mercoledì 31 dicembre 2014

omaggio a Gianni Rodari



illutrazione di Giulia Orecchia

 
ORECCHIO VERDE


Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo

vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.

Non era tanto giovane, anzi era maturato

tutto, tranne l'orecchio, che acerbo era restato.

Cambiai subito posto per essergli vicino

e potermi studiare il fenomeno per benino.

Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età

di quell'orecchio verde che cosa se ne fa?

Rispose gentilmente: — Dica pure che sono vecchio

di giovane mi è rimasto soltanto quest'orecchio.

È un orecchio bambino, mi serve per capire

le voci che i grandi non stanno mai a sentire.

Ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,

le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli.

 Capisco anche i bambini quando dicono cose

che a un orecchio maturo sembrano misteriose.

Così disse il signore con un orecchio acerbo

quel giorno, sul diretto Capranica-Viterbo.
 GIROTONDO DI TUTTO IL MONDO



Filastrocca per tutti i bambini,

per gli italiani e per gli abissini,

per i russi e per gli inglesi,

gli americani e i francesi,

per quelli neri come il carbone,

per quelli rossi come il mattone,

per quelli gialli che stanno in Cina,

dove è sera se qui è mattina,

per quelli che stanno in mezzo ai ghiacci

e dormono dentro un sacco di stracci,

per quelli che stanno nella foresta,

dove le scimmie fan sempre festa,

per quelli che stanno di qua e di là,

in campagna od in città,

per i bambini di tutto il mondo

che fanno un grande girotondo

con le mani nelle mani

sui paralleli e sui meridiani.



LA LUNA BAMBINA

E adesso a chi la diamo

questa luna bambina

Che vola in un "amen"

dal Polo Nord alla Cina?

Se la diamo a un generale,

povera luna trottola,

la vorrà sparare

come una pallottola.

Se la diamo a un avaro

corre a metterla in banca:

non la vediamo più

né rossa né bianca.

Se la diamo a un calciatore

la luna pallone,

vorrà una paga lunare:

ogni calcio un trilione.

Il meglio da fare

è di darla ai bambini,

che non si fanno pagare

a giocare coi palloncini:

se ci salgono a cavalcioni

chissà che festa;

se la luna va in fretta,

non gli gira la testa,

anzi la sproneranno

la bella luna a dondolo,

lanciando grida di gioia

dall'uno all'altro mondo.

Della luna ippogrifo

reggendo le briglie,

faranno il giro del cielo

a caccia di meraviglie.



SULLA LUNA

Sulla luna per piacere

non mandate un generale

ne farebbe una caserma

con la tromba e il caporale.

Non mandateci una banchiere

sul satellite d'argento

o lo mette in cassaforte

per mostrarlo a pagamento.

Non mandateci un ministro

col suo seguito di uscieri

empirebbe di scartoffie

i lunatici crateri.

A da essere un poeta

sulla luna ad allunare

con la testa nella luna

lui da un pezzo ci sa stare.

A sognare i più bei sogni

è da un pezzo abituato

sa sperare l'impossibile

anche quando è disperato.

Or che i sogni e le speranze

si fan veri come fiori

sulla Luna e sulla Terra

fate largo ai sognatori.


Post scriptum

Gianni Rodari è stato uno dei più grandi autori del Novecento italiano e le sue idee di pace, solidarietà, uguaglianza, amore per la natura e per l'infanzia, sono state espresse attraverso numerosissime poesie e filastrocche e anche racconti, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, fino a tutti gli anni Settanta. Le sue opere, rivolte non solo al mondo dell'infanzia ma anche agli adulti, hanno precorso i tempi, indicando un sentiero di consapevolezza ecologica e di grande empatia con bambini e bambine di diverse generazioni, la vita, la natura e il nostro pianeta, e sono al giorno d'oggi sicuramente ancora di grande attualità per tutti coloro che si sentono vicini al pensiero ecopacifista. 

Rodari aveva la purezza di un bambino, la stessa trasparenza e gli stessi interrogativi profondi.
Gianni Rodari è uno degli autori italiani più tradotti nel mondo. Quello che traccia Rodari, in senso realmente ecologista, è un sentiero che potrebbe portarci, proprio in un mondo migliore, ma non ci è dato sapere quando ci arriveremo, e se ci arriveremo noi o le future generazioni, perciò è importante la pratica quotidiana, può dare un senso alla nostra vita. Ed ecco le sue poesie e filastrocche ispirarci tale pratica, ogni giorno, con i nostri cari, a scuola, con gli amici al lavoro, nel territorio dove viviamo, in armonia con la natura, le piante, gli animali, le montagne, i fiumi, i mari e il cielo, sentendoci come parte di una grande famiglia. Rodari stesso, nel finale del libro La storia degli uomini, afferma:
«Il mondo di domani può essere migliore, più giusto e più libero. Un mondo senza prepotenze, senza fame, senza ignoranza. Un mondo più unito, più fraterno. Se questo mondo nascerà domani o tra cinquant'anni o cento, e che aspetto avrà, non sappiamo: ma che altro ci rimane da fare se non lavorare per il suo avvento, costruirlo giorno per giorno, in modo che corrisponda ai nostri sogni».


https://www.youtube.com/watch?v=yOKu6tOtw9A 

https://www.youtube.com/watch?v=kXKxANC3ozs 

https://www.youtube.com/watch?v=5-dXJzeY-4A 

https://www.youtube.com/watch?v=OKrfIoSjhtQ 

fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

pioggia radioattiva di rottami spaziali sulla terra


di Gianni Lannes


Come se non bastassero le scie chimiche di aerei fantasma, l'aria è inquinata anche dalla ricaduta sul pianeta Terra di scarti nucleari (scorie e rifiuti) messi in orbita dalle super potenze. Lo Spazio orbitale - una fascia compresa fra i 250 e i 36.850 chilometri di altezza - è ormai una discarica nucleare che ricade sul globo terrestre.

Da quando nel 1957 l’Unione Sovietica mise in orbita lo Sputnik, conquistando il primo biglietto verso lo spazio, la presenza nel cosmo di rottami d’ogni genere è cresciuta a livello esponenziale. Tanto che oggi si possono contare intorno al nostro pianeta circa 4 mila satelliti di cui solo il 6 per cento è attivo. Mentre nelle regioni più remote del sistema solare continuano a vagare oltre 200 sonde interplanetarie. Addirittura una sessantina di satelliti russi alimentati ad energia nucleare ormai disattivati e alla deriva perdono liquido refrigerante. Nell’atmosfera terrestre, infatti, sono state scoperte da un gruppo di ricercatori della Nasa circa 80 mila sferette di sodio radioattivo grandi un centimetro, ed oltre 3 milioni di goccioline superiori al millimetro che ci stanno lentamente piovendo addosso. Non è tutto: ci sono anche i Cosmos: i satelliti dell’ex Urss, alimentati con generatori termoelettrici a radioisotopi di plutonio (Rtg), che hanno provocato - almeno ufficialmente - due situazioni di emergenza. Nel 1978 ne cadde uno (Cosmos 954) nel Nordovest del Canada impegnando anche gli USA in un vasto programma di recupero. Nel 1983 invece scattò l’allerta, in Italia, poiché uno di questi modelli scese in picchiata sull’Atlantico dieci minuti dopo aver sorvolato la Lombardia. 
La procedura standard usata attualmente dai militari russi per evitare che i satelliti Rorsat ricadano sulla Terra con il loro carico radioattivo alla fine della loro vita operativa è quella – che non funzionò nei casi noti ufficialmente – di staccarne per tempo la parte contenente il reattore ed immetterla su un’orbita più alta, a 700-1000 km di quota. Anche se questo sistema rinvia di qualche secolo il problema del rientro sulla Terra, esso introduce un pericolo d’altro tipo: proprio tra i 700 e i 1000 chilometri di quota è infatti massima la concentrazione di detriti orbitanti, ossia di frammenti e altri piccoli corpi di origine artificiale generati a migliaia nel corso di decenni di attività spaziali. «Intorno alla Terra esiste una nube di detriti che mette a rischio lo svolgimento delle missioni spaziali. Sono serbatoi, pannelli lanciatori e soprattutto resti di satelliti esplosi, anche di dimensioni molto piccole, che ruotano ad altissima velocità» segnala il Cnr. Secondo i calcoli del Norad, il comando di difesa aerospaziale del Nordamerica, sulle nostre teste ruotano almeno 9 mila oggetti più grandi di una palla da tennis. Oggetti grandi abbastanza da essere individuati e sorvegliati, ma in gran parte completamente senza controllo. Il resto è una congerie di spazzatura spaziale, autentici rifiuti abbandonati con noncuranza in uno spazio che si sta rivelando assai poco infinito, ai quali va aggiunta una straordinaria quantità di materia di detriti grandi un centimetro circa e milioni di frammenti ancora più piccoli. Ciascuno dei quali, viaggiando a una media di 7,5 km al secondo, rappresenta un rischio potenziale, e assolutamente imprevedibile, per tutto ciò che incontra sulla sua traiettoria.  «La massa totale degli oggetti in orbita - attesta una stima dell’istituto Cnuce del Cnr - si aggira sulle 4 mila tonnellate, con una sezione complessiva di circa 40 mila metri quadrati». I rifiuti più voluminosi erano nel 2003 - secondo fonte Nasa - circa 90 mila fra veicoli non più operativi, stadi propulsivi esauriti, detriti generati dalle normali procedure di volo e, soprattutto, schegge d’ogni foggia. Ma con l’aumentare delle attività spaziali, soprattutto nel settore dei satelliti per telecomunicazioni, anche il numero di questi scomodi abitanti delle orbite basse è in aumento continuo. 

Il Norad calcola per difetto che galleggino sopra le nostre teste almeno 150 mila frammenti più grandi di un centimetro, mentre è stimabile intorno al milione di unità, la quantità di detriti superiori al millimetro. Tutti questi rifiuti fluttuano in due orbite terrestri: quella bassa (detta Leo, acronimo dell’inglese Low Earth Orbit), che va da 200 a 2000 chilometri dal suolo del nostro pianeta e la regione Geosincrona (Geo), alta 36 mila chilometri, dove gli oggetti in orbita girano alla stessa velocità della Terra e restano pertanto in posizione geostazionaria. E per quanto piccolo un oggetto che viaggia alla velocità di 10 chilometri al secondo può avere effetti molto distruttivi. Gli esperti concordano nel ritenere che alle velocità orbitali un frammento da un grammo sprigiona l’energia di una bomba a mano ad alto potenziale: l’impatto tra uno di questi proiettili e un reattore esaurito porta alla frammentazione esplosiva di questo, e alla creazione di un guscio di frammenti radioattivi intorno all’intero pianeta. 
 
 Le statistiche dimostrano quale sia la sottovalutata dimensione del problema: lo Shuttle, per esempio, ha una probabilità su 78 di andare distrutto a causa della collisione con un detrito, mentre per la stazione spaziale che stanno costruendo Usa, Giappone, Europa, Canada e Russia, esiste una probabilità su dieci di subire gravi danni. Il pericolo riguarda anche quanti rimangono saldamente ancorati alla crosta terrestre. Non sono rari infatti i casi di rientro nell’atmosfera dei satelliti che falliscono la manovra destinati a portarli nella cosiddetta “orbita-cimitero”. Anche l’astronauta Umberto Guidoni non ha dubbi: «E’ in atto un processo di inquinamento irreversibile con gravi ripercussioni sull’atmosfera terrestre. Oggi il rischio è ragionevole, ma in prospettiva i rifiuti spaziali possono diventare un problema serio». La Nasa mette nero su bianco: «Intorno alla Terra si sta creando un classico problema ambientale, da affrontare entro i prossimi 10 anni, prima che sia troppo tardi per riuscire a risolverlo». La strategia più praticabile per rimediare ai disastri consisterebbe nel prevenire la produzione di altri rottami  attraverso un nuovo modo di progettare ciò che si lancia nello spazio. «Ad esempio suggerisce Guidoni - dotando i satelliti di un sistema propulsivo in più che permetta di spostarli in un’orbita meno affollata quando non sono più operativi, oppure progettando il rientro in modo che si distruggano nell’atmosfera». Un vero e proprio trattato vincolante a livello internazionale non è mai stato siglato e perciò bisogna affidarsi alla buona volontà degli Stati Uniti e della Russia, i principali responsabili del fenomeno. Il meeting dell’Office for Outer Space Affaire, l’organizzazione delle Nazioni Unite che coordina gli usi pacifici dello spazio, si è risolto con un nulla di fatto. E il vecchio continente? L’Agenzia spaziale europea ha sfornato soltanto delle raccomandazioni. Troppo poco per dare un taglio alla deregulation che si è impossessata anche del cosmo.     

 Colonizzazione siderale. Se improvvisamente dovessero ammutolirsi ce ne accorgeremmo subito o quasi. Ai satelliti sono legate, infatti, numerose attività quotidiane. Sui trasponder in orbita bassa (fra i 700 e i 2000 chilometri), per limitare il ritardo della voce e per facilitare il collegamento con i cellulari meno potenti, viaggiano i segnali delle telefonia e della trasmissione dati. I satelliti in orbita media (attorno ai 10 mila chilometri), oltre che parzialmente per la telefonia, vengono utilizzati invece per alcune operazioni di ricerca su scala planetaria. Da quella quota inquadrando quasi tutta la Terra, Exos effettua operazioni di monitoraggio ambientale, Lageos tiene sotto controllo la distanza fra i continenti ad Apex studia le dinamiche della magnetosfera; ma altri come il Rosat sono rivolti verso lo spazio esterno per tenere sotto controllo i raggi X. Sull’orbita geostazionaria (36 mila km), la più ambita dagli operatori delle telecomunicazioni, ruotano infine i satelliti televisivi come la costellazione di Astra o di Eutelsat (gli operatori che si spartiscono il mercato europeo) oltre a quelli utilizzati per le previsioni meteorologiche come Meteosat. Secondo la Satellite Industry Association nel 2003 sono stati messi in orbita una sessantina di satelliti commerciali. Altri satelliti servono inoltre per seguire lo spostamento dei grandi banchi di pesce, per gestire i sistemi di navigazione, per individuare nuovi giacimenti minerari o di petrolio.

Un’altra nutrita e segreta genealogia di satelliti è dedicata agli scopi militari (spionaggio). Dei 5 mila satelliti artificiali lanciati nello spazio dai primi anni ’50 solo 600 risultano attualmente funzionanti. Tutti gli altri o sono fuori uso o sono già ricaduti come meteore sulla Terra. Il Bepposax, un satellite che pesa più di 1400 chilogrammi costruito in Italia con lo scopo di studiare l’origine dei campi gamma provenienti dallo spazio profondo, è precipitato nell’aprile 2004 in mezzo all’Oceano Pacifico. Ma non solo i satelliti interi a preoccupare. Intorno al globo terrestre fluttuano circa 10 mila oggetti che gli americani chiamano “debris” con una dimensione superiore al centimetro. Un’autentica spazzatura spaziale prodotta dall’esplosione (voluta o accidentale) di satelliti o stadi finali di vettori che potrebbe diventare molto pericolosa. Ne sa qualcosa Umberto Guidoni (il primo astronauta italiano) che durante il suo primo volo a bordo del Columbia, nel 1996,  si ritrovò un finestrino della navetta danneggiato da un detrito cosmico. “Per noi al rientro fu una vera sorpresa scoprire che un piccolo oggetto di chissà quale natura ci aveva colpiti – rivela Guidoni – Abbiamo corso il pericolo di attuare una procedura d’emergenza che, avrebbe certamente innescato una forte tensione”. E se il detrito fosse stato più grande? “In quel caso il centro di controllo di Houston ci avrebbe avvertito in tempo – prosegue l’astronauta – perché gli oggetti più grandi sono costantemente seguiti dalla Terra per mezzo di radar sofisticati. E già successo diverse volte che lo Shuttle abbia dovuto alzare o abbassare l’orbita per evitare di scontrarsi con questo oggetti alla deriva”.  Il censimento di questi rifiuti spaziali (appena 9 mila sono catalogati) viene effettuato dallo Space surveillance network, un ente gestito dalle forze armate USA. I loro sistemi di avvistamento riescono a tenere sotto controllo buona parte dei “debris” di una certa grandezza, ma se si scende di dimensione la questione diventa più complicata. “Si stima che sopra le nostre teste girino tra i 10 e i 150 milioni di frammenti inferiori al centimetro che non possiamo controllare” spiega Luciano Anselmo del laboratorio di dinamica del volo saziale dell’Istituto Isti-Cnr di Pisa.

fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

lunedì 29 dicembre 2014

il generale Della Rovere



Wikipedia riporta:

« Quando non sai la via del dovere, scegli la più difficile »

(dalla lettera della moglie del generale)

è un film del 1959 diretto da Roberto Rossellini, realizzato su un soggetto di Indro Montanelli, dalla rielaborazione del quale prese forma l'omonimo romanzo.

Trama

Genova, 1944. Emanuele Bardone, è un truffatore, amante del gioco e delle donne. Con la complicità di un sottufficiale tedesco, estorce denaro ai familiari dei detenuti politici, millantando conoscenze influenti presso le autorità nazifasciste e promettendo, in cambio dei soldi, l'interessamento delle autorità per una favorevole soluzione dei loro casi. Con tale attività illecita si procura il denaro per il gioco d'azzardo, che lo divora.
Quando le cose vanno male ricorre a Valeria, una ballerina con la quale vive, per avere prestiti o oggetti da impegnare.

Un giorno però il suo gioco viene scoperto. Una donna, a cui il Bardone aveva chiesto denaro per intercedere a favore del marito, viene a conoscenza che il marito è già stato fucilato e lo denuncia alle autorità. Bardone, una volta arrestato, per alleggerire la sua grave posizione accetta di collaborare con il colonnello Müller, da lui conosciuto casualmente qualche giorno prima, il quale, riscontrata la sua abilità nell'ingannare le persone, gli propone di assumere l'identità del generale Giovanni Braccioforte della Rovere, un importante ufficiale badogliano, ucciso per errore dai soldati tedeschi che, non avendolo riconosciuto, non hanno rispettato la consegna di catturarlo vivo. Egli sarà internato a Milano, nel braccio politico del carcere di San Vittore, con l'incarico di assumere informazioni e di scoprire la vera identità di "Fabrizio", il capo della Resistenza a cui la Gestapo non è ancora riuscita a dare un nome.

La realtà carceraria, e della stessa Resistenza, con cui il truffatore viene a contatto, lo porta lentamente a riconsiderare i valori della dignità, del coraggio e del patriottismo. Egli rimane profondamente colpito dalla morte di Aristide Banchelli, un partigiano che, piuttosto che rivelare il poco di cui è a conoscenza, preferisce subire la tortura che il suo fisico anziano non è in grado di sopportare, arrivando poi a suicidarsi per il timore di parlare. Una notte infine, dopo la cattura di alcuni partigiani, il falso generale viene mandato, pesto e logoro per ispirare maggiore fiducia, a passare la notte nella stanza dove si trovano una ventina di uomini in attesa di esser fucilati per rappresaglia, a seguito dell'uccisione del federale di Milano, ed i nazisti sanno con certezza che tra loro c'è anche "Fabrizio".

"Fabrizio" si presenta infatti a colui che crede il generale Della Rovere: ora Bardone dispone dell'informazione che gli garantirebbe, secondo le promesse del colonnello Müller, la libertà, oltre a un premio in denaro (1 milione di lire) ed a un salvacondotto per la Svizzera. Ma, quando Müller gli chiede di rivelargli il suo nome, egli rinuncia a ciò per cui ha sempre lavorato, preferendo condividere la sorte degli uomini che stanno andando a morire piuttosto che tradire colui che, a rischio della vita, combatte nobilmente per la libertà di tutti.

Riscattando in questo modo una vita fatta di umana miseria, Bardone si presenta con dignità al plotone d'esecuzione e muore insieme con altri dieci uomini, tra cui alcuni ebrei, dopo aver pregato Müller di far pervenire alla moglie del vero generale un biglietto di commiato, e, dopo aver rivolto ai suoi compagni un'esortazione a rivolgere i loro estremi pensieri alle loro famiglie ed alla Patria, cade dopo avere gridato "Viva l'Italia!", e solo in quel momento il colonnello Müller riconosce di avere sbagliato nel giudicarlo.

Genesi del film

Dopo la trilogia sulla guerra conclusasi nel 1947 con Germania anno zero, Roberto Rossellini con questo film e con il successivo Era notte a Roma torna ai temi bellici e resistenziali; Rossellini aveva da poco concluso il film India e si era già recato in Brasile, nell'agosto 1958, col proposito di verificare le condizioni per la realizzazione di un film tratto da Geografia della fame dell'etnologo brasiliano Josué de Castro. "[...] Vorrei continuare ciò che ho iniziato con "India": scoprire gli esseri e le cose così come sono, nella loro estrema semplicità."

Rossellini viveva allora a Parigi (dove lo aveva condotto dall'India la sua nuova compagna, Sonaly Sen Roi). Egli accetta la proposta del produttore Moris Ergas, di fare un film in coproduzione italo-francese; Ergas pone come condizione quella di presentare il film alla Mostra del Cinema di Venezia. Questo obbliga Rossellini, per accelerare le riprese, a concentrare i lavori nel teatro di posa. Il film infatti enfatizza la riproduzione artificiale dello spazio (come si vede bene nelle scene degli esterni e dall'uso dei "trasparenti").

Il ritorno alla realizzazione di un film tradizionale rappresentò per Rossellini un'operazione di compromesso. "[...] Temo che il film ottenga un grande successo e malgrado tutto lo spero. Forse è stato un errore tattico da parte mia volerlo realizzare. [...] Cerco di figurarmi il pro e il contro, i pericoli per la continuazione delle mie ricerche e le possibilità che mi offre." Di fronte alle perplessità del produttore Sergio Amidei sulla fattibilità nell'immediato dell'ambizioso progetto brasiliano, accettò l'offerta di Moris Ergas di lavorare su un racconto di Indro Montanelli, proprio mentre in Francia stavano per cominciare le trasmissioni del programma in 10 puntate L'India vista da Rossellini.

Il soggetto cinematografico (Il generale, Roma, Zebra film, 1959), che dopo l'uscita del film, rimaneggiato, diventerà anche un romanzo, nacque dall'esperienza di Montanelli stesso che venne imprigionato a San Vittore e conobbe realmente un certo Giovanni Bertoni, poi fucilato dai tedeschi a Fossoli nel 1944. Il film viene infine prodotto da Angelo Rizzoli che era detentore dei diritti sul racconto pubblicato dal giornalista. I familiari di Bertoni, dopo l'uscita del film, intentarono contro il regista una causa per diffamazione.

Contesto storico

Rossellini sembra meno interessato a intervenire nel dibattito politico-culturale, nel confronto tra le idee, che a continuare la riflessione sull'isolamento dell'individuo, iniziatasi in quella che Gianni Rondolino definisce la trilogia della solitudine (Stromboli, terra di Dio, Europa '51 e Viaggio in Italia). Come osserva Adriano Aprà, in questo film è dominante il tema del muro. Girato in gran parte in carcere, esso si apre con una carrellata sui muri di Genova, ricoperti di manifesti della Repubblica sociale, e si conclude con la fucilazione, davanti a un muro su cui, però, un anonimo "graffitaro" ha affrescato l'immagine di una città (allusione al riscatto morale del protagonista). Anche la struttura del racconto è incentrata sul confronto tra Bardone e Müller, sul reciproco tentativo di cogliere le motivazioni alla base del loro agire e di superare le incomprensioni. La Resistenza e l'Italia del periodo restano sullo sfondo.

Tuttavia, la fine del decennio è anche un periodo di forti passioni civili e acceso confronto politico. Di lì a poco la crisi del Governo Tambroni aprirà la strada all'esperienza del centro-sinistra. La versione "mite e conciliatoria" della commedia all'italiana che ha caratterizzato gli anni cinquanta, sotto gli occhi di un vigile e onnipresente sistema di censura: "[...] Quello in cui si trovano ad agire e muoversi gli autori cinematografici è un vero e proprio terreno minato. La tecnica censoria si allarga sino ad occupare ogni minimo spazio, nella messa in atto di differenti e decentrate pratiche di controllo, di dissuasione, di impedimento." è ormai inadeguata a rappresentare una realtà sociale in rapido movimento.

Il 1959 è anche l'anno dell'affermazione della Nouvelle Vague al Festival di Cannes.

Accoglienza

Critica

Alla 20ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il film venne premiato con il Leone d'oro, a ex aequo con La grande guerra di Mario Monicelli (pur in presenza di notevoli opere straniere quali Il volto di Ingmar Bergman).

Più del dissacrante attacco di Monicelli alla retorica militare legata agli eventi della prima guerra mondiale, fu proprio il film di Rossellini (che pure sarebbe stato fatto oggetto di clamorose contestazioni: "[...] Su Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini si rovesciano lo sdegno e la collera della destra, con il lancio di uova marce e bombette puzzolenti nelle sale in cui il film viene proiettato") a raccogliere i consensi più diffusi, sulla stampa moderata come in quella di sinistra. Sul Corriere della sera del 1º settembre si scrisse di "felice ritorno alla sua vena migliore" del regista e, sulla stessa linea, il commento del giornale del PCI insisteva "[...] È accaduto ciò che da almeno dieci anni ci ostinavamo a sperare": cioè il ritorno alle origini di Roberto Rossellini, "[...] dopo la penosa, allucinante...decadenza".

Il successo, anche al botteghino, dei due film produsse anche l'effetto di rinnovare significativamente la produzione cinematografica. Numerosi furono negli anni immediatamente successivi i registi che affrontarono il tema della Resistenza o degli ultimi anni del fascismo: da Florestano Vancini (La lunga notte del '43, del 1960) a Giuliano Montaldo (Tiro al piccione, del 1961), da Nanni Loy (Le quattro giornate di Napoli, del 1962) a Luigi Comencini (Tutti a casa e La ragazza di Bube, del 1960 e 1963).

Lino Miccichè, che già a Venezia, come inviato dell'Avanti, aveva puntato il dito sui "troppi penzolamenti tra il retorico e il commosso, da una parte, e tra il satirico e il comico, dall'altra", individuerà nel film di Rossellini l'archetipo di quello "spirito assolutorio" che avrebbe caratterizzato gran parte della produzione cinematografica italiana relativa a quel periodo storico.

Franco Fortini critica la "conversione" di Della Rovere: "[...] Il falso Della Rovere non scorge nessuna verità nei resistenti ma solo il loro coraggio. Questa la differenza dal prete di Roma città aperta. [...] L'equivoco morale ed estetico del film è nell'aver trasformato lo spirito resistenziale in una specie di eterna conversione al bene e al sacrificio di sé. [...]"

Diversa la posizione di Pier Paolo Pasolini, che giudica il film "un avvenimento davvero importante", che mostra che in Italia esiste una cultura capace di "togliere nuovamente la maschera all'Italia, vedere ancora la sua faccia vera, quindici anni dopo"

Bosley Crowther, sul New York Times nel 1960, dice che "nel complesso il film è splendido, sempre più articolato e profondo a mano a mano che procede".

Curiosità

Nel ruolo di aiuto-regista lavorarono alla realizzazione del film i futuri registi Tinto Brass e Ruggero Deodato.
È il primo film italiano in cui si utilizza lo zoom, che poi lo stesso Rossellini userà nelle sue produzioni, soprattutto televisive

SPEZZONE FILM

un garibaldino al convento



FILMATO

martedì 23 dicembre 2014

Napolitano, l'antipolitica di regime che ha ucciso la politica

Giorgio Napolitano è un anziano signore che tuona contro l’antipolitica, non rendendosi minimamente conto del paradosso che incarna: il suo modo di concepire la politica è pura essenza antipolitica. Del resto tutto questo non è poi così strano, visto che la biografia dell’anziano signore è quella di chi ha smarrito la Fede (il Comunismo) già negli anni giovanili, riversando la propria passione (fredda) sul ruolo di controllo sociale esercitato da una minoranza, a mezzo politica fattasi istituzione. Pier Paolo Pasolini coniò la metafora “Palazzo” per questa mutazione genetica, che allontanava la collettività dalle scelte riguardanti il suo stesso futuro; dirottandole in un ultramondo inavvicinabile e imperscrutabile, dove manipoli di eletti – facendo finta di accudire l’araba fenice dell’Interesse Generale – coltivavano con inesausta passione i propri privilegi corporativi; badando bene che il mondo esterno non penetrasse mai nelle loro stanze dorate rovinandone la festa. Un incantesimo durato per decenni (e alimentato con illusionismi verbali, di cui l’ultima trovata è la demonizzazione del cosiddetto “populismo”, ossia l’intromissione indebita delle persone negli affari che “li riguardano”).
E mentre i distinti signori diventavano sempre più anziani, senza mai avvertire quanto gli stava capitando attorno, gli occupanti del Palazzo dei privilegi incanaglivano e incarognivano. Tanto che ogni nuova leva di questi inquilini finiva perNapolitano con Renzi rivelarsi peggiore della precedente. Anche qui perché stupirsi: è legge della natura che l’acqua stagnante imputridisce. O forse questi signori, sempre molto distinti ma un po’ meno distratti di quanto vorrebbero farci credere, anche loro contraevano qualche abitudine propria della corporazione trasversale del potere. Magari entrando in contatto con qualche grande elemosiniere interessato al lucroso business del monopolio in materia della vendita di spazi pubblicitari sulle televisioni dell’allora Unione Sovietica. Un tipo che si chiamava Silvio Berlusconi, ma da cui la bella gente della politica iperuranica teneva le distanze, preferendo delegare il contatto rischioso a qualche maldestro migliorista milanese (che incassò dalle aziende del suddetto Berlusconi ricchi finanziamenti sotto forma di pagine pubblicitarie per iniziative editoriali consegnate alla clandestinità).
In seguito il distinto signore, quale presidente della Repubblica, quel grande elemosiniere dovette incontrarlo sistematicamente per ragioni istituzionali. Ma – nel frattempo – costui era diventato un pezzo di ceto politico, anzi il suo primario puntello sotto i cieli della Seconda Repubblica. Sicché andava supportato, perfino regalandogli il tempo necessario per comprarsi pezzi di Parlamento; e – così – restare sempre in sella. Gli anni passavano e dalle cloache del Palazzo la melma usciva a fiotti. Tanto Pellizzettiche il disgusto dei cittadini elettori superava la soglia del tollerabile, riversandosi verso due uscite dall’impasse: il rifiuto di farsi coinvolgere emigrando nel non voto, dare credito a imprenditori politici che promettevano pulizie nel Palazzo.
Purtroppo entrambe le uscite di sicurezza non hanno funzionato: il non-voto va traducendosi in regalo per chi presidia organigrammi pubblici ripartendo in poltrone le percentuali residue (ormai le elezioni sono vinte per assenza di alternative); i salvatori della Patria si sono rivelati vuoi degli inconsistenti parolai, vuoi dei cinici strumentalizzatori di stati emotivi di massa. Un panorama di mediocri ovunque si giri lo sguardo. Del resto cosa aspettarci da un sistema democratico svuotato e incaprettato da decenni? Fa specie che l’anziano signore, osannato dai suoi pari come emblema del ceto di professional che hanno svilito la politica, si indigni se la pubblica opinione trova inguardabile gli effetti di questa lunga opera di devastazione civile. Perché l’antipolitica è il bel risultato che ci hanno regalato i suoi stupefacenti critici odierni.
(Pierfranco Pellizzetti, “Napolitano-antipolitica: surreale!”, da “Micromega” dell’11 dicembre 2014).

fonte: www.libreidee.org

Joe Cocker



IN MEMORY

domenica 21 dicembre 2014

a Bologna l'amministrazione comunale espone luminarie massoniche

Bologna: ponte Matteotti (dicembre 2014)
di Gianni Lannes


Per Natale con il pretesto di ricordare la strage impunita del 2 agosto 1980 (85 morti e 200 feriti), in cui la vittima più piccola aveva appena tre anni, l'amministrazione comunale della città felsinea, dominata dalla massoneria - proprio come l'Italia - ha fatto installare luminarie con evidenti simboli massonici. Infatti, sopra il ponte Giacomo Matteotti svettano ora triangoli e occhi, che richiamano il delta sacro e l’occhio divino, simboli appunto cari ai grembiulini occulti che si nascondono anche tra le fila della magistratura tricolore, nonché nelle alte gerarchie del Vaticano.

fonte: sulatestagiannilannes.blogspot.it

Luisa Bonello



TESTIMONIANZA

giovedì 18 dicembre 2014

Nizinskij



Wikipedia riporta:

Vaclav Fomič Nižinskij (Вацлав Фомич Нижинский, traslitterato anche come Vaslav Fomich Nijinsky, Nijinski o Nijinskij; in polacco: Wacław Niżyński), è stato un ballerino e coreografo russo di origine polacca. Considerato uno dei ballerini più dotati della storia, divenne celebre per il suo virtuosismo e per la profondità e intensità delle sue caratterizzazioni.

Nacque a Kiev da una famiglia di ballerini polacchi emigrata in Russia e considerò sua madre e patria sempre la Polonia, nonostante la sua non perfetta conoscenza della lingua.
Si iscrisse alla Scuola di Ballo Imperiale di San Pietroburgo nel 1900, dove studiò con Enrico Cecchetti, Nikolaj Legat e Paul Gerdt. A 18 anni si esibì sul palco del teatro Mariinskij in ruoli da protagonista; assieme a lui era la sorella Bronislava Nižinskaja, che lo seguì per parte della sua carriera, diventando anch'essa grande ballerina e coreografa.

La relazione con Djagilev

Il punto di svolta nella vita di Nižinskij è il suo incontro con Sergej Djagilev, membro dell'élite di San Pietroburgo e ricco mecenate, che promuove le arti visive e musicali russe all'estero, in special modo a Parigi. Nižinskij e Djagilev diventano amanti e Djagilev prende in mano la direzione della carriera artistica di Nižinskij. Nel 1909 organizza la tournée parigina di una compagnia di ballo di cui Nižinskij e Anna Pavlova sono le étoiles. Lo spettacolo riscuote un grande successo che accresce la reputazione dei tre attraverso i circoli artistici europei. Sulla scia del successo Djagilev crea la compagnia Les Ballets Russes che il coreografo Michel Fokine renderà una delle compagnie di ballo più famose dell'epoca.

Dal 1909 al 1913 la relazione personale e quella professionale fra i due procedettero sempre di pari passo (sia pure attraverso momenti tempestosi, oggetto di pettegolezzi non sempre benevoli nella "buona società" letteraria e artistica). Fino alla fine: la decisione di Nižinskij di sposarsi e quella di porre fine alla collaborazione con Djagilev coincisero.

Il talento di Nižinksij fu evidenziato in diversi allestimenti di Fokine, tra cui Le Pavillon d'Armide (musiche di Nikolaj Čerepnin), Cléopâtre (musiche di Anton Arenskij ed altri compositori russi) e il divertissement "La festa". La sua esecuzione di un pas de deux da "La bella addormentata" di Pëtr Il'ič Čajkovskij fu un grandissimo successo.

Nel 1910 si esibì in Giselle e nei balletti Il carnevale e Shéhérazade, basati su una suite orchestrale di Nikolaj Rimskij-Korsakov.

Rientrato al teatro Mariinskij, ne fu espulso presto a causa di uno scandalo omosessuale. Divenne allora membro fisso della compagnia di Djagilev, le cui realizzazioni furono da quel momento centrate sul suo ruolo e le sue capacità. Fu così protagonista dei nuovi allestimenti di Fokine, Le Spectre de la rose di Carl Maria von Weber e Petruška di Igor Stravinskij.

Col supporto e l'incoraggiamento di Djagilev, che ne intuì le doti fin lì inespresse in questo campo, Nižinskij iniziò a lavorare egli stesso come coreografo, influenzato dall'euritmica di Émile Jaques-Dalcroze, e produsse tre balletti, Il pomeriggio di un fauno (L'après-midi d'un faune), su musica di Claude Debussy (1912), Jeux (1913) e La sagra della primavera su musiche di Stravinskij (1913).

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Il pomeriggio di un fauno (balletto).
Nei suoi spettacoli Nižinskij introduce forti innovazioni, prendendo le distanze dallo stile del balletto dell'epoca. I suoi radicali movimenti angolari, uniti alla forte carica di sottintesi sessuali, causano disordini al teatro degli Champs-Elysées quando "La sagra della primavera" debutta a Parigi. In Il pomeriggio di un fauno viene accusato di "masturbarsi" nella sciarpa di una ninfa.

Il matrimonio

Nel 1913 la compagnia de Les Ballets Russes parte per un tour in America del Sud senza Djagilev, per via della sua paura dei viaggi trans-oceanici. Senza la supervisione del suo mentore, Nižinskij sposa Romola de Pulszky, una contessa ungherese. Secondo le memorie della sorella Bronislava Nižinskaja la de Pulszky, grande ammiratrice del ballerino, fece di tutto tramite i propri contatti per potersi avvicinare a Nižinskij, fino al riuscire a viaggiare sulla sua stessa nave in occasione di un trasferimento.
Numerose furono le ipotesi sulle vere ragioni che stavano dietro a questo matrimonio: la più diffusa vuole che Nižinskij vide nella ricchezza e nel titolo nobiliare della de Pulszky un mezzo per affrancarsi dalla dipendenza da Djagilev.
Romola è stata successivamente criticata da molti come la donna che forzò Nižinskij ad abbandonare la propria arte per il cabaret, e le cui maniere pragmatiche e decise spesso si scontravano con la natura sensibile dell'artista. Molti vedono in questo fatto un contributo allo scivolamento di Nižinskij nella follia. E nel suo diario Nižinskij annota che "mia moglie è una stella che non splende...".

Si sposarono a Buenos Aires ed al ritorno in Europa furono immediatamente licenziati da Djagilev in preda alla gelosia. Nižinskij cercò di fondare una propria compagnia, ma un cruciale ingaggio londinese fallì per problemi amministrativi.

Il declino

Durante la prima guerra mondiale Nižinskij, cittadino russo, fu internato in Ungheria.
Djagilev riuscì a farlo espatriare per un tour in America del Nord nel 1916, dove fu coreografo e protagonista del balletto "Till Eulenspiegel".
I segni della sua dementia præcox iniziarono a manifestarsi allora agli altri membri della compagnia. Nižinskij aveva paura degli altri ballerini e temeva che le botole del palcoscenico venissero lasciate volutamente aperte per farlo cadere dentro.

Con un esaurimento nervoso nel 1919, la carriera di Nižinskij giunse di fatto alla fine. Gli fu diagnosticata la schizofrenia e la moglie lo fece ricoverare in Svizzera, affidandolo alle cure dello psichiatra Eugen Bleuler.

Nižinskij avrebbe trascorso il resto della sua vita entrando e uscendo da ospedali psichiatrici.

Morì in una clinica di Londra l'8 aprile 1950 e fu sepolto a Londra, dove rimase fino al 1953, quando la salma venne traslata al Cimitero di Montmartre a Parigi, in una tomba accanto a quelle di Gaetano Vestris, Théophile Gautier e Emma Livry.

Documenti e citazioni

I Diari

Nel 1919, sulla soglia della malattia, Nižinskij scrisse tre quaderni conosciuti come i Diari.

Questi quaderni mostrano con grande candore il fragile equilibrio psichico di Nižinskij, gli argomenti trattati sono prevalentemente di carattere ideale e di pensiero, egli scrisse questi quaderni con l'idea che sarebbero stati pubblicati e avrebbero insegnato alle genti del mondo ad amarsi e a non mettere il denaro al centro della vita. Parla del contatto degli uomini con la natura e con l'universo, dell'amore per gli animali che motiva il suo essere vegetariano, vengono poi esplicitate alcune incomprensioni con la moglie e con i genitori di lei, il suo amore per tutta l'umanità viene espresso con convinzione più volte in tutti e tre i quaderni, sono presenti alcuni discorsi sulla sessualità (che furono censurati nella prima edizione condotta sulla traduzione inglese curata dalla moglie con la collaborazione di Jennifer Mattingly, nel 1936) mentre la danza viene menzionata molto poco.

Un elemento fondamentale è il dialogo di Nižinskij con una seconda parte della sua personalità che viene designata come "Dio", egli sottolinea la sua dipendenza da questa entità che vive dentro di lui e che ha il potere di decidere ogni sua mossa. Infine Nižinskij si dimostra consapevole della mestizia della moglie e del medico di famiglia che cominciano a leggere nel suo comportamento i primi segni della malattia, comprende che le persone che lo circondano vedono in lui un malato mentale e teme la chiusura in manicomio.

Cultura di massa

Nižinskij figura menzionato nella poesia 1º settembre 1939 di W. H. Auden;

è citato nella canzone Lydia the Tattooed Lady di Harlen & Harburg, interpretata da Groucho Marx nel film Tre pazzi a zonzo (1939);

una traccia dell'album Unicorn dei Tyrannosaurus Rex si intitola Nijinsky Hind (1969);

una citazione figura anche nel brano Prospettiva Nevskij di Franco Battiato (1980);

i Bauhaus, nel loro album Mask, citano Nižinskij in due tracce, Dancing e Muscle in plastic (1981);

un'ulteriore menzione si trova in Chanson Ethylique dei Folkabbestia (1998).

Film

Nel 1970 Tony Richardson iniziò a produrre un film sulla vita di Nižinskij. La sceneggiatura fu scritta da Edward Albee e furono scritturati Rudolf Nureyev nel ruolo di Vaclav, Claude Jade come Romola e Paul Scofield come Djagilev. La produzione tuttavia fu cancellata da Albert R. Broccoli e Harry Saltzman.

Herbert Ross girò nel 1980 Nijinsky; nel cast del film figurarono George de La Pena nel ruolo di Vaclav, Leslie Browne come Romola, Alan Bates come Djagilev e Jeremy Irons come Fokine.

I diari di Nižinskij sono stati infine adattati a film nel 2001 da Paul Cox con il titolo The Diaries of Vaslav Nijinsky. La sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Cox partendo dai diari, in cui Nižinskij descrive la propria malattia e le sue relazioni con Djagilev e la moglie. La voce narrante è quella di Derek Jacobi, Romola è interpretata da Delia Silvan, Djagilev da Kevin Lucas.

Teatro

Nel 1995 l'editrice Giuntina di Firenze pubblica Nijinskij. Nel 1983 l'attore, coreografo, regista nonché ballerino Lindsay Kemp mette in scena "Sogno di Nijinskij o Nijinskij il Matto", opera incentrata soprattutto sulla seconda parte della vita del celebre ballerino ucraino. Lo spettro della rosa, pièce teatrale di Maura Del Serra, poi pubblicata anche in "Hystrio", n°1, 1996, pp. 100–107; quindi tradotta in svedese da Vibeke Emond, "Rosens Ande", Lund, Ellerstrom, 1996, pp. 32. In Svezia lo spettacolo ha debuttato il 21 settembre 1996 nel Lilla Teatern di Lund, con la regia di Jesper Hall e l'interpretazione di Christer Strandberg. Il debutto dell'allestimento italiano ha avuto luogo il 6 giugno 2003, presso il "Jack and Joe Theatre" di Cerbaia (Firenze) con regia ed interpretazione di Adriano Miliani (Vaclav Nižinskij) e con l'intervento dei musicisti Massimo Barsotti (pianoforte), Roberto Cecchetti (violino) e la partecipazione in voce di Giuseppe Battiston, Massimiliano Speziani, Silvia Guidi e Alessandra Pagliai. In grecia lo spettacolo ha debuttato nell'aprile 2005, nella traduzione di Maria Cornarou-Malathraki, con la Regia di Tereza Louizou e l'interpretazione di Ioannis Trampidis nel ruolo di Nižinskij.

Già il 20 giugno 1999 per la rassegna Asti Teatro era stato messo in scena il monologo “Nijinsky (frammenti dai quaderni di Vaslav Nijinsky)” nell’elaborazione e interpretazione di Pino Censi, versione basata sull’edizione francese dei “Cahiers” pubblicata da Actes Sud nel 1995. Lo spettacolo fu ripreso in tournée nella stagione teatrale 2000-01.

Nel 2010, ad Alghero, viene messa in scena la prima di “Nijinsky, il ballerino di Dio”, dramma in tre atti di Enrico Fauro, il quale cura la regia ed interpreta il protagonista; in occasione della prima viene allestita una Mostra Biografica su Vaslav Nijinskij, nella quale espone la sua collezione privata di fotografie, documenti, preziose prime edizioni raccolte negli anni e una locandina originale di Nijinsky. Nella primavera del 2011, ad Atene, debutta una nuova produzione del Nijinskij di Maura Del Serra ancora con l'interpretazione di Ioannis Trampidis. Il 23 dicembre 2011 debutta il lungometraggio "Nijinsky il ballerino di Dio", tratto dall'omonimo spettacolo teatrale portato in scena nel 2010 dalla compagnia AnalfabElfica, per la regia di Enrico Fauro.

Varie

Con molta probabilità, il famoso cavallo da corsa Nižinskij II deve il nome a lui.

BALLETTI RUSSI DI NIZINSKIJ