di Lodi
Credito Emiliano

Di seguito il filmato documentario che rivela le responsabilità delle Corporations nell’ascesa di Hitler e soprattutto nello svolgimento della guerra e dell’olocausto

Le multinazionali che si sono arrese

Nike (scarpe e abbigliamento sportivo)

Nell’Aprile del 1998 la multinazionale si arrese. L’annuncio è stato dato dal gran capo in persona, Phil Knight, fondatore, primo azionista e amministratore delegato del gruppo. A condizione che la campagna di boicottaggio finisca, Nike ha accettato di alzare da 14 a 18 anni l’età minima dei lavoratori nelle fabbriche di calzature e di portare a 16 l’eta minima di tutti gli altri lavoratori inpiegati nella produzione di abbigliamento, accessori e attrezzature.
In 12 fabbriche indonesiane è scattato un aumento del 37% della retribuzione di tutti i lavoratori che percepivano il salario minimo (28 mila persone). L’azienda si è inoltre impegnata a bonificare tutte le sue fabbriche e a rispettare i livelli di sicurezza imposti dalla legge. Inoltre aumenterà il sostegno all’attuale programma di micro-finanziamento, che gia’ coinvolge mille famiglie in Vietnam, estendendolo anche all’Indonesia, al Pakistan e alla Thailandia. In tutti gli stabilimenti asiatici il gruppo, che ha il quartier generale a Beaverton, nell’Oregon, amplierà i programmi di istruzione, offrendo ai dipendenti corsi per ottenere un diplorna equivalente a quello delle scuole medie e superiori.
Dopo la conferenza stampa che si è tenuta a Washington, in cui la Nike annuciava la resa, le sue azioni in borsa sono salite di due dollari.

Reebok

Sempre nel 1998 anche la Reebok ammise, facendo un’indagine interna, che nelle sue fabbriche in Indonesia gli operai lavorano in condizioni di pericolo, a volte per più di dodici ore al giorno. E per l’equivalente di 85mila lire al mese.
L’autodenuncia fu un passo importante e da quel giorno le cose sono molto migliorate. I dipendenti hanno libertà di organizzazione sindacale, gli stipendi sono stati adeguati ai minimi di legge e i limiti di sicurezza vengono rispettati.
Rimane però da chiedersi cosa succeda in Cina, dove la multinazionale ha il 50% della sua produzione e dove questa indigine interna non arrivò…

Fonte ricerca:http://www.mediterre.net/brindisisocialforum/multinazionali_pi%C3%B9_cattive.htm

https://azioneprometeo.wordpress.com/2012/11/01/i-crimini-delle-multinazionali/

fonte: terrarealtime.blogspot.it

domenica 9 agosto 2015

delitti marini


 Gianni Lannes

In uno studio pubblicato dall’Enciclopedia Britannica la pesca dei datteri è annoverata tra «i primi cinque gravi allarmi ecologici nel campo marino», posto accanto a tragedie ambientali come quella dei 38 milioni di litri di petrolio che nell’89 inondarono i mari dell’Alaska. La predazione dei datteri di mare - protetti normativamente in Italia dal 1988 - avviene spaccando e sminuzzando la roccia con picconi, scalpelli e martelli pneumatici, con lavoro costante di distruzione sistematica dei fondali. «Facendo il raffronto tra i fondali ancora integri e quelli desertificati lungo la costa italiana, le più recenti campagne di studio hanno evidenziato che la distruzione delle comunità bentoniche procede alla velocità di 12 chilometri all’anno» avverte il biologo marino Adolfo Cavallo, un esperto che trascorre il suo tempo tra immersioni e laboratori. 



La drastica riduzione delle comunità bentoniche costiere, inoltre, determina preoccupanti ripercussioni sulla piccola pesca, modificando radicalmente l’habitat dei tratti di mare interessati e danneggia il valore paesaggistico e turistico dei litorali. Un esempio a portata di mano. A Capri, addirittura, i cacciatori di ricci e molluschi operano indisturbati da anni con pompe aspiranti per strappare alla scogliera tutto quanto miracolosamente vi sopravvive. Per asportare i datteri di mare usano soprattutto i martelli pneumatici; in tal modo hanno devastato le basi dei faraglioni  e talmente aggredito il fondale della grotta Azzurra da rendere pericolante l’arco di roccia al quale si deve il suo magico effetto di luce. Stessa solfa nel Gargano, in Calabria e in Sicilia. 



Un turista di Matera ha denunciato alla Capitaneria di porto l’ennesimo attentato lungo la costa di Peschici in località Cala Lunga. Infatti, il litorale garganico è preso d’assalto dai baresi, notte e giorno. I controlli? Addirittura inesistenti. Anzi, c'è chi si vanta anche su internet del misfatto. In ogni caso, da anni, nel tratto costiero da Mattinata a Peschici va on onda uno scempio quotidiano.


Gli esperti non hanno dubbi: questo gravissimo stato di depauperamento delle coste sommerse viene aggravato dall’insediamento di colonie di ricci marini che, con la loro costante azione di pascolo divorano ogni forma di biocenosi esistente su quei substrati rocciosi, già duramente colpiti dalla mano dell’uomo, impedendo così ogni possibilità di ricrescita. Eppure la vera questione non affonda le sue radici nel mare, bensì nelle coscienze dei cosiddetti “estimatori”del dattero, un mollusco reo di essere tanto gustoso quanto importante per la sopravvivenza della popolazione ittica del Mediterraneo.  



Ma quanto costa una pietanza di linguine ai datteri di mare? In termini di danni all’ecosistema marino, il prezzo è davvero elevatissimo, considerando che per 15-20 esemplari presenti un piatto, si distrugge una superficie di fondo marino pari a circa un metro quadrato e perché la stessa superficie si ricostituisca integralmente occorrono almeno 20 anni. Il biologo Giovanni Fanelli, già ricercatore presso l’Istituto Talassografico “A. Cerreti” - Cnr di Taranto propone un esempio illuminante: «Sarebbe come se si andasse a caccia di tartufi con una gigantesca ruspa distruggendo anche le radici di ogni tipo di vegetazione circostante, permettendo poi alle capre, note divoratrici, qui il corrispettivo dei ricci marini, di pascolare in quei terreni già straziati dall’opera indiscriminata dell’uomo». Il mercato del dattero è senza dubbio fuori legge, ma le richieste continuano a salire vertiginosamente e i ristoratori spesso rischiano di divenire inconsapevolmente complici di questo degrado. Nella speranza che buona tavola sia sinonimo anche di buona coscienza dei consumatori dei prodotti del mare i promotori del boicottaggio esortano tutti a “non mangiare le nostre”. 

Il dattero di mare (Lithophaga lithophaga) è un bivalve evolutivamente affine ai comuni mitili – a rischio di estinzione – che vive lungo le coste del Mediterraneo, all’interno di gallerie scavate nella roccia calcarea grazie ad una secrezione mucosa erosiva; la sua crescita è estremamente lenta e si è stimato raggiunga la lunghezza ottimale da 15 a 35 anni. Data la gravità degli effetti provocati dalla sua crescente raccolta dentro la roccia, sulle comunità bentoniche e quindi sull’ecosistema marino, la legge italiana ha vietato la pesca e la commercializzazione del dattero di mare dal 1988 (Decreto numero 401 del 20 agosto 1988, ministero della Marina Mercantile). Allora, non chiedete datteri, ma chiedete il perché.

fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

giovedì 6 agosto 2015

il giardiniere



conosciuto anche come Ritratto di giovane contadino, è un olio su tela (61 cm × 51 cm) di Vincent van Gogh, databile al settembre del 1889 e conservato nella Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma.

L'opera, considerata la più importante del pittore olandese tra quelle presenti nelle collezioni pubbliche italiane, è un capolavoro del periodo provenzale e racchiude alcune delle tematiche fondamentali della pittura di Van Gogh, come il tema del ritratto, il rapporto con la natura e l'accostamento dei colori primari e complementari.

Titolo e catalogazione dell'opera

Van Gogh, a differenza di quanto fa con la maggior parte dei dipinti da lui eseguiti, non cita l'opera all'interno delle sue lettere e quindi non ne dà il titolo.

La tela è comunque da sempre inserita nel catalogo ragionato dei lavori di Van Gogh, dapprima nel catalogo stilato nel 1928 (e poi in forma riveduta nel 1970) di Jacob-Baart de la Faille The work of Vincent Van Gogh, con il numero 531 e poi nel catalogo stilato da Jan Hulsker The complete van Gogh del 1980, con il numero 1779. Per differenziare le due catalogazioni, la critica associa le iniziali degli autori ai numeri, rispettivamente F531 e JH1779.

All'interno della collezione della Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma la tela è catalogata con il numero d'inventario 8638.

La tela viene abitualmente riconosciuta con il titolo de Il Giardiniere. In realtà questo è un titolo abbastanza recente, che non esprime pienamente il soggetto ritratto o il messaggio che l'opera racchiude, probabilmente ispirato dallo sfondo dell'opera che più che ricordare un campo coltivato si avvicina all'immagine di un giardino, mentre altre ipotesi sosterrebbero che il titolo derivi semplicemente dal fatto che si tratti effettivamente del ritratto del giardiniere dell'ospedale psichiatrico di Saint Rémy dove Vincent van Gogh si farà ricoverare dall'aprile del 1889 a maggio del 1890.

Il pittore e amico Émile Bernard nelle sue lettere (1911) la titola Paysan provençal (Contadino provenzale) mentre nella prima mostra degli impressionisti organizzata al Lyceum di Firenze del 1910 viene presentata come Testa di contadino.
Più in generale nella catalogazione delle opere di Van Gogh viene identificata come Contadino o Ritratto di Contadino mentre nella collezione del museo romano resta con il titolo di Il Giardiniere (Contadino Provenzale).

Storia

La tela venne dipinta da Van Gogh nel settembre del 1889, durante il suo soggiorno all'interno dell'ospedale di Saint Rémy. La datazione del mese d'esecuzione è approssimativa, anche se ormai accreditata da quasi tutta la critica, perché come già anticipato, Van Gogh non cita il dipinto all'interno delle numerose lettere che scrive al fratello Theo e agli amici.
La tela infatti venne prima inserita nella produzione del periodo di Arles, che va da febbraio 1888 a marzo 1889, poi al periodo trascorso a Saint Rémy, che va dall'aprile del 1889 all'aprile del 1890, fino a quando gli studi di Hulsker la inseriscono nella produzione del settembre del 1889, mentre il pittore era in cura all'ospedale di Sain Paul de Mausole a Saint Rémy, mettendola in relazione al forte interesse per il ritratto che il pittore manifestò in quel periodo. All'inizio di settembre Van Gogh, dopo una grave crisi nervosa e dopo un periodo di inattività, riprese infatti a dipingere con grande impegno e lui stesso scriverà al fratello Theo:

« La voglia di eseguire ritratti in questi giorni è terribilmente forte »

Dopo la morte del pittore l'opera entrò nel mercato dei collezionisti, arrivando nella galleria parigina del mercante di origini ebree Paul Rosemberg dove, nel 1910, venne acquistato da Gustavo Sforni, raffinato intellettuale pittore macchiaiolo nonché collezionista che nei primi del novecento porterà a Firenze, città dove risiede, capolavori della moderna pittura francese tra cui il Ritratto di monsieur Chocquet (1889) di Paul Cézanne, due olii di Maurice Utrillo e un pastello di Edgar Degas.
Dopo il suo arrivo in Italia il dipinto venne prestato per la prima mostra italiana dedicata agli impressionisti, organizzata da Ardengo Soffici tra l'aprile e maggio del 1910 nei locali del Lyceum Club di Firenze, titolata appunto Prima mostra italiana dell'impressionismo. La tela, esposta con il numero 71, era affiancata dalle opere di Paul Cézanne, Edgar Degas, Jean-Louis Forain, Paul Gauguin, Henri Matisse, Claude Monet, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Henri Toulouse-Lautrec e 18 sculture di Medardo Rosso.

Sempre nel 1910 Soffici ne diede un giudizio non proprio positivo, visto che nell'opera di Van Gogh vi vide una rottura con la lezione di Cézanne, artista da lui molto apprezzato

« Non mancano pregi... (ma dove emerge, fallita) La ragione quando forse la maturità degli anni l'avrebbe portato a una comprensione più semplice della natura ... Anziché una tempra d'artista sincero, una volontà bistorta, alle prese con la materia ribelle e invitta »

Ritornato all'interno della collezione, Sforni, intuendo le critiche che sarebbero scaturite alla visione in Italia del capolavoro da parte dei contemporanei, lo conservò gelosamente in casa sua, permettendo di vederlo solo ad amici e intellettuali che lui frequentava, attenti alle nuove tendenze d'oltralpe e alle innovazioni impressioniste e post-impressioniste.

Dopo la morte del collezionista, avvenuta nel 1940, il dipinto verrà lasciato in eredità allo zio avvocato Giovanni Verusio insieme a tutta la collezione di dipinti che, oltre ai già citati autori francesi, comprendeva tele di Fattori (più di quaranta opere tra olii e taccuini) Signorini e Severini. Nonostante Van Gogh non avesse ancora raggiunto la popolarità che il mercato dell'arte gli porterà negli anni Ottanta, il dipinto era già riconosciuto come il pezzo più pregiato e di valore della collezione, tanto che durante la fine della seconda guerra mondiale l'avvocato Verusio, rifugiatosi in un casolare nella campagna toscana lo nasconderà in una cassa di legno sotto la paglia, all'interno di una limonaia di Pian dei Giullari, per proteggerlo dalle razzie dei soldati tedeschi.

Finita la guerra, nel 1945 venne esposto a Palazzo Pitti all'interno della mostra sulla pittura francese organizzata da Berenson La peinture française à Florence e poi nel 1952 nella retrospettiva organizzata da Lamberto Vitali a Palazzo Reale a Milano dal titolo Vincent Van Gogh. L'opera iniziò a prendere importanza all'interno del territorio nazionale e nel 1954 lo stato italiano dichiarò l'opera di interesse storico e artistico.
Nel 1966 la moglie dell'avvocato, Sandra Verusio, portò in salvo la tela dall'alluvione di Firenze, mettendolo nel baule della sua auto e portandolo a Roma. Lì la tela rimase nella sala da pranzo della casa per circa dieci anni (anche se spesso sostituita da un copia), diventando in parte chiave di apertura per la famiglia ai salotti e alle personalità di spicco della società romana viste le numerose richieste che i coniugi Verusio ricevevano per poter ammirare il Van Gogh. Passarono personalità sia del mondo artistico, come Renato Guttuso e il critico d'arte Giuliano Briganti, ma anche personalità celebri come l'avvocato Agnelli, che più di una volta si recò nel salotto della famiglia Verusio per ammirare la tela. La fama della tela però porto inevitabilmente al problema dei furti, sempre presente. La stessa signora Verusio, parlando dei ladri, dirà

« Sono venuti cinque volte ma non sono mai riusciti a portarlo via, si accontentavano di pellicce e argenti. Tuttavia quel quadro era diventato un problema. Durante le vacanze lo portavo in banca con la Cinquecento, accompagnata soltanto da un vecchissimo cameriere, che imprudenza! »

Stanchi di questa situazione, l'avvocato Verusio decide di vendere la tela, che verrà acquistata nel 1977 per la cifra di 600 milioni delle vecchie lire (ben al di sotto della quotazione del tempo, stimata almeno del doppio) dal gallerista romano Silvestro Pierangeli, che fece da tramite per un acquirente anonimo, che si scoprirà poi nel 1983 essere il gallerista svizzero Ernst Beyeler, visto che lo stato italiano all'epoca non esercitò il suo diritto di prelazione. L'amministrazione si mobilitò solo nel 1988, in pieno boom del mercato collezionistico degli impressionisti, quando Beyeler annunciò di vendere l'opera al Museo Guggenheim di Venezia per la cifra di 14 miliardi di lire, dimostrando che durante la prima trattativa lui non risultava come il vero compratore, visto che agli atti della compravendita vi era il nome di Pierangeli.

Il quadro venne quindi riacquistato dallo stato italiano nel 1989, che ripagò Beyeler la stessa cifra pagata nel 1977, ovvero 600 milioni di lire. Beyeler, ritenendo la cifra troppo al di sotto delle quotazioni di mercato (25 volte inferiore alla cifra che il Museo Guggenheim avrebbe pagato) fece causa allo stato italiano, ma dopo essere stato sconfitto in tutti i gradi del procedimento intentato in Italia fece ricorso alla corte dei diritti europei di Strasburgo. Nel frattempo, nel 1995, il quadro venne portato a Roma, nella Galleria Nazionale, affiancandolo all'altro quadro di Van Gogh già presente, L'Arlésienne (Madame Ginoux), diventando successivamente protagonista, nel 1998, di uno dei più celebri furti d'arte in suolo italiano.

Nel 2000 la corte europea arriva ad un primo giudizio, affermando che lo stato italiano ha sì il diritto di prelazione, ma contestando il ritardo di esercizio e l'aver pagato l'opera con prezzo troppo basso, ricavandone un ingiustificato arricchimento. Il processo di attribuzione dei diritti sulla proprietà dell'opera terminerà solo nel maggio del 2002, durando più di un quarto di secolo, quando i giudici di Strasburgo riconosceranno ulteriormente allo stato italiano la legittima proprietà dell'opera, entrando ufficialmente e di diritto nella collezione del museo romano, e riconoscendo a Beyeler un indennizzo di soli 1,3 milioni di euro più 55mila euro di rimborso per le spese legali affrontate.
Giuliano Urbani, l'allora Ministro dei Beni Culturali, esprimerà la sua viva soddisfazione riguardo alla sentenza

« La sentenza emessa dai giudici della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo, respingendo la richiesta di restituzione della celebre tela al gallerista Beyeler, ha definitivamente chiuso una vicenda giudiziaria che durava ormai da anni. Il giardiniere di Van Gogh, già provato dal furto perpetrato presso la Galleria d'arte moderna e contemporanea di Roma nel maggio del 1998, rimane in Italia e andrà ad arricchire il già ricco patrimonio culturale statale, una dimostrazione che ancora una volta l'impegno primario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali è tutelare e mantenere integro il nostro patrimonio artistico. »

Il furto

Tra la notte del 19 e il 20 maggio del 1998 il quadro finì su tutte le pagine dei giornali perché coinvolto nel clamoroso furto che avvenne all'interno della Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, dove, insieme a Il giardiniere, vennero anche rubati L'Arlésienne (Madame Ginoux), opera del 1890 sempre del maestro olandese, e la tela Le Cabanon de Jourdan, opera del 1906 di Paul Cézanne. Il furto venne eseguito da tre ladri armati a piedi scalzi e col volto coperto con il passamontagna che si fecero chiudere all'interno del museo per poi muoversi indisturbati e con tutta calma.

Vennero legate, imbavagliate e minacciate con la pistole le custodi, che verranno liberate successivamente dalle forze dell'ordine dopo l'allarme dato dal barista del museo che notò l'entrata del museo ancora aperta[20]. Il furto ebbe un forte clamore mediatico, per la fama degli autori delle tele e per il valore stimato delle opere, tanto da essere paragonato a precedenti celebri furti, come quello della Natività di Caravaggio, rubata nel 1969 dall'Oratorio di San Lorenzo di Palermo e quello del Ritratto di Signora di Gustav Klimt rubato l'anno prima dalla Galleria d'arte moderna Ricci Oddi di Piacenza.

A differenza dei due precedenti furti citati, le cui opere non sono state ancora recuperate, le tre tele trafugate a Roma verranno poi recuperate dalle forze dell'ordine 46 giorni dopo, arrestando 8 persone per il furto. Il capobanda italo-belga Eneo Ximenes così commenterà il suo arresto alle forze dell'ordine

« Complimenti, avete fatto un buon lavoro, mi sono fottuto »

I quadri nel frattempo erano stati portati a Torino per essere venduti ad un compratore che si sarebbe tirato indietro all'ultimo momento per il troppo clamore suscitato dalla vicenda nonostante il forte sconto sulla vendita, inizialmente partita da 15-20 miliardi di lire.

Il furto dei due ritratti di Van Gogh e della veduta di Cézanne è stato ricostruito integralmente da Francesco Pellegrino nel volume "Ore 22, furto in galleria", edito da Natyvi Contemporanea nel 2013 e introdotto da Walter Veltroni, all'epoca dei fatti Ministro dei Beni Culturali.

Descrizione e stile

Il quadro si può considerare un capolavoro del genio olandese, eccezionale esempio della ritrattistica del pittore del periodo provenzale, uno dei 140 dipinti che realizza mentre era ricoverato all'interno dell'ospedale di Saint Rémy, dipinto l'anno prima della sua morte (avvenuta il 27 luglio 1890), nel pieno della sua maturità artistica. È l'anno in cui dipinge alcuni dei suoi capolavori assoluti, come la Notte stellata, Vaso con iris e Autoritratto e presenta quindi alcuni importanti elementi dell'arte di Van Gogh.

Il soggetto

I colori utilizzati da Van Gogh nell'abbigliamento del contadino: verde-rosso nella camicia e blu-giallo nella maglietta
L'opera rientra nella serie dei numerosi ritratti che il pittore fa alla gente che lo circonda. Come lui stesso scriverà al fratello Theo nella lettera del 19 settembre del 1889

« Ogni volta che ho l'opportunità, lavoro sui ritratti che a volte penso mi siano la parte più seria e migliore rispetto al resto del mio lavoro »

In questo caso Van Gogh riprende il tema dei contadini, tema ricco di implicazioni evangeliche e simboliche, affrontato sia nel primo periodo del suo percorso artistico di Neunen che nelle varie copie del tema dalle opere di Millet, ma a differenza delle precedenti opere, dove si evidenziava la vita rurale e il duro lavoro nei campi, il giovane qui diventa la rappresentazione emblematicamente dell'uomo che vive all'unisono con una natura amica, in armoniosa compenetrazione con essa e con i suoi immutabili processi di fertilità e rigenerazione, di vita e di morte.
Le stesse soluzioni stilistiche e pittoriche affrontate nel dipinto denotano tale sintonia, soprattutto nel linearismo della composizione che fonde il soggetto nel paesaggio, nella luminosità del dipinto e nell'accostamento dei colori.

Il giovane, di cui non ci è dato a sapere con precisione chi sia, viene ritratto a mezzo busto, al centro della tela, come moltissimi altri ritratti che Van Gogh eseguirà nello stesso anno, come il Ritratto del dottor Rey o il Ritratto del capo sorvegliante Trabuc. Il giardiniere viene ripreso frontalmente dividendo in due parti (volto e busto) il modo con cui il pittore affronta il soggetto sulla tela. Van Gogh concentra la sua attenzione ai dettagli del volto, che viene dipinto quasi minuziosamente, con piccoli tocchi di pennello, in una resa quasi fotografica. Con questa tecnica dipingerà le sopracciglia inarcate e folte, la barba leggermente incolta e la carnagione abbronzata, mentre con una linea rossa delimiterà le labbra del giovane. L'espressione, leggermente accigliata, è caratterizzata da uno sguardo rivolto verso il basso e, data la leggere divergenza delle pupille, appare sì serena ma leggermente velata di malinconia.

La barba, insieme al cappello, incornicia il volto, che qui appare quasi simmetrico, ed è resa con piccole pennellate dapprima verde oliva poi ripresa con il colore nero, mentre il cappello viene realizzato utilizzando gli stessi colori ma anche con l'aggiunta del viola chiaro e del rosso/marrone, ed è posizionato storto creando una linea obliqua che riprende quella della spalla a sinistra. Diverso è il modo con cui dipinge e affronta il busto e le spalle, qui rappresentate asimmetriche e utilizzando una tecnica molto più immediata. Il giovane indossa una camicia bianca a righe verticali rosse e verdi, rese con una pennellata estremamente rapida e dinamica dai tratti lunghi e più larghi rispetto a quelli del volto, delimitata sulle spalle da una linea scura che fa da contorno al soggetto, caratterizzata da un flusso ondulato, tipico della qualità espressiva del tardo stile di Van Gogh.

Al di sotto di essa vi è una maglietta a righe orizzontali color giallo e blu, rese anche qui con rapide pennellate verticali affiancate. Nonostante le tonalità più morbide e smorzate rispetto a quelle del periodo di Arles, l'abbigliamento del giovane racchiude una delle innovazioni più significative dell'arte di Van Gogh, l'equilibrato accostamento dei colori complementari del rosso e del verde nella camicia e quello dei colori primari del giallo e blu nella maglietta diventeranno una delle cifre stilistiche più importanti della sua carriera e che influenzeranno notevolmente le nuove generazioni di artisti, come i Fauves.

Lo sfondo

Ritratto del Dottor Pual Ferdinand Gachet, giugno 1890, acquaforte, 18,3×15,1cm (F1664, JH2028)
In questa tela, a differenza della produzione solita del pittore, vi è un paesaggio, ben definito e che si estende in lontananza. Questa caratteristica è assai rara nelle opere di Van Gogh, che era solito ritrarre i suoi soggetti con fondi monocromi, in interni, o con fondi riccamente decorati con l'effetto quasi da carta da parati (come i ritratti dei coniugi Roulin). In tutta la sua carriera, altri ritratti eseguiti in ambientazioni all'aperto saranno Bambina con arancia del 1890, Ritratto di Giovane contadina e Ragazza in bianco sempre del 1890, ma in tutti questi ritratti non si ha la stessa profondità scenica e ricercata composizione del fondo che si ha nella tela de Il giardiniere, che la si può ritrovare nella doppia versione di Due bambine realizzate nel 1890, dove nello sfondo si possono riconoscere delle case, e nell'opera Ritratto del Dottor Gachet con pipa, realizzato nel 1890 con la tecnica dell'acquaforte, dove a far da sfondo al ritratto vi sono una staccionata che delimita un giardino con cespugli e una piccola pianta.

Nel paesaggio di fondo de Il Giardiniere si vede una costruita e dettagliata pennellata che da l'idea dell'ambientazione dove il soggetto è inserito. A sinistra il verde luminoso del prato è reso da una pennellata corta, verticale e ritmica utilizzando colori come il bianco, il giallo, il verde e il blu che accostati in modo diverso creano il gioco di ombre proiettate dalle piante del giardino. Poco sopra la spalla si nota che la pennellata diventa orizzontale e si schiarisce nelle sue tonalità, creando una linea obliqua che segue sia quella della spalla che quella del cappello, dando forma ad un piccolo sentiero. A destra invece la pennellata è più sinuosa e caotica, data dalla presenza di alcuni arbusti.

Sono gli anni dove i paesaggi e il sole della Provenza lo affascinano notevolmente, dove creerà la serie degli ulivi, i quadri dedicati ai cipressi e ai campi di grano.
In questa parte del quadro la vegetazione degli arbusti e delle piante si fonde con quella del prato, dando la sensazione che l'erba evolva in un tutt'uno con le fronde degli alberi. La pennellata è intensa, pastosa, curva con eleganza, riprendendo soluzioni tecniche già sperimentate nei paesaggi dipinti all'aperto dando un'idea di movimento terminando nella parte alta del dipinto, dove sono presenti, viste in lontananza, altre piante e due piccoli muretti di cinta.

Sede espositiva

Nonostante Van Gogh abbia creato circa 871 dipinti e un numero altissimo di disegni e schizzi, all'interno delle collezioni pubbliche italiane vi sono solo tre opere e Il giardiniere è sicuramente considerata quella di maggior valore artistico. Le altre due opere sono L'Arlésienne (Madame Ginoux) del 1890, conservata all'interno della Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma e all'opera Donne bretoni del 1888, conservato nella Galleria d'Arte Moderna di Milano (Collezione Grassi).

Fino al 2011 la tela de Il Giardiniere era conservata all'interno della sala XIV della Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, sala dedicata all'impressionismo, ai suoi inizi e ai suoi sviluppi, affiancando anche opere di autori italiani meno noti che andarono a Parigi a carpire l'essenza delle nuove correnti artistiche europee. Data l'importanza della tela la sala veniva anche comunemente chiamata Sala del Giardiniere.

L'opera si trovava quindi a confronto con. Il ritorno dalla pesca (1900 circa) di Hendrik Willem Mesdag, I bracconieri nella neve (1867) di Gustave Courbet, che si può definire un anticipatore delle tendenze degli impressionisti, la tela Place Saint-Michelle et la Sainte Chapelle (1896) di Jean-François Raffaelli, Ninfee rosa (1897-1899) di Claude Monet e il pastello di Edgar Degas Apré le bain (1886 circa), questi ultimi due veri e propri protagonisti di spicco del movimento francese, l'altra tela di Van Gogh, L'Arlésienne (Madame Ginoux) e la tela Le cabanon de Jourdan (1906) di Cézanne, protagonista del post-impressionismo.

Per quanto riguarda gli artisti italiani erano presenti le tre grandi tele di Giuseppe De Nittis dedicate alle Corse a Bois de Boulogne del 1881, l'opera Sogni di Vittorio Matteo Corcos, il celebre Ritratto di Giuseppe Verdi (1886) di Giovanni Boldini, il ritratto de Il figlio Eduardo, con Egisto Fabbri ed Alfredo Muller (1895) di Michele Gordigiani e due sculture di Medardo Rosso, tra cui il Ritratto di Henry Ruart (1889-1890), considerato dai critici unico vero scultore impressionista.

Il 21 dicembre 2011 viene ripresentato al pubblico il museo con un nuovo percorso espositivo. Tutte le tele e le opere che prima facevano parte della Sala del Giardiniere, esclusi i due Van Gogh, restano inseriti nella sala XIV, che viene intitolata La questione impressionista, dove vengono inoltre aggiunte maggiori sculture (due di Degas e l'intera collezione dedicata a Medardo Rosso). Il Giardiniere insieme L'Arlésienne (Madame Ginoux) vengono collocati all'interno della sala XV intitolata L'utopia umanitaria, sulla parete singola collocata al centro della sala, diventando le prime opere che il visitatore incontra nel suo percorso. Le due tele vengono esposte accanto alle opere Il sole (1904) di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il mendicante (1902) I malati (1903) e La pazza (1905) di Giacomo Balla, Il viatico (1884) di Angelo Morbelli, Il viaggio della vita (1905) di John Quincy Adams, Ritirando le reti (1896) di Joaquín Sorolla, Dopo un lavoro faticoso (1910) di Döme Skuteczky, Contadino al lavoro (1908-1910) di Umberto Boccioni, Il pranzo (1910-1914) di Albin Egger Lienz, I lavoratori (1905) di Costantino Meunier, Nosocomio (1895) di Silvio Rotta e l'opera Ritratto di Giovanni Cena (del 1909 circa) di Felice Carena.

Il giardiniere è quindi un'opera fondamentale all'interno del breve percorso cronologico e artistico che il museo crea intorno alla corrente dell'impressionismo, all'arte en plain air e agli studi dedicati al colore ma soprattutto diventa l'anello di congiunzione con gli artisti che dedicarono la loro arte e il loro percorso artistico alle innovazioni simbolistiche, dedicate alla mescolanza tra socialismo e positivismo, senza dimenticare l'emarginazione sociale, tema de sempre sensibilmente affrontato in tutta la carriera di Van Gogh.

fonte: Wikipedia

Casino Royale



IO RIFLETTO

domenica 2 agosto 2015

l'Arlesiana



è un dipinto a olio su tela (60x50 cm) realizzato nel 1890 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma.

Questa è una delle versioni del ritratto, che Van Gogh dipinse in numerose varianti. Raffigura Madame Ginoux, proprietaria di un bar ad Arles, dove l'artista trascorreva spesso le proprie serate.

Il dipinto è stato eseguito durante il ricovero nell'ospedale di Saint-Rémy, sulla base degli studi eseguiti dall'amico Paul Gauguin durante le sedute di posa per un quadro del caffè di Madame Ginoux. A differenza della versione del 1888, il pittore dipinge a memoria i colori e modifica liberamente i disegni da cui prendeva spunto. Questa versione del dipinto si distingue per l'espressione malinconica della donna, che sembra quasi più vecchia rispetto al ritratto eseguito due anni prima.

Nel maggio 1998 il dipinto venne rubato dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, assieme a Il giardiniere, dello stesso Van Gogh, e Il Cabanon de Jourdan di Paul Cézanne: i dipinti furono recuperati il luglio successivo.

fonte: Wikipedia