lunedì 29 dicembre 2014

il generale Della Rovere



Wikipedia riporta:

« Quando non sai la via del dovere, scegli la più difficile »

(dalla lettera della moglie del generale)

è un film del 1959 diretto da Roberto Rossellini, realizzato su un soggetto di Indro Montanelli, dalla rielaborazione del quale prese forma l'omonimo romanzo.

Trama

Genova, 1944. Emanuele Bardone, è un truffatore, amante del gioco e delle donne. Con la complicità di un sottufficiale tedesco, estorce denaro ai familiari dei detenuti politici, millantando conoscenze influenti presso le autorità nazifasciste e promettendo, in cambio dei soldi, l'interessamento delle autorità per una favorevole soluzione dei loro casi. Con tale attività illecita si procura il denaro per il gioco d'azzardo, che lo divora.
Quando le cose vanno male ricorre a Valeria, una ballerina con la quale vive, per avere prestiti o oggetti da impegnare.

Un giorno però il suo gioco viene scoperto. Una donna, a cui il Bardone aveva chiesto denaro per intercedere a favore del marito, viene a conoscenza che il marito è già stato fucilato e lo denuncia alle autorità. Bardone, una volta arrestato, per alleggerire la sua grave posizione accetta di collaborare con il colonnello Müller, da lui conosciuto casualmente qualche giorno prima, il quale, riscontrata la sua abilità nell'ingannare le persone, gli propone di assumere l'identità del generale Giovanni Braccioforte della Rovere, un importante ufficiale badogliano, ucciso per errore dai soldati tedeschi che, non avendolo riconosciuto, non hanno rispettato la consegna di catturarlo vivo. Egli sarà internato a Milano, nel braccio politico del carcere di San Vittore, con l'incarico di assumere informazioni e di scoprire la vera identità di "Fabrizio", il capo della Resistenza a cui la Gestapo non è ancora riuscita a dare un nome.

La realtà carceraria, e della stessa Resistenza, con cui il truffatore viene a contatto, lo porta lentamente a riconsiderare i valori della dignità, del coraggio e del patriottismo. Egli rimane profondamente colpito dalla morte di Aristide Banchelli, un partigiano che, piuttosto che rivelare il poco di cui è a conoscenza, preferisce subire la tortura che il suo fisico anziano non è in grado di sopportare, arrivando poi a suicidarsi per il timore di parlare. Una notte infine, dopo la cattura di alcuni partigiani, il falso generale viene mandato, pesto e logoro per ispirare maggiore fiducia, a passare la notte nella stanza dove si trovano una ventina di uomini in attesa di esser fucilati per rappresaglia, a seguito dell'uccisione del federale di Milano, ed i nazisti sanno con certezza che tra loro c'è anche "Fabrizio".

"Fabrizio" si presenta infatti a colui che crede il generale Della Rovere: ora Bardone dispone dell'informazione che gli garantirebbe, secondo le promesse del colonnello Müller, la libertà, oltre a un premio in denaro (1 milione di lire) ed a un salvacondotto per la Svizzera. Ma, quando Müller gli chiede di rivelargli il suo nome, egli rinuncia a ciò per cui ha sempre lavorato, preferendo condividere la sorte degli uomini che stanno andando a morire piuttosto che tradire colui che, a rischio della vita, combatte nobilmente per la libertà di tutti.

Riscattando in questo modo una vita fatta di umana miseria, Bardone si presenta con dignità al plotone d'esecuzione e muore insieme con altri dieci uomini, tra cui alcuni ebrei, dopo aver pregato Müller di far pervenire alla moglie del vero generale un biglietto di commiato, e, dopo aver rivolto ai suoi compagni un'esortazione a rivolgere i loro estremi pensieri alle loro famiglie ed alla Patria, cade dopo avere gridato "Viva l'Italia!", e solo in quel momento il colonnello Müller riconosce di avere sbagliato nel giudicarlo.

Genesi del film

Dopo la trilogia sulla guerra conclusasi nel 1947 con Germania anno zero, Roberto Rossellini con questo film e con il successivo Era notte a Roma torna ai temi bellici e resistenziali; Rossellini aveva da poco concluso il film India e si era già recato in Brasile, nell'agosto 1958, col proposito di verificare le condizioni per la realizzazione di un film tratto da Geografia della fame dell'etnologo brasiliano Josué de Castro. "[...] Vorrei continuare ciò che ho iniziato con "India": scoprire gli esseri e le cose così come sono, nella loro estrema semplicità."

Rossellini viveva allora a Parigi (dove lo aveva condotto dall'India la sua nuova compagna, Sonaly Sen Roi). Egli accetta la proposta del produttore Moris Ergas, di fare un film in coproduzione italo-francese; Ergas pone come condizione quella di presentare il film alla Mostra del Cinema di Venezia. Questo obbliga Rossellini, per accelerare le riprese, a concentrare i lavori nel teatro di posa. Il film infatti enfatizza la riproduzione artificiale dello spazio (come si vede bene nelle scene degli esterni e dall'uso dei "trasparenti").

Il ritorno alla realizzazione di un film tradizionale rappresentò per Rossellini un'operazione di compromesso. "[...] Temo che il film ottenga un grande successo e malgrado tutto lo spero. Forse è stato un errore tattico da parte mia volerlo realizzare. [...] Cerco di figurarmi il pro e il contro, i pericoli per la continuazione delle mie ricerche e le possibilità che mi offre." Di fronte alle perplessità del produttore Sergio Amidei sulla fattibilità nell'immediato dell'ambizioso progetto brasiliano, accettò l'offerta di Moris Ergas di lavorare su un racconto di Indro Montanelli, proprio mentre in Francia stavano per cominciare le trasmissioni del programma in 10 puntate L'India vista da Rossellini.

Il soggetto cinematografico (Il generale, Roma, Zebra film, 1959), che dopo l'uscita del film, rimaneggiato, diventerà anche un romanzo, nacque dall'esperienza di Montanelli stesso che venne imprigionato a San Vittore e conobbe realmente un certo Giovanni Bertoni, poi fucilato dai tedeschi a Fossoli nel 1944. Il film viene infine prodotto da Angelo Rizzoli che era detentore dei diritti sul racconto pubblicato dal giornalista. I familiari di Bertoni, dopo l'uscita del film, intentarono contro il regista una causa per diffamazione.

Contesto storico

Rossellini sembra meno interessato a intervenire nel dibattito politico-culturale, nel confronto tra le idee, che a continuare la riflessione sull'isolamento dell'individuo, iniziatasi in quella che Gianni Rondolino definisce la trilogia della solitudine (Stromboli, terra di Dio, Europa '51 e Viaggio in Italia). Come osserva Adriano Aprà, in questo film è dominante il tema del muro. Girato in gran parte in carcere, esso si apre con una carrellata sui muri di Genova, ricoperti di manifesti della Repubblica sociale, e si conclude con la fucilazione, davanti a un muro su cui, però, un anonimo "graffitaro" ha affrescato l'immagine di una città (allusione al riscatto morale del protagonista). Anche la struttura del racconto è incentrata sul confronto tra Bardone e Müller, sul reciproco tentativo di cogliere le motivazioni alla base del loro agire e di superare le incomprensioni. La Resistenza e l'Italia del periodo restano sullo sfondo.

Tuttavia, la fine del decennio è anche un periodo di forti passioni civili e acceso confronto politico. Di lì a poco la crisi del Governo Tambroni aprirà la strada all'esperienza del centro-sinistra. La versione "mite e conciliatoria" della commedia all'italiana che ha caratterizzato gli anni cinquanta, sotto gli occhi di un vigile e onnipresente sistema di censura: "[...] Quello in cui si trovano ad agire e muoversi gli autori cinematografici è un vero e proprio terreno minato. La tecnica censoria si allarga sino ad occupare ogni minimo spazio, nella messa in atto di differenti e decentrate pratiche di controllo, di dissuasione, di impedimento." è ormai inadeguata a rappresentare una realtà sociale in rapido movimento.

Il 1959 è anche l'anno dell'affermazione della Nouvelle Vague al Festival di Cannes.

Accoglienza

Critica

Alla 20ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il film venne premiato con il Leone d'oro, a ex aequo con La grande guerra di Mario Monicelli (pur in presenza di notevoli opere straniere quali Il volto di Ingmar Bergman).

Più del dissacrante attacco di Monicelli alla retorica militare legata agli eventi della prima guerra mondiale, fu proprio il film di Rossellini (che pure sarebbe stato fatto oggetto di clamorose contestazioni: "[...] Su Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini si rovesciano lo sdegno e la collera della destra, con il lancio di uova marce e bombette puzzolenti nelle sale in cui il film viene proiettato") a raccogliere i consensi più diffusi, sulla stampa moderata come in quella di sinistra. Sul Corriere della sera del 1º settembre si scrisse di "felice ritorno alla sua vena migliore" del regista e, sulla stessa linea, il commento del giornale del PCI insisteva "[...] È accaduto ciò che da almeno dieci anni ci ostinavamo a sperare": cioè il ritorno alle origini di Roberto Rossellini, "[...] dopo la penosa, allucinante...decadenza".

Il successo, anche al botteghino, dei due film produsse anche l'effetto di rinnovare significativamente la produzione cinematografica. Numerosi furono negli anni immediatamente successivi i registi che affrontarono il tema della Resistenza o degli ultimi anni del fascismo: da Florestano Vancini (La lunga notte del '43, del 1960) a Giuliano Montaldo (Tiro al piccione, del 1961), da Nanni Loy (Le quattro giornate di Napoli, del 1962) a Luigi Comencini (Tutti a casa e La ragazza di Bube, del 1960 e 1963).

Lino Miccichè, che già a Venezia, come inviato dell'Avanti, aveva puntato il dito sui "troppi penzolamenti tra il retorico e il commosso, da una parte, e tra il satirico e il comico, dall'altra", individuerà nel film di Rossellini l'archetipo di quello "spirito assolutorio" che avrebbe caratterizzato gran parte della produzione cinematografica italiana relativa a quel periodo storico.

Franco Fortini critica la "conversione" di Della Rovere: "[...] Il falso Della Rovere non scorge nessuna verità nei resistenti ma solo il loro coraggio. Questa la differenza dal prete di Roma città aperta. [...] L'equivoco morale ed estetico del film è nell'aver trasformato lo spirito resistenziale in una specie di eterna conversione al bene e al sacrificio di sé. [...]"

Diversa la posizione di Pier Paolo Pasolini, che giudica il film "un avvenimento davvero importante", che mostra che in Italia esiste una cultura capace di "togliere nuovamente la maschera all'Italia, vedere ancora la sua faccia vera, quindici anni dopo"

Bosley Crowther, sul New York Times nel 1960, dice che "nel complesso il film è splendido, sempre più articolato e profondo a mano a mano che procede".

Curiosità

Nel ruolo di aiuto-regista lavorarono alla realizzazione del film i futuri registi Tinto Brass e Ruggero Deodato.
È il primo film italiano in cui si utilizza lo zoom, che poi lo stesso Rossellini userà nelle sue produzioni, soprattutto televisive

SPEZZONE FILM

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